Un altro ragionamento che mi viene sottoposto e che, apparentemente, potrebbe avere una sua valenza, è che la vicinanza di una femmina esalta le qualità del maschio: ne fortifica il carattere, ne consolida le certezze, lo rende più propositivo verso il futuro, ne esalta le qualità, ne fortifica il carattere.
Già... le certezze, il futuro, il carattere.
Siamo sicuri che queste certezze siano certe, queste sicurezze siano sicure: abbiamo a che fare con un dato di fatto inoppugnabile o, piuttosto, con luoghi comuni?
Già... le certezze, il futuro, il carattere.
Siamo sicuri che queste certezze siano certe, queste sicurezze siano sicure: abbiamo a che fare con un dato di fatto inoppugnabile o, piuttosto, con luoghi comuni?
Non pensiate che io risponda come facilmente verrebbe da rispondere alla gran massa dei maschi, sarebbe troppo facile.
Come affermato precedentemente, nella nostra indagine noi dobbiamo fare affidamento solo sul rigore del metodo scientifico.
Ma cos'è il metodo scientifico?
Il metodo scientifico è la modalità tipica con cui la scienza procede per raggiungere una conoscenza della realtà oggettiva, affidabile, verificabile e condivisibile. Esso consiste, da una parte, nella raccolta di evidenza empirica e misurabile attraverso l'osservazione e l'esperimento; dall'altra, nella formulazione di ipotesi e teorie da sottoporre nuovamente al vaglio dell'esperimento.
Principiamo, dunque, con un esempio tratto dalla (mia) vita reale: io ho la presunzione - non me ne vogliate - di parlare sempre per vita vissuta.
Ho un carissimo amico, Antonio.
Antonio è un ragazzo d'oro: simpatico, cordiale, socievole, persino carino. Insomma, il classico ragazzo che molte femmine vorrebbero avere al proprio fianco e che non molte, ma tutte le suocere vorrebbero avere come genero.
In questi anni Antonio mi ha dimostrato più volte la sua vicinanza ed amicizia e, quando è possibile, mi gratifica della sua compagnia durante le sue pause pranzo: l'uomo è un animale socievole, io sono socievole, ne consegue che io sono un uomo!
Se proprio volevo trovare un difetto ad Antonio, per il quale non mancavo di rimproverarlo, è che ogni volta che ci incontravamo, dovessi essere sempre ed immancabilmente io ad avere delle novità e, considerando che le mie novità erano legate a disastrosi colloqui di lavoro, non è che la cosa mi facesse particolarmente piacere.
Fino all'aprile di quest'anno
Torino, martedì 7 aprile 2009
Ci diamo il consueto appuntamento ai Giardini Reali.
Nell'attesa mi guardo attorno. Vedo bambini giocare, cani a briglia sciolta, le prime rondini che fanno tanto primavera: un quadro estremamente bucolico, ci manca solo il Virgilio.
Dopo qualche minuto vedo arrivare l'Antonio che, in luogo della lieta baldanza dei suoi anni che sempre lo accompagna (come la carabina il carabiniere, la scia lo sciatore, la campana il campanaro, l'ostrica l'ostetrica, il cacio il caciocavallo, l'appunto l'appuntato), ha lo sguardo torvo ed un accenno di occhiaie che lasciano intendere notti insonni, il passo lento e malcerto.
Un po' preoccupato e non sapendo con quale frase esordire, lo accolgo con un generico: “Uè, Anto', ..." e la domanda che sono indeciso se far seguire ma che pure, ne sono certo, lui si attende per dar libero sfogo al suo tumulto interiore "come la va?” .
Ecco, permettetemi una pur breve, ma doverosa, digressione al riguardo.
La domanda "Come va?" è sì educata, ma di circostanza e pericolosa nonché insidiosa.
La risposta che ci si aspetta dovrebbe essere "Bene!" dopodiché, scampato il pericolo, si può iniziare a parlare di metafisica ovvero del più e del meno.
