giovedì 26 marzo 2009

12. In attesa di tempi migliori, “Facimmo Ammuina!”


Ci sono giornate in cui mi sento più confuso del solito, ma, forse, potrebbe essere l’approssimarsi della primavera, in fondo ho uno spirito romantico e sensibile. IO!!!

Essere senza lavoro ha i suoi vantaggi, innegabili vantaggi.

Alcuni esempi.

1. Volendo si potrebbe dormire fino a mattina inoltrata, non fosse altro che per svegliarsi e godere del fatto che gli altri sono al lavoro. Io mi carico la sveglia alle 7.30 (ad eccezione della domenica), ma, se solo lo volessi, potrei svegliarmi all’ora che voglio
2. Abbiamo gli esami del sangue gratis. Da quattro anni sono vegetariano, mi controllo per il timore di avere proteine e quant’altro fuori posto, ma va tutto bene.
3. Quanto spendete per la benzina (che, mi dicono, è sempre in aumento) o per l’abbonamento ai mezzi pubblici? Io, da buon disoccupato, non uso l’auto e per l’abbonamento ai mezzi pubblici pago 9 euro … per 3mesi3!
4. Indosso per lo più t-shirt: non devo stirare le camicie né farmi il nodo della cravatta tutte le mattine.

Scusate se è poco!

5. Invero ho anche molto tempo da dedicare all’informazione. Voglio essere informato: è un mio diritto essere informato.

Una volta compravo il giornale, oggi mi accontento dei giornali nelle metro o a scrocco nei bar: al prezzo di un caffè, sapendo scegliere il bar giusto, si può avere una vasta scelta di giornali, senza trascurare quelli sportivi.

Alcune volte, però, resto perplesso, ma forse è colpa mia: tendo a personalizzare e, forse, ho anche la coda di paglia. Non dico di no: ho i miei difetti anch’io! Pochi, ma ne ho.

Come sapete o come almeno alcuni di voi sanno, io dedico due ore tutti i giorni (ad eccezione della domenica, ma anche Lui si è riposato il settimo giorno ed io non voglio mancare di rispetto) per cercare lavoro. Beh, i risultati li avete letti.

Leggo dal Corriere della Sera del 26 marzo 2009

Berlusconi, disoccupati e imprenditori si inventino qualcosa
Il cavaliere ribadisce: “Se perdessi il lavoro non starei con le mani in mano, me ne cercherei un altro”
Roma – Auspico che chi è stato licenziato si trovi qualcosa da fare. Io non starei con le mani in mano”. Ieri era un auspicio, oggi è una certezza. Il Presidente del Consiglio saprebbe perfettamente cosa fare se oggi fosse al posto di coloro che, almeno i nolenti, si ritrovano senza lavoro.

Ma siamo onesti, la Repubblica ed il Corriere della sera sono giornali notoriamente e sfrontatamente di sinistra, fanno disinformazione, sono falsi e tendenziosi: a loro confronto Prava, il Manifesto e financo l’Unità sono giornali da parrocchia, di quelli che si possono leggere dal barbiere.

D’altra parte pochi giorni prima (20 marzo 200) adnkrons riportava:

Lavoro: Berlusconi, nostri dati su disoccupazione migliori di resto Ue “Nostro Paese meglio attrezzato di altri”
Bruxelles – I dati sulla disoccupazione italiana “sono migliori” nel contesto europeo. Lo ha detto il premier Silvio Berlusconi commentando i dati Istat che danno la disoccupazione in crescita nel 2008.

Certo non presto attenzione ai lamenti di quel ragioniere comunista che risponde al nome di Mario Draghi, che paventa 1.6 milioni di lavoratori che rischiano di perdere il posto di lavoro senza essere coperti da ammortizzatori sociali.
Non solo comunista, pure disfattista e per di più, governatore della banca d’Italia, pagato coi nostri soldi.

“Ma digli qualcosa, Silvio!”.
Ed, infatti, Silvio, risponde da Radio anch’io “Questa è un’informazione del governatore che non corrisponde alle cose che emergono dalla nostra conoscenza della realtà italiana”.
Bravo, Silvio!

Cerco di avere un’informazione corretta, disinteressata, oggettiva, realistica: il Giornale (26.03 sempre 2009)

“Io ho detto che deve lavorare di più chi ha la possibilità di farlo. Auspico che chi è stato licenziato si trovi qualcosa da fare, io non starei con le mani in mano". B. cerca di spronare disoccupati e imprenditori a uscire dalla crisi rimboccandosi le maniche e cercando di fare quanto è possibile. “Io spero comunque che si faccia tutto affinché non si lasci nessuno a casa – ha aggiunto il premier – anche gli imprenditori si devono inventare qualcosa”.



