Ieri altro colloquio
Ve l’avevo detto che oramai ci sto prendendo gusto. Uso il ‘Ve’ perché il numero di lettori delle mie (dis)avventure si sta vieppiù allargando ed io sono quasi arrivato alla conclusione che sto facendo questi colloqui più per voi che per me.
'Carissimi amici' (mera captatio benevolentiae) vi prometto che se anche, qualora, nel caso in cui trovassi un lavoro, vi prometto che continuerò ad aggiornarvi.
Anzi, chi dovesse indicarmi qualche contatto, qualche opportunità, qualche cosa, ebbene prometto che cotui/costei riceverà in anteprima il mio diario.
E’ pur vero che se intendo prossimamente intendo propormi quale ‘integratore di colloqui’ (per quelle selezioni dove i candidati siano in numero insufficiente) ovvero come ‘delatore di colloqui’ (per riferire ai selezionatori cosa gli altri candidati dicono in attesa di essere ricevuto e/o durante i momenti in cui il selezionatore si allontana) devo fare esperienza.
Questa volta occorre, almeno, in questa fase iniziale, non distrarsi, perché la premessa è fondamentale per capire il prosieguo; come qualcuno disse ‘E’ la somma che fa il totale.
Allora, il colloquio mi è stato procacciato da un amico. Un amico di vecchia data, molto vecchia ed allora – quando ci conoscemmo – non avrebbe mai immaginato di trovarsi con questa palla al piede. La palla sarei io, ma che nessuno si azzardi a pensare ch’io sia ingrassato. Faccio la mia porca figura e sono pronto a sfidarvi tutti ad una prova bikini in vista dell’estate.
Dicevo, l’incontro mi è stato procurato da questo amico, diamogli un nome, Matteo.
Ora, Stefano ha una moglie, Silvia.
Silvia ha una carissima amica, ex compagna di classe, che ha sposato Marco.
Tutti e quattro frequentavano lo stesso liceo.
Tanto per complicare le cose, Matteo, Marco ed io ci eravamo conosciuti al mare.
Fin qui ci siamo?
Bene.
La settimana scorsa Matteo, Silvia, Marco e la moglie di Marco vanno a cena insieme.
Tra una portata e l’altra Stefano e Silvia, avendo - la cosa è del tutto evidente – finito gli argomenti, parlano di un loro amico alla ricerca di un lavoro.
L’amico-palla sarei io.
La moglie di Marco si propone affinché Stefano le invii il curriculum, che poi sarebbe il mio, da far vedere al padre. Lei lavora col padre.
Lunedì vado a trovare Matteo. Vista la bella giornata ci facciamo due passi.
Con estremo garbo (si vede che ha studiato dai preti), Matteo mi accenna alla cena.
Fin qui se la giuoca di sponda.
Quindi mi dice che durante la cena hanno parlato di me e, per non annoiarvi – ma soprattutto per non costringermi a riscrivere quanto già scritto -, spero sia stati attenti, altrimenti rileggiate il paragrafo precedente.
In buona sostanza mi chiede la disponibilità ad inviare il cv.
‘Cavoli, ‘azz, ma certo’, gli dico, io che già stavo pensando, progettando, architettando col mio civvì di imbucare le buche della posta, ti tappezzare i tappeti, di manifestare con manifesti.
Matteo si sente in dovere di darmi alcune indicazioni sul padre della moglie di Marco (lo ammetto, non mi ricordo il nome), compagna di classe di Silvia, moglie di Stefano.
Anzitutto, è un self-made man, estremamente rigido, duro coi dipendenti.
Fin qui ci vedo niente di strano:
‘Una persona che si è fatta da sola è solo da ammirare’.Per farmi un esempio mi dice che anni fa un loro amico (suo e di Silvia, la moglie) aveva lavorato col padre della moglie di Marco (certo che se mi ricordassi il nome tutto sarebbe più facile), ma dopo un anno fa si era congedato mandandolo aff’ in ufficio.
‘Vabbé – gli dico –
mi sembra un’uscita un po’ plateale, ma sai com’è, a volte ci vuole, può essere liberatorio’.‘Eppoi – aggiungo –
dopo aver lavorato 5anni5 in Paradigma, col bisogno di lavoro che ho, se il problema è questo, o Stefano, vai tranqui-tranqui ed –illo'.‘C’è un’altra cosa che ti devo dire’ aggiunge.
‘Dimmi …’, gli dico. E’ tutto un dire-dire.
‘E’ molto, molto, molto, ma molto cattolico’.‘Ci vedo nulla di male: pensa se fosse testimone di Geova, magari anche ebreo, comunista e marocchino…’.Per rinforzare il concetto mi fa un esempio.
‘Devi sapere che a volte veniva a prendere la figlia a scuola e, quando incontrava dei compagni di classe, chiedeva loro se la domenica erano andati a messa’.