Ma dicevamo, la domanda "Come va?" è domanda insidiosa, si diceva, perché espone il fianco - a chi non è capitato? - a chi ha voglia, bisogno, urgenza di scaricare tutte le proprie disavventure ovvero anche solo ha del tempo da perdere.
Per tale ragione ben più accorti mi paiono essere i Britannici che, per consuetudine, alla domanda "How do you do?" rispondono "How do you do?", il che tradotto in italiano, equivale a qualcosa del tipo "Come va? (non me ne frega niente!)" la cui educata risposta è "Come va? (Chettenefrega? perché non ti fai una frittata di &%?^* tuoi?)".
“Ah Romolo, ah Romolo, … non è possibile, da quando mi sono lasciato con Cinzia, speravo che sarebbe stato facile trovare un'altra ragazza, ma, invece, … niente!”. E, prosegue, senza darmi neppure l'estro per dirgli che le cose si sistemano quando meno uno se lo aspetta.
“E' vero, mi capita di incontrare delle ragazze, ma non riesco a combinare nulla: o sono già impegnate, o vogliono solo amicizia, o trovano delle scuse per non concedermi neppure il primo appuntamento: perché? Perché a me? Cosa ho fatto di male?”.
L'Antonio si strugge, è l'ombra di se stesso (e considerate che è già magro di suo), la lagrima sul ciglio sembra stia per dare la stura ad un'inondazione, temo che la vicinanza alla Stura lo possa far risolvere per un gesto estremo e cerco di portarlo lontano dal vicino ponte.
Per tirargli un po' su il morale e per distrarlo, cerco di raccontargli delle mie ultime disavventure, ma niente!
Sarei tentato di dirgli che se si presenta in queste condizioni di fronte ad una femmina, dovrebbe puntare direttamente sulle crocerossine, puntare tutto sul pietoso lato umano e, certamente, qualcuna cadrebbe nella trappola. Ed il bello è che non dovrebbe neppure fingere: è assolutamente credibile (quasi quasi ci cascherei anch'io), completamente calato nella parte.
Avete presente il metodo (Kostantin Sergeevič) Stanislavskij? Quello per il quale De Niro aumentò di 20 chili per interpretare Jack La Motta ne 'Toro scatenato' (1980, regia di Martin Scorsese, sceneggiatura M. Martin - P. Schrader, genere drammatico, durata 02:09:00, distribuzione United Artists)? Credetemi, di fronte a Enrico De Niro sarebbe un dilettante e dovrebbe entrare in terapia per capire dove ha sbagliato.
Ho sempre odiato questa tattica quando ero adolescente, ho visceralmente odiato i miei coetanei quando, per far cedere le ultime difese delle femmine, dopo una lunga inspirazione e ed un'altrettanto lunga espirazione, con gli occhi bassi rigorosamente a fessura, sussurravano: “Tutti, tutti sono contro di me, nessuno mi capisce, i miei genitori stanno divorziando e litigano tutte le sere (ma il padre non era vedovo?): perché nessuno mi capisce?” e, dopo una tanto breve quanto lunga pausa, sussurravano rialzando gli occhi ed incrociando quelli di lei: “... meno male che ci sei tu!”.
Il risultato era garantito ed io li odiavo per quella mancanza di dignità, di amor proprio, ma è altrettanto vero che loro ci 'davano' da paura!
Insomma, torniamo all'Antonio.
Non me la sento di insistere in questi biechi suggerimenti, provando forse (anzi, senza 'forse') del rancore misto ad invidia per quanto foss'io pusillanime da adolescente e, forte dell' “un bel tacere non fu mai scritto”, mi risolvo per restare muto ed ascoltare le sue litanie.
Qualcuno potrebbe tacciarmi di codardia, di vigliaccheria e di godere dei drammi altrui, ma, ragazzi, se giochiamo a chi è più sfigato, sono certo che potrei vincere con tutti Voi per k.o. entro la quinta ripresa.