Muoversi, muoversi, fare giuoco d’area, come quei calciatori che, senza mai toccare pallone, disorientano, ubriacano, fanno girare la testa agli avversari creando occasioni per i compagni.
Non capisco molto di calcio, ma se lo dice il Silvio, che ha dato lezioni di tattica al mitico Arrigo (ndr. Sacchi) del Milano che ha vinto tutto in tutto il mondo, io mi fido.
Ma ....

Regno delle Due Sicilie
Collezione dei Regolamenti della Real Marina
Anno 1841
n.266

Napoli 20 settembre 1841

Capitolo XIX
Art.27 – ‘Facite Ammuina’ (ordine da usare in occasione delle visite a bordo delle alte Autorità del Regno)

All’ordine ‘facite Ammuina’ tutti chili che stanno a prora, vann’a poppa e chili che stann’a poppa vann’a prora; chili che stann’a dritta vann’a sinistra e chili che stann’a sinistra vann’a dritta; tutti chili che stann’a abbiscio vann’ncoppa e chili che stanno n’coppa vann’abbascio, passann’tutti p’p stesso pertuso; chi nun tiene nient’a ffa, s’aremeni a’cca e a’lla

(trad. “All’ordine ‘Facite Ammunina’, tutti coloro che stannno a prua vadano a poppa e quelli che stanno a poppa vadano a prua; quelli a destra vadano a sinistra e quelli a sinistra vadano a destra; tutti quelli in sottocoperta salgano e quelli sul ponte scendano, passando tutti per lo stesso boccaporto; chi non ha niente da fare si dia da fare qua e là”)

Il Maresciallo in Capo dei legni e dei bastimenti della Real Marina
Mario Bigiarelli

NON E` una storia di pura invenzione.
Nel racconto SI FA riferimento a fatti e persone REALI.

lunedì 16 marzo 2009

11. Caffè per tutti


Non è detto che un disoccupato resti per sempre disoccupato durante il periodo di disoccupazione.
Tutto è iniziato per caso.
Da mesi, per ovviare al pericolo di stare chiuso in casa, mi sono imposto di uscire di casa tutte le mattine non oltre le nove.
Non potendo da oltre un anno permettermi di andare in palestra, un po’ per mantenermi in forma, un po’ per far passare il tempo, avevo preso il vezzo di andare da casa sino in centro a piedi. Tempi da maratoneta: 1 ora.
Arrivato in centro avevo scelto come ‘casa base’ il bar di un amico, Michele, che gestisce, sarebbe più corretto dire ‘gestiva’ un bar in via XX settembre, a due passi dal cinema Reposi.
La posizione era strategica per diverse ragioni: la prima è che mi permetteva di riprendere fiato; la seconda, che potevo fare il punto della situazione: proseguire fino in via Verdi per andare a consultare le offerte di lavoro su internet (ma di questo parlerò in altra sede), andare a trovare qualche amico che lavora in centro; andare in biblioteca per consultare le offerte sui giornali, varie ed eventuali; quarto, bere un caffè a soli 50 cents.

Conosco Michele da una vita.

Michele ha avuto l’avventura di essere mio istruttore di karate quando iniziai, un 25 anni fa, circostanza che mi permette, quando mi rimbrotta di non riuscire a tirare il mae-geri (calcio circolare) di ricordargli che lui è stato uno dei miei primi istruttori e che, quindi, la colpa è sicuramente anche un po’ sua.
Eppoi sono viziato, ho sempre avuto l’abitudine, anche quando lavoravo (sembrano passati anni, certo più di due) di prendere un caffè prima di andare a lavorare sempre negli stessi bar. La circostanza non è casuale. Non sono certo di quelle persone che gioiscono all’idea di andare a lavorare: potessi permettermelo non lavorerei, ritengo di avere mille altri impegni che occuperebbero il mio tempo. Ma come disse il buon Truffaut, lavorare è un po’ come respirare o defecare: lo si fa perché non se ne può fare a meno.
Andare, quindi, in un bar dove si è riconosciuti, ha l’indubbio pregio di essere un po’ come a casa propria. Dopo qualche mese di duro addestramento, il barista sa, solo guardandovi, se quella mattina vi va o meno di parlare. E, visto che per me la pausa caffè prima di andare a lavorare è un momento catartico, una sorta di camera di decompressione, trovare un bar, buono, con un caffè buono, con un barista correttamente addestrato, non è un aspetto di secondaria importanza.
Anche perché a me la mattina non va di parlare. Un barista che mi conosce sa che prendo il caffè amaro (come la vita), non mi chiede se voglio un caffè macchiato – caldo o freddo -, un marocchino, peggio ancora un cappuccino. L’avessi voluto l’avrei chiesto.
Io bevo solo un caffè amaro e capisco che il barista è addestrato quando ha il garbo di non affiancare alla tazzina il cucchiaino.

Ma dicevo.