‘Beh, - mi sento di dire –
forse appena un po’ eccessivo’. 'Sì – conclude –
ma devi sapere che se qualcuno aveva la dabbenaggine di rispondergli affermativamente, chiedeva che passo del Vangelo avevo letto’.
‘Non ti preoccupare – lo rassicuro –
tu dimmi che passo hanno letto domenica scorsa ed andrà tutto bene’.Ma sento che non è tutto lì.
Infatti Stefano aggiunge
‘Ecco, … (a volte i silenzi contano):
non sopporta e neppure capisce l’ironia o le battute mordaci. Bisogna (anche l’uso dell’impersonale ha il suo valore, gli amici si riconoscono anche per questo)
as-so-lu-ta-men-te (avverbio volutamente sillabato per dare enfasi)
evitare le battute".‘Occhei Matteo– lo rassicuro –
lo sai che anch’io detesto la mordacità (la parola giuro che mi è venuta fuori così, come se l’avessi appena letta sulle parole crociate, nella terza di copertina, la pagina con le soluzioni).
Che ti devo dire, a me le persone sempre spiritose irritano, mi provocano delle irritazioni cutanee’.
E nel dire ciò, per dare più forza al concetto espresso, gli faccio vedere un graffio che mi ha fatto il gatto sul braccio.
"E, comunque, - gli dico concludendo -
non ti preoccupare: sto già chiedendo perdono per i miei peccati!".‘Ah, dimenticavo – conclude Matteo –
il padre produce profilati metallici’
‘Profilattici metallici? Stupendo, è un mercato che tira anche in questo momento di crisi’
Lo sguardo torvo mi attraversa
‘No, mi giustifico, lo dicevo tanto per dire: sento che mi sta già venendo un attacco di orticaria’. Martedì mattina. Ore 8.50. esco dalla doccia, bello rasato come il culetto di un bambino. Mi vesto, mica vorrete che esca nudo.
Esco di casa, vestito, e chiamo l’ascensore.
Rientro: dimentico sempre il cellulare.
Una chiamata, identificativo sconosciuto.
A parte la sfiga di non aver risposto, l’id sconosciuto mi dà il pretesto per non richiamare, indi risparmiare.
Vado a farmi tosare e, mentre sono lì beato a farmi fare lo shampoo (una delle gioie più belle della vita per chi – come me – è oramai un anziano signore che legge e scrive poesie) ri-squilla il cellulare.
E' Matteo.
Mi informa che il padre della moglie di Marco mi ha cercato (ecco chi era). Mi lascia il numero, ma ancora un avviso
‘Mi ero dimenticato di dirti che è sordo: frasi breve e con voce decisa!’.
‘Sarà fatto!’. Oggi (ieri per chi la dovesse leggere oggi), l’atteso colloquio.
Arrivo venti minuti prima, proprio perché sono preciso.
Mentre che sono lì che cerco di ingannare il tempo passeggiando sotto i portici di piazza Vittorio, riordino le idee.
Avevo detto che la società opera nel campo metallurgico.
Forte del nome della società e ringraziando mai abbastanza Google, rintraccio il sito della società.
Detta società, leggo nella home page, fornisce in tutto il mondo (e sottolineo tutto il mondo perché qui non è il caso della mail ‘globalizzazione’, qui le lingue bisogna parlare sul serio)
‘migliaia di tonnellate di acciaio strutturale, materiali da costruzione e materiali per il piping’.Oddio, sul piping non so molto, mi viene in mente il petting, anche se non penso sia la stessa cosa.
Io – qui dovete andare sulla fiducia – me la cavo più che egregiamente con l’inglese. E pure col francese ed il portoghese.
Ma il guaio è nella pagina dove si precisano i prodotti di interesse.
Cito:
‘tondo per cemento armato, rete elettrosaldata, vergella e derivati, laminati mercantili, marciavanti metallici, flange, piastre per ancoragge’ e taccio del resto.
Ora, onestamente, chi di voi – e mettete alla prova anche i vostri amici che si vantano e ve la menano di conoscere ferpettamente (sissì, ferpettamente) l’inglese.
Se, poi, siete particolarmente bastardi deep inside (visto che con l’inglese me la cavo), e gli amici di cui sopra ve l’hanno massacrato e sbeffeggiato dicendovi (magari – aggravante – di fronte alla vostra lei/lui) che parlano altrettanto bene il francese, chiedete loro come si traducono i suddetti prodotti in francese.
Se, alla fine, volete massacrarli definitivamente chiedete di tradurli in altra lingua di loro scelta.
Insomma, mi rendo conto che le possibilità sono veramente ma veramente risicate.
Ma chi non risica non rosica, quindi mi faccio coraggio.
Suono il campanello, salgo.
Secondo piano.