Ad ogni buon conto, alla fine, l'Antonio, senza vergognarsi dei singhiozzi e dei singulti, riesce a ritrovare un attimo di lucidità e di decoro (è quasi finita la pausa pranzo e deve rientrare in ufficio dove è persona stimata ed irreprensibile) e mi congeda con un: “Grazie, grazie, Romolo… sei un vero amico!”.
Io abbozzo, non me la sento di fargli considerare che ho né fatto né detto nulla, ma incasso il 'Grazie' che contraccambio con un enfatico “Maddaaaai, figurati: gli amici servono proprio nel momento del bisogno!”; e concludo con un ispirato, non necessariamente originale, ma di sicuro effetto: “Altrimenti che amico sarei? Se hai bisogno chiama...”.
Torino, venerdì 15 giugno 2009
Dopo alcuni mesi di silenzio che mi hanno fatto temere per il peggio, l'Antonio si fa vivo dicendomi che ha delle novità.
Incuriosito e, lo ammetto, non avendo altro da fare, convengo che ci si deve assolutissimamente vedere.
L'Antonio è, questa volta, a dir poco, raggiante.
Ne sono compiaciuto e, tanto per non peccare di originalità, lo accolgo con un “Uè, Anto', come ...?”.
Non riesco a terminare la frase, che l'Antonio mi blocca con un “Alla grande, alla grande: mi vedo non con una, ma con due ragazze!”.
Preso in contropiede, ma compiaciuto per tacita e compiaciuta solidarietà maschile (ricordatevi che se un uomo si sveglia al mattino coi postumi della sbornia letto con due sconosciute nel letto è un 'grande' e viene invidiato dagli amici e persino dai nemici, mentre se la protagonista è una donna, beh, è una 'puttana') gli ribatto: “Opperbacco, racconta, ...”.
Non che sia interessato ai dettagli tra le lenzuola, ma sento che l'Antonio ha voglia di raccontare, di fare outing. Ed io lo lascio fare.
L'Antonio è semplicemente radioso, brilla di luce propria, un entusiasta della vita, sprizza energia da tutti i pori. Sembra un lontano, lontanissimo parente di quello che incontrai solo un paio di mesi prima.
Ed io lo lascio parlare.
“Allora – gli dico appena riesco a bloccare per un attimo il suo fiume di parole - ecco perché hai sempre il cellulare spento”.
“Hai ragione – ammette neppure a malincuore -, ma, mi capirai e ne converrai, non posso farmi beccare dalla namber tù quando sono con la namber uan”.
Lo capisco e ne convengo: il discorso non fa una grinza; la logica, quando è logica, è logica … lo dice la parola stessa.
“Certo – ammette – la situazione è stressante. Per esempio l'altro sera ero a casa con la namber tù, quando mi citofona, Romolé, ... mi citofona la namber uan. Mi sono salvato dicendo che erano quei rompicoglioni dei Testimoni di Geova che mi hanno preso di mira e non mi mollano!”.
“Ma, Antonio – mi permetto di domandargli sommessamente come solo io so fare – ma mi hai detto che era sera tardi: come ha fatto a credere che fossero dei Testimoni di Geova a quell'ora?”.
“Beh - mi ha spiegato paziente e benevolo l'Antonio -, le ho raccontato che, infidi come sono, sanno che durante il giorno non ci sono e che sperano di trovarmi a casa dopo le 23! Certo, mi è toccato raddoppiare le coccole alla namber tù, ma ne è valsa la pena”, ha concluso ammiccando con una strizzatina d'intesa come si è soliti fare con chi ha capito o dovrebbe capire di cosa si sta parlando.
Insomma, cose da maschi: le lettrici femmine, non me ne vogliano, non possono capire.