Da qualche giorno avevo notato che Michele aveva nuovamente cambiato le cameriere, che il fratello che lo affiancava era misteriosamente sparito, sparito come il cuoco che da un paio di mesi era curiosamente comparso.
Eddi, il cuoco (sul quale ritornerò) era, per quello che avevo potuto vedere, un tipo alquanto curioso. Compariva dalle cucine quando meno ce lo si aspettava, con immancabile canotta rossa traforata, grassoccio come ci si aspetterebbe da un cuoco, improbabili tatuaggi tanto vistosi quanto sbiaditi (chi non ricorda i mitici tatuaggi trasferelli che avevano popolato la nostra adolescenza, o quelli che si trovavano nelle bustine tipo Panini); ma i tatuaggi di Eddi erano di dimensioni esagerate, modello Lucciardone.
Le sue apparizioni, poi, erano accompagnate da un alone di fritto-padella che evaporava dalla cucina ogni volta che si apriva e chiudeva la porta da saloon.

"Ué, Maicol – mi ero permesso di dire – ci siamo dati alla nouvelle cuisine?". Lo ammetto, ci sono battute che dovrebbero spegnersi prima ancora di essere pronunciate, a giudicare dallo sguardo fulminante con la quale venne accolta. Credo di ricordare, se la memoria non mi falla, che quel giorno Michele mi fece pagare il caffè a prezzo intero; non so se lo zuccherò perché, per paura che ci avesse immerso la spugnetta insaponata, preferii uscire senza la consumazione.
Comunque, alla mia osservazione che le cameriere continuavano a cambiare come i ragazzi che vedo entrare in casa della ragazza del 3° piano di dove abito, il Michele, prima ancora che avessi finito di pronunciare la mia frase, mi ribatté: "Sai cucinare?"
"Beh, Maicol, cucinare è una parola grossa, vabbé, ero indeciso se fare il liceo classico o culinaria, ma optai per il classico; adoravo cucinare per gli amici, ma lì, agli amici, imponi il menù che decidi tu e se, poi, sei in difficoltà, si può fare un salto in rosticceria: lo sapevi che i girarrosti S. Rita sono aperti fino a tardi? Le patate sono imbattibili".

Michele è persona di poche parole, abituato a fare lezione in palestra, le sue non sono domande, sono affermazioni che, per una curiosa inflessione nella frase, sembra abbiano un punto interrogativo alla fine.
"Cioè, volevo dire, certo che so cucinare".
"Allora vieni domattina 10.30-11".
Come contraddirlo, ho fatto un minimo il prezioso, ma, dopo tutto, non avevo alcun impegno, quindi gli risposi "Certo, certo, mon capitaine".

Il giorno dopo, in metro, ricordo che mi domandavo "Ma che cavolo so fare io in una cucina, alle prese con ordini, padelle, pentole, …".
Quando mi trovo in situazioni del genere, cerco di immaginarmi il mio peggior nemico, meglio se stupido, e mi dico che se lo sa fare lui, lo potrei fare anch’io.
Mi presento al bar alle 9, con due ore di anticipo e col mio miglior sorriso, ed imbocco la strada della cucina.
Faccio conoscenza con le due ragazze che facevano le cameriere, Anna e Simona.
Anna, ad essere sinceri, la conoscevo già per averla conosciuta quando, un pio di anni fa, frequentai la palestra del Michele, e ben presto seppi che Simona era una ex cliente del bar, anche lei disoccupata ed imbarcata in quest’avventura.
In questi ultimi anni ho imparato ad essere ottimista ed a vedere anche nelle situazioni negative il lato positivo: insomma, tre dilettanti allo sbaraglio, quattro naufraghi alle deriva, ma simpatici.

Altro lato positivo: il caffè gratis.

Nei momenti morti il Michele aveva l’abitudine di chiedere se qualcuno voleva un caffè, ed immancabile uno dei tre, forse per non ferirlo, forse per essere gentile, forse perché aveva fatto le ore piccole, cedeva all’offerta e gli altri, per non essere da meno, si univano.

Caffè per tutti.



In realtà sin dall’inizio era chiaro che l’esperienza sarebbe stata a termine. Non meglio chiarite situazioni tra Michele, il fratello di lui (quello scomparso) ed un socio ombra (nel senso che se ne parlava, ma nessuno la aveva mai visto) avevano portato alla chiusura della gestione del bar, ed il nostro compito era di arrivare alla scadenza del contratto. Sissì, alla scadenza, proprio come il latte.
Insomma, il nostro compito era di portare la barca in porto, evitando di farla affondare, o, ma è solo un altro modo di dire la stessa cosa, di fare meno danno possibili.
Era evidente che nessuno di noi fosse un mago dei fornelli, anche se io lamentavo che i fornelli non erano quelli a cui ero abituato e, certo, non si può fare buona cucina quando si devono sfamare impiegati che non avrebbero saputo distinguere un uovo sodo da un profiterol alla cioccolata.

Stavo entrando nella parte del perfetto millantatore.