La ragazza alla reception mi accoglie con un sorriso capisco che è una buongustaia, e come darle torto), mi chiede il motivo della visita e mi invita a compilare un modulo.
Mi accomodo nella sala riunioni ed ammiro il bel tavolo: di legno, solido, liscio come un tavolo da biliardo.
Appesa al muro c’è persino una carta geografica di tutto il globo terraqueo: aggiornata!
Vabbé, mi rassegno: oramai sono in ballo e mi tocca ballare, anche se – lo ammetto – ho mai ballato in vita mia.
Prendo in mano il modulo, oramai ho una certa dimestichezza coi moduli.
Questo sembra persino banale.
Il solito nome, il solito cognome, scuole, patente, stato civile (professione della moglie????), figli, se sì età e professione (??????).
Disponibilità a viaggiare all’estero: fichissimo. Certo che sì!
Va precisato
‘per periodi di quale durata?’: ma per tutto il tempo che volete, vorrei scrivere.
Insomma, mi sembra di essere in un’agenzia di viaggi.
Mi immagino già a bordo piscina, ovviamente a Djakarta o in Sud America. Oppure piccolo piccolo tra i grattacieli di New York.
Vebbé, quest’euforia me la concedo per poco, ma è piacevole.
In attesa, ricordandomi le avvertenze di Stefano, mi rammento che l’incontro è con un cattolico tutto d’un pezzo.
Mi tornano in mente, nell’ordine, il
‘Pater noster qui es i coelis’, quindi l’
‘Ave Maria gratia plena’, il sempre trascurato
‘Angele Dei qui custos es mei’, e – last but not least –
‘Pace aeternam dona eis Domine’.
Già che ci sono allungo l’occhio ai libri sugli scaffali. Il più comprensibile è sul rame e le sue leghe.
Finalmente arriva.
Elegantissimo, tiratissimo, piccolo piccolo. Però, penso, con quelle mani potrebbe avvitare i bulloni delle portaerei a giudicare dal peso che deve avere l’orologio che porta in giro.
Però mi rasserena vedere che assomiglia all’ultimo Gianfranco Funari: stesso ciuffo bianco, stessa barbetta bianca.
Gli sorrido, gli tendo la mano per shakerare la sua che mi tende ed io spero solo che non me la stritoli.
Aspetto che mi dica ‘Il Signore sia lodato’, perché io sono pronto come una molla per rispondergli
‘Sempre sia lodato’.Guarda il mio civvì e gli si corruga la fronte.
Lo so, lo so, avrei dovuto mentire: visto il sito su internet avrei dovuto capire che stanno cercando ingegneri poliglotti inkazzati col mondo.
Ma io ho preferito non mentire: o piaccio come sono o niente!
E che nessuno faccia della facile ironia ricordandomi che forse è per quello che sono ancora single: io sono ancora single perché IO ho deciso di restare single.
D’altra parte vedo che ha un vero e proprio sconforto quando legge che non ho figli.
Vorrei rassicurarlo, dirgli che non sono sicuro di non averne, ma che neppure ho mai avuto richieste per riconoscimento di paternità.
E’ vero che, vista la mia attuale situazione di disoccupato non sono certo un bocconcino appetibile, ma – che diamine – ho pur sempre un bel sorriso.
E’ quanto meno confuso.
Mi chiede perché io abbia inviato il civvì, e come dargli torto.
Gli ricordo che il contatto mi era stato offerto nientepopodimeno che dall’avv. Matteo.
A sentire il solo nome di Matteo si illumina. Si capisce che Matteo è il figlio che avrebbe sempre voluto.
E’ talmente di buon umore che mi dice:
‘Leggendo il suo c.v. potrei darLe un 5 e mezzo, un 6 meno. Ma – e qui si sente che cerca di giustificarsi –
ho all’attenzione almeno altre due candidature molto interessanti’.Io capisco subito che una delle due deve essere quella di Matteo, anche se non è ingegnere, anche se non è poliglotta, anche se non è inkazzato col mondo.
Però mi sento buono, lo rincuoro e lo ringrazio persino del tempo che mi ha dedicato.
Lui, e qui mi accorgo che sta bluffando alla grande, mi dice che non devo ringraziarlo, che la mia candidatura sarà valutata e, se positivamente, mi telefonerà personalmente. Niente meno.
Vorrei battergli una pacca sulle spalle, dargli un buffetto sulla guancia, intonare con lui un kirie leison.
Esco dall’enorme portone e, sotto la pioggia fina fina, mi accendo una sigaretta.
Guardo l’orologio: il tutto è durato dieci minuti, ed in dieci minuti – rincuorandolo – sono anche riuscito a fare una buona azione: rapido ed indolore.
NON E` una storia di pura invenzione.
Nel racconto SI FA riferimento a fatti e persone REALI.