Resto solo un attimo perplesso (lo sapete, oramai sono un anziano signore che legge e scrive poesie, un rispettabile – forse – signore di mezz'età al quale a volte pare ricordare di aver avuto avventure galanti, ma, si sa, ad una certa età i ricordi si confondono con la fantasia, quello che è stato con quello che avremmo voluto fosse) ed oso dirgli: “ma non è rischioso per la salute vivere così sul filo del rasoio? Non temi che la tensione ti faccia salire la pressione a palla col rischio di malattie cardiovascolari e col temutissimo infarto sempre in agguato?”.
Noi anziani siamo fatti così: viviamo nel terrore che ci infonde il buon Luciano Onder e, alla fine, l'ipocondria ci uccide come mosche!
L'Antonio mi stronca con una grassa, sonora, tagliente, fragorosa risata che mi fa sentire inadeguato e sorpassato dai tempi.
Ma ricordo, mi sovviene che l'Antonio è un amante delle passeggiate in montagna e, lui, in momùntagna ci va per provare l'ebrezza dell'aria pura e delle tome d'alpeggio: ogni occasione, con qualsiasi tempo è per lui un'occasione buona per partire ed andare alla ricerca di tome d'alpeggio, tanto più gustose e saporite quanto più coperte di muffa sono.
Non vi potete sbagliare: se in pulman sentite un incredibile olezzo di toma , beh, è lui: il temerario Antonio, Antonio il camoscio della Valtellina, Antonio lo stambecco della Lunigiana! C'é chi va in caccia di trifule: per lui esiste solo la toma d'alpeggio!
Timido, ma felice della sua ritrovata felicità, gli domando: “E con le tome? Come va? Hai dovuto rinunciare… con due femmine insaziabili...”.
Ma l'Antonio raddoppia le risate, capisce che non ho capito assolutamente niente delle femmine e del mondo. E come dargli torto?
“Io – mi spiega come si spiega qualcuno che non ha alcuna speranza di capire – faccio quello che voglio! Se voglio andare con gli amici, vado con gli amici: le femmine non mi devono rompere i santissimi! Io vado! Che loro aspettino! Se, poi, non hanno voglia di aspettare, peggio per loro: il mondo è pieno di femmine! Tanto neppure mi ricordo i loro nomi: mi basta chiamarle semplicemente 'Cara', 'Zuccherino', 'Luce dei miei occhi', 'Adorabile creatura' ”.
Lo ammetto, non capisco di cosa stia parlando, ma mi lascio contagiare dal suo incontenibile e contagioso entusiasmo.
Le persone sanno essere strane ed io non sono da meno.
Comunque, pur senza capire, mi compiaccio del ritrovato Antonio, del suo buon umore ritrovato, della sua rinnovata lieta baldanza.
E quasi lo invidio e mi dico che forse hanno ragione quanti sostengono che la vicinanza di una femmina nella propria vita ha effetti positivi sul maschio della specie.
Ma ... ricordate l'assunto dal quale eravamo partiti: ne fortifica il carattere, ne consolida le certezze, lo rende più propositivo verso il futuro, ne esalta le qualità, ne fortifica il carattere.
Passano alcuni mesi.
Di tanto in tanto mi capita di pensare all'Antonio 'lo sciupafemmine', ma me lo immagino sulle alte vette e, quando si vuole riposare, tra le lenzuola con la namber uan o la namber tù e, perché no, con tutt'e due contemporaneamente.
Lo sapete, questa è una tipica fantasia maschile e, involontariamente, quasi mi compiaccio che qualcuno tenga alta la bandiera (il doppio senso non era voluto nel momento in cui l'ho scritto, me ne sono accorto rileggendo) della specie maschio.
Oltre che compiaciuto sono un poco orgoglioso: io conosco quel maschio, è amico mio. E lo penso come se di quell'amicizia anch'io possa brillare per luce riflessa.
Si sa, noi anziani siamo fatti così
Torino, mercoledì 16 settembre 2009
L'Antonio mi telefona e decidiamo di incontraci in via Garibaldi.
Questa volta l'Antonio mi sembra un attimo pensieroso, forse un po' stanco.