In realtà il clima era cordiale.
Anna arrivava prima degli altri ed aiutava il Michele a preparare i panini. Io passavo dal mercato per fare la spesa di frutta e verdura, Simona, almeno i primi giorni, aveva convinto il padre a preparare dei secondi che dessero un senso al menù.
Fatti i panini era il momento della macedonia, in occasione della quale io diedi prova della mia maestria. La macedonia è quello che è, della frutta, ma io insistetti sull’accostamento dei colori e, nei giorni seguenti, rivendicai a me il ruolo – altrimenti insostituibile – di pensare alla macedonia.
Per preparare i savoiardi alla crema venne una volta Francesca, la figlia di Michele a darci lezione, mentre noi, diligentemente, prendevamo appunti. Per la crema alla bavarese fu più facile: la ricetta sulle confezioni Elah si dimostrò affidabile e precisa nelle dosi, anche se ciascuno di noi volle dire la sua, suggerendo di mettere chi più latte, chi meno cacao. Io fui irremovibile di fronte a chi voleva spruzzarvi sopra della panna spray.

La pasta merita un capitolo a parte.
Il cliente che si illude che ordinando la pasta nella pausa pranzo, per di più in un bar, ancor di più pretendendola in 5 minuti, si veda arrivare della pasta cotta al momento è uno sciocco.
La pasta viene (so già che per alcuni sarà il crollo di un mito) fatta bollire – non meno di 2 chili – in un enorme calderone intorno alle 11-11.30. Quindi si applica la regola del –3: si legge sulla busta il tempo di cottura suggerito e si tolgono 3 minuti. Se il periodo di cottura indicato è di 12 minuti, la si scola dopo 8 minuti e la si innaffia di olio per evitare che si incolli, effetto poco gradito a taluni clienti intolleranti che in tal modo manifestano personali repressioni freudiane.
Quando arriva il bigliettino con l’ordine, si butta in una padella e la si rianima con una buona e generosa mestolata di sugo.

La circostanza che fece dubitare ad Anna, Simona e financo a Michele che, forse ma forse io sapessi cucinare, fu che riuscii sin dal primo tentativo a far saltare la pasta in padella. Avete presente quello che si vede fare agli chef in tivvù nelle immancabili trasmissioni sulla cucina? Qualcosa del genere. I primi tentativi erano alquanto timidi, ma col passare dei giorni presi coraggio e ne divenni un vero cultore.
Abilità? Più che altro ha a che fare con quella parte del vostro corpo sulla quale vi appoggiate quando vi sedete. Ma tanto fece che meritai se non il rispetto (parola grossa), quanto meno il dubbio.
Per accrescere tale dubbio a mio favore, ripresi gelidamente Anna quel giorno che si incaricò di fare lei la pasta: l’acqua nella quale voleva annegare la pasta mi sembrava visibilmente insufficiente e non accettò alcun suggerimento di non andare oltre i limiti di cottura indicati. Ma, sinceramente, avete mai provato a contraddire una femmina in uno di quei giorni? Follia pura, autolesionismo, un tentativo irragionevole di suicidio.

La padella, comunque, divenne il mio scettro. Dopo il primo giorno mi esaltai a tal punto da non battere ciglio quando mi venne proposto di servire non una, ma due tipi di pasta: fornello destra pasta al sugo, fornello sinistra pasta al pesto.
La cosa un attimo più difficile da gestire era il microonde.
Di fronte a me avevo due microonde: a parità di potenza e di tempo, due cotture diverse. Come se non bastasse, a seconda dei giorni (se pari o dispari), dell’umidità dell’aria, della pressione barometrica, ogni giorno era una nuova avventura.
Poco male, si impara ad andare per tentativi.
A dire il vero il Michele, dall’alto della sua esperienza, aveva suggerito che noi assaggiassimo prima dell’arrivo dei clienti, e, ad essere sinceri, non ci fu giorno in cui non spergiurassimo di averlo fatto. Mai.

Per le lasagne verdi del secondo giorno ci sembrava che avessimo azzeccato il tempo, anzi, ad essere sinceri, le lasagne addirittura fumavano. C’era solo il dubbio, date le dimensioni e, soprattutto, lo spessore delle stesse, che all’interno, forse, magari, potessero essere ancora appena appena freddine.

Completamente calato nella parte, invitai, anzi ordinai ad Anna di portarle al tavolo, salvo poi, una volta rientrata in cucina, chiederle di affacciarsi alla porta per vedere la reazione del cliente.
Il cliente non si lamentò, ma io adottai un vecchio trucco che ci tramandiamo da generazioni tra noi chef: feci servire il cliente da Anna la quale, forse avevo dimenticato di dirlo, è anche sufficientemente carina.
Col passato di broccoli la sorte fu meno benigna.
Ritrovate in fondo al frigo in precario stato di conservazione, solo la scritta sul sacchetto indicava di cosa, forse, si trattava, mentre i più scettici avanzavano l’ipotesi del ragù.
Decidemmo di scongelarla rapidamente al microonde, ma, nonostante oltre dieci minuti alla potenza massima, una volta tirato fuori il piatto, emergevano dei blocchi di ghiaccio dal vago colore verdognolo.
Io suggerii di indicare sulla lavagna del menù ‘granita di broccoli’, ma la mia proposta, per quanto originale, venne bocciata per 3 voti a uno.

Per le verdure ci eravamo attestati su immancabili spinaci al burro, carote in varia foggia, ordine e dimensione, zucchine che Simona, lasciata per una volta da sola, aveva soffocato nell’aglio, zucchine gratinate. Insomma, una sana cucina ipocalorica, se si trascura il burro degli spinaci, pareggiato dall’aglio delle zucchine, che, però, dicono far tanto bene alla pressione.
Per la carne, invece, ci affidammo ad un servizio di catering.
Il tutto fece aumentare l’aurea di rispetto dei clienti nei miei confronti, anche perché Michele, per stizza nei confronti con Eddi (ricordate, il cuoco con la canotta rossa traforata) andava dicendo tra i tavoli che il cuoco era cambiato.

A questo punto vale sciogliere le riserve su Eddi.
E’ vero, la cucina era cambiata, non solo per il servizio di catering, ma anche perché, a quello che mi è stato riferito, l’Eddi aveva la cucina appena appena pesante. Alcune leggende metropolitane nelle quali, si dice, ci sia, comunque, un fondo di vero) affermano che alcuni impiegati una volta rientrati in ufficio venivano ricoverati con inverosimili livelli di glicemia; alcune cartelle cliniche – si dice – riferissero di vaghe tracce di sangue in vene ricoperte di strutto).




Eddi è omosessuale. E fin qui niente di male. Considerate che la cucina è il regno delle donne, mentre i grandi chef sono quasi tutti uomini. Senza contare che io inizio a giudicare la bisessualità semplicemente un’opportunità per raddoppiare le opportunità di frequentare delle persone.
Il fatto è che Eddi passava i tempi morti (e vi garantisco che fino alle 12 e dopo le 14 i tempi morti abbondano) chattando al piccì del bancone su linee gay e che, dulcis in fundo, gli amici gli inviavano foto a schermo interno di uomini nudi in improbabili accoppiamenti. Il fatto poteva, al limite ma proprio al limite essere accettato, se non fosse per il fatto, non trascurabile, che i clienti potevano tranquillamente pranzare vedendo le simpatiche videate.
Per rappresaglia il Michele staccò la cassa che collegava lo stereo alla cucina.
Tale circostanza suscitò la mia riprovazione ed al terzo giorno organizzai il primo sciopero che si sia visto in un bar per riottenere la musica. Incontrando la solidarietà di Anna e Simona la cassa venne ricollegata.
Eddi, tuttavia, aveva instaurato una disciplina che, se solo me ne fosse stata offerta l’opportunità non avrei esitato a restaurare, a costo di finire come il comandante del Bounty
Anzitutto, Eddi non lavava i piatti e, vi garantisco, giostrare con due padelle, due microonde, stare dietro agli ordini e lavare, nel contempo i piatti, non è cosa da poco.
Non solo, ma le ragazze dovevano anche essere pronte a presentargli i piatti al semplice comando "piano" o "fondo" prima che lasciasse cadere da mestolo in terra la pasta, la carne, la verdura etc.
L’usanza può sembrare ai non addetti un attimo barbara ed incivile, ma io credo che una sana disciplina sia la base di un sistema efficiente.
Infine, per non dover gestire contemporaneamente due ordini di pasta diversi, aveva il vezzo di preparare un pentolone di minestrone, sempre lo stesso, ma indicato nel menù ogni giorno con nomi diversi. Il pentolone veniva tenuto su una fiamma bassa e soddisfala l’unico ordine della giornata: quello della nipote!

Restava qualche avanzo? Nessun problema. Immancabilmente, tra le 14 e le 14.30 arrivavano gli ultimi sei clienti, il gruppo di rock&folk e della Feltrinelli i quali si accontentavano di quello che avanzava. Bastava presentarlo con un sorriso, magari sottolineando che lo si era messo da parte per loro ed il giuoco era fatto.

Dalle 14 si riassettava la cucina, si pulivano le due sale, si lavavano i pavimenti.
Solo la pulizia dell’affettatrice era compito che non si poteva sottrarre a Simona. Per quanto qualcuno avesse avuto la dabbenaggine di pulirla prima o se anche Simona stessa l’avesse pulita prima delle 14, immancabilmente, con calma serafica ed irremovibile Simona la ripuliva in ogni dove.
Andati via i clienti, si pranzava con quanto restava e, se avanzava qualcosa, si portava a casa per eventuali genitori Anna), fratelli (Simona), gatti (io).
Insomma, in poco più di due settimane i clienti impararono ad apprezzare cucina e piatti perfettamente puliti, mancanza di cui, ora, dovranno farsene una ragione, dal momento che il bar è chiuso.

Alla fine immancabile caffè per tutti.

Adesso che il bar è chiuso, a parte cercare – come prima – un lavoro, mi resta un dubbio: ... e dove vado a prendere il caffè adesso?

NON E` una storia di pura invenzione.
Nel racconto SI FA riferimento a fatti e persone REALI.

venerdì 13 marzo 2009

10. Tutta questione di organizzazione (parte 4/4)


Io non sono scaramantico, non dò peso a date scaramantiche, quindi non mi fermo certo davanti ad un venerdì 13.
L'appuntamento è per le 11, presso gli stessi uffici dove la settimana prima avevo sostenuto il colloquio per un call-center.
Mi presento alla reception cercando di indossare la faccia di chi non è mai stato lì.
Arriva il buon Enrico che, dopo una prima mezz'ora quando parla solo lui, mi presenta la boss, Cinzia.
Le solite presentazioni di rito, la nuova presentazione della società che mi ingollo nuovamente, la prospettiva delle gioie offerte dal magico mondo della telefonia, ...
Cinzia finisce la sua prolusione, sfoggia il suo migliore sorriso e mi chiede se ho delle domande.

Esordisco, forte dei miei anni dedicati alla formazione, chiedendo se è prevista una formazione per i fortunati consulenti.
Già che ci sono preferisco iniziare con qualcosa di facile.

"Certo - mi dice lei -, una bella due giorni presso Telecom, anche se - garantisce - sono praticamente superflui, perché i servizi si vendono da soli".
"Bene, vorrei qualche chiarimento su come il call-center prende gli appuntamenti". Ve ne accorgete, o no, che sto cercando di prendere in mano la situazione?.
Ma, come si dice: "L'uomo propone, ma Dio dispone!".
"Giusto - ribatte lei e io, pronto, capisco che è inutile cercare di prendere Cinzia di sorpresa e che ha una risposta per tutto -. Dunque le ragazze del call-center per metà giornata promuovono i servizi Telecom con contatti telefonici, cercando di concludere i contratti per telefono, per l'altra metà della giornata cercano di prendere appuntamenti".
Cerco di evitare di fare ulteriori domande su questa curiosa 'concusione' dei contratti per telefono abbinata alla definizione di appuntamenti, domande del tipo "se prendono delle provvigioni per i contratti che chiudono da loro, che interesse hanno a prendere appuntamenti per i consulenti?"

Mi frulla un'altra domanda: è lei che mi ha chiesto di fare domande!
"Oltre a telefonia fissa e mobile e adsl, vengono offerti altri servizi?".
Insomma, sono tentato di dirle che non vedo molte opportunità di guadagno solo per tali eventualità. Senza contare che parliamo di imprese small e medium.
Sempre con un sorriso ammiccante, la risposta - del tipo lapidario - è "Al momento no".
Non mi scoraggio per il 'no', e penso che sia 'al momento, no'.
Chiedo quali siano i data-base che la Telecom passerebbe loro, quali siano le informazioni che forniscono.
Cinzia ha veramente una risposta per tutto: "Beh, un elenco delle società (sempre small e medium) che hanno un contratto Telecom, che tipo di contratto e se sono passati ad altro gestore"
Mi verrebbe da dire che, in fondo e dopo tutto sono le informazioni che si potrebbero ricavare dalle pagine gialle, ma desisto.
Preferisco domandare come il simpatico consulente prende nuovi appuntamenti per conto proprio.

Capisco di passare per stupido, ma Cinzia è condiscendente e e mi prende per mano (immagine figurata) come si farebbe come un bambino: "Ecco, il consulente si muove su tutto il territorio: Torino e prima provincia (niente meno) e prende direttamente contatto con i potenziali clienti, possibilmente fissando appuntamenti per telefono".
Sono tentato di chiederle che differenza vi sia tra una ragazza del call-center ed un promotore, pardon consulente, che si muove qua e là sul 'territorio', ma evito. Preferisco giocare di rimando e chiedere se sia previsto un posto di lavoro dal quale poter telefonare.
Evito di dirle che, se dovessi telefonare da casa, servirmi del mio piccì senza linea adsl, scarrozzarmi in auto forse il gioco non varrebbe la candela, perché è lei che mi soccorre benevola: al momento non è prevista alcuna postazione di lavoro. "Certo, c'é un possibile telefono presso il centro Pier della Francesca, sempre che la stanza non sia già occupata. Quando, però (ecco, c'é un 'però') avremo una sede, i 7-8 agenti che lavoreranno avranno una, forse persino due posti di lavoro...si tratterà di organizzarsi".

"Massì, mi dico e le dico, è tutta questione di organizzarsi".
Quando tutto sembra volgere per il peggio, ecco il colpo d'ala della Cinzia: "Naturalmente il consulente deve essere motivato, per questo, per i primi due mesi abbiamo revisto un fisso".
M'illumino.
Cerco di non far trasparire tutta la mia aspettativa di fronte a quella magica e semplice parola 'aspettativa' ed alla domanda se penso che il lavoro possa essere di mio interesse, rispondo "Assoutamente sì!".

A distanza di una settimana l'Enrico mi invia un essemeese per chiedermi la disponibilità a frequentare un corso di formazione.
L'approccio mi sembra alquanto inusuale: possibile - mi domando - che chi ha un accordo con Telecom cerchi di risparmiare una telefonata inviando essemmesse?
Ma, oramai me ne sono fatto una ragione, il mondo è strano.
Decido di prendere tempo e di rilanciare, inviando a mia volta un essemmesse: "Fino a fine settimana sono fuori Torino, può nel frattempo inviarmi via e-mail copia del contratto?".

Devo proprio dire che l'Enrico non si è più fatto vivo o vi lascio con la suspancia del dubbio di come sia andata a finire?

L'ho detto, il mondo è strano, ma da quando ho smesso di cercare di capire il perché vivo non bene, ma certamente meglio.

NON E` una storia di pura invenzione.
Nel racconto SI FA riferimento a fatti e persone REALI.

giovedì 12 marzo 2009

9. Tutta questione di organizzazione (parte 3/4)


Il buon Enrico mi chiama per fissare un appuntamento, se possibile, il giorno dopo.

Non avendo altri appuntamenti in agenda gli rispondo prontamente di sì, ma gli chiedo dove.
La prende alla larga, sento che si sta perdendo "Ha pvesente covso Fvancia, il cavalcavia di covso Fvancia, ...".

La cosa sembra farsi complicata e, poi, non so a voi, ma a me questa 'evve' inizia a farmi venire il mal di testa, quindi decido di capire dove vuole arrivare e lo interrompo: "Cavalcavia di corso Francia?, forse via Torino, magari il palazzo di vetri con su l'insegna della Delphi".

L'Enrico è sorpreso dalle mie doti intuitive, lo lascio senza parole, per fortuna (mia) senza parole perché mi sarei perso in una selva di evve avvotate e, forse, arrotolate.

Il fatto gli e` che in passato ebbi gia` modo di lavorare nello stesso, medesimo, uguale palazzo.
Mentre parlavo con l`Enrico mi tornavano in mente i tristi paesaggi della suburbe, il fantomatico cavalcavia: un ingrato luogo destinato ad eterni ed intericabili ingorghi stradali.
Unica nota positiva dell`ingorgo - ai nostri giorni dov`e` cosi` difficile fare nuove conoscenze - e` che rende possibili nuovi incontri: possono ritrovarsi amici dopo anni, possono nascere nuovi amori.

Sempre che non ci si ammazzi.

L'appuntamento è per domani.

NON E` una storia di pura invenzione.
Nel racconto SI FA riferimento a fatti e persone REALI.

martedì 10 marzo 2009

8. Tutta questione di organizzazione (parte 2/4)



Arrivo, al solito, puntuale. Oramai ho una certa dimestichezza coi colloqui.
Trovo persino il tempo di ingannare l'attesa per fumare una sigaretta: non mi si può rimproverare che io sia originale.
Finita la sigaretta, chiamo ed il buon Cagnozzi mi dice che scende a prendermi.

Aspetto fiducioso. Mi guardo intorno. Il custode fa il custode, gente che va e gente che viene, negozi con le vetrine tinte di bianco e annunci di vendita, uffici chiusi.
Vedo arrivare un signore minuto con la faccia da Cagnozzi, ed è effettivamente il Cagnozzi.
I soliti convenevoli, si scusa per avermi fatto attendere, ma spiega che è difficile trovare l'ufficio se non si conosce la strada.

Effettivamente mi rendo conto che sarebbe stato difficile: un piccolo corridoio, terza, quarta porta, a sinistra, subito a destra, ascensore, primo piano, corridoio di fronte all'ascensore, a destra dopo le macchinette del caffé, ancora a destra, terza porta a sinistra dopo le ragazze del call-center.
Ammetto che non sarebbe stato facile arrivare da solo: " bravo il Cagnozzi: uno a zero per te!".
Tutto in ordine nella sala riunioni ed un bel tavolo che mi rassicura.

Confesso di non aver ancora capito di che lavoro si tratti.
Per fortuna il buon Cagnozzi prende la situazione in mano.
"Dunque, noi (nel senso di loro) ci occupiamo per conto di telecom della vendita di sevvizi di telefonia mobile e fissa e di veti adsl".
Non ho nemmeno il coraggio di dirgli che tutti si lamentano di Alice e muovo ritmicamente la testolina in segno di assenso.
"Ho visto il suo cuvviculum e mi sembva che almeno le sue due ultime occupazioni (ndr. quelle presso le assicurazioni) siano in linea con quello che stiamo cevcando"
"Noi (sempre loro) ci occupiamo della pvomozione di sevvizi di telefonia (capisco che l'Enrico è uno che ama ribadire i concetti) pvesso le SME....lei sa cosa sono le SME, vevo ?!?!".

Il buio, il vuoto: SME???
La mia inarcata di sopracciaglia deve dirla lunga sul mio bluff, perché l'Enrico soggiunge benigno "Small, Medium Entevprises".
"Ah, certo, certo" gli rimando.

"Quello che noi stiamo cevcando sono 'consulenti' (e ci risiamo coi consulenti) che vadano a pvesentare i nostvi sevvizi pvesso le piccole e medie impvese".
"Per fave questo ci sevviamo di alcune vagazze che lavovano al call-centev e che fissano gli appuntamenti".
Dal che ne deduco - perspicace come sono - che, non essendo una ragazza, mi propongano di fare l'agente, pardon, il consulente.
"In questo savebbevo aiutati dal fatto che Telecom passevebbe loro gli elenchi di colovo che si avvalgono già di sevvizi Telecom e di quanti hanno lasciato Telecom per sevvivsi di altvi gestovi. Insomma, si tvattevebbe di propovve contratti Telecom, Tim ed Alice".
Non voglio scoraggiarlo: l'Enrico ha un più che evidente tic al collo che glielo fa rigirare quanto più la conversazione va avanti e mi sembra eccessivo dirgli che, forse (ma proprio forse) non è che ci si possa proprio arricchire con queste offerte, considerando anche che molti accedono ai servizi Telecom spontaneamente rispondendo alle offerte promosse tramite pubblicità televisiva, volantinaggio in buca, punti vendita presso grande distribuzione, ...

I tic nervosi mi mettono sempre un po' in soggezione. Preferisco lasciarlo parlare.
La sua esposizione va avanti per 5-10 minuti con improbabili battute da buon venditore ed io lo lascio dire, socchiudendo di tanto in tanto gli occhi in segno di apporvazione.
Poi, la classica domanda immancabile nei colloqui "Lei (cioé io) pevché pensa di esseve adatto per questo lavovo?"
Oramai non sono certo questo genere di domande a mettermi in difficoltà: gli dico con malcelata esaltazione che il campo della telefonia risente meno di altri settori della crisi (come la gente si ammala, non può fare a meno del telefono), che semplicemente adoro il marketing - in tutte le sue forme -, che amo il contatto coi clienti, che mi rassicura avere alle spalle una garanzia come Telecom (trascuro, glisso alla grande il fatto che non sono da anni cliente Telecom), che mi sembra ottima l'idea che ci sia un servizio di call-center che prende gli appuntamenti".

"Ecco - Enrico si sente di dover puntualizzare - le vagazze del call-centev una volta entvate a vegime dovrebbevo prendere almeno due appuntamenti al giovno, gli altvi se li deve procuvave il buon consulente".
Mi trattengo dall'obiettare che col Berlusca siamo già sotto un regime, sorvolo sull'uso del 'dovrebbe'.

Insomma, il simpatico incontro va avanti per circa una mezz'oretta.
Alla fine il buon Enrico mi dice che ho fatto una buona impressione (merito della cravatta, penso) e che, certamente, mi fisserà un nuovo appuntamento per conoscere la 'boss' (parola sua) della società.
Qui l'Enrico mi si perde un attimo, perché mi dice che nmon sa ancora se il prossimo appuntamento sarà dove siamo o presso un'altra sede.
Sto per tranquillizzarmi pensando che ci siano almeno due sedi, quando l'Enrico mi dice che la società (sto per dire Ad majora, ma lui mi previene precisando) Advalora non ha ancora una sede sua-sua, hanno fatto una proposta per un locale dalle parti di via Novara, ma per i prossimi due mesi si dovranno appoggiare presso altri indirizzi.

Ho come la vaga, vaghissima sensazione di sentirmi come Alice nel Paese delle meraviglie: ma un dubbio mi punge (ed i dubbi sanno essere molto, molto pungenti) se io sono Alice, il Cagnozzi chi sarebbe...il cappellaio matto ?!?!

"Poco male, - mi/gli dico - ... mi faccia sapere".

NON E` una storia di pura invenzione.
Nel racconto si fa riferimento a fatti e persone REALI.

lunedì 9 marzo 2009

7. Tutta questione di organizzazione (parte 1/4)


Guardo sconsolato l'agenda: questa settimana nessun colloquio in programma.

Passo la mattina a dragare internet alla ricerca di qualche offerta. Come avrebbe detto il comandanted el Titanic "niente all'orizzonte".
Primo pomeriggio, squilla il cellulare: identificativo sconosciuto.
Una volta non rispondevo agli identificativi sconosciuti, ma oramai mi sono rassegnato e rispondo a qualunque chiamata. Inutile fare tanto il difficile.
"Ah, buongiovno, il signor Griffevo?