Ma lui lavora e il lavoro si sa, se non rende simili alle bestie, di certo stanca, rende pensierosi; d'altra parte, siamo sinceri, per quanto nel fiore degli anni, a lungo andare, con due femmine può essere faticoso e stancante. Qualcuno dice che potrebbe essere persino nojoso. Non dico che sia sempre così, ma concedetemi che possa esserlo; e, d'altra parte, questa volta io non parlo per esperienza diretta (come sono, altrimenti, solito fare), ma per sentito dire, quindi, non voletemene.
Sempre per non peccare di originalità (ho già tanti, troppi peccati sulla coscienza), esordisco con: “Uè, Anto', come va?”.
L'Antonio è pensoso, ma non è il lavoro a dargli foschi pensieri.
“Sai – ammette quasi a malincuore -, alla fine non ho retto ed ho dovuto scegliere: adesso mi vedo solo più con la namber uan. Alla namber tù, per non farla soffrire (l'Antonio sa essere misericordioso anche quando non vuole: è più forte di lui; noi maschi siamo fatti così), ho detto che era colpa mia, che è un periodo difficile, che non le avrei potuto offrire quello che merita: che IO mi dovevo sacrificare per la sua felicità, ma che sarebbe stato giusto così, sarebbe stato meglio per tutt'e due, ma quello che più conta, soprattutto per LEI!”.
Eh, ragazzi, la nobiltà d'animo mi commuove sempre, sono un cuore tenero io!
Cerco di fargli coraggio, di rincuorarlo spiegandogli che, anche da un punto di vista etico ha fatto sicuramente la scelta giusta: dolorosa, ma giusta.
“Di certo – insisto – anche la pressione ti tornerà entro limiti ragionevoli, non dovrai più muoverti con l'angoscia di incontrare la namber tù, potrai, finalmente, tenere il cellulare libero, avrai più tempo per vedere gli amici e, dopo tutto, avrai anche più tempo per andare in montagna, per scorrazzare lungo le cimose vallate alla ricerca della toma perduta!”.
“Allora – concludo cercando di fargli vedere la positività della riacquistata normalità – ci si vede venerdì sera? Sono mesi che rinvii quella cena ed io non ho insistito sapendo che non avresti avuto tempo, ma, adesso, non hai più scuse!”.
“Eeeeeeh, vedi, come dirtelo? – e, nel non sapere come dirmelo, si guarda d'intorno evitando di incrociare lo sguardo -, ma vedi, il venerdì sera devo uscire coi suoi amici”.
“Poco male – rilancio – dimmi una qualsiasi altra serata, tanto (purtroppo) io non ho impegni”.
L'Antonio si stropiccia le mani, inizia a mangiarsi le unghie (per fortuna quelle della sua mano) e confessa: “Sissì, certo, devo solo chiedere alla namber uan se e quando posso”.
Resto un poco in imbarazzo per lui, intuisco il suo disagio, non voglio metterlo in ulteriore difficoltà e cerco di offrirgli quale zattera di salvataggio un appiglio: “Vabbè, dai, su quale vetta andrai questo fine settimana a piantare la bandiera per poter sbeffeggiare i pavidi colleghi il lunedì mattina quando mostrerai loro la tua preda: una ... profumatissima toma?”.
“Beh, ecco – le parole sembrano non volergli uscire dalla bocca - ?^&$&£=”.
“Come?, scuuusa – devo chiedergli – non ho capito...”.
“Insomma, Romolè ….... a lei la montagna … non piace, anzi ...: la detesta! e il formaggio, qualunque formaggio le fa semplicemente ribrezzo!”.
Conclusione
Allora, ricapitoliamo.
La tesi che volevamo dimostrare e dalla quale eravamo partiti era: la vicinanza di una femmina esalta le qualità del maschio, ne fortifica il carattere, ne consolida le certezze, lo rende più propositivo verso il futuro, ne esalta le qualità, il carattere.
Sarei quasi tentato di dire che non è sempre così, o, comunque, non lo è per l'Antonio.
(segue, ...)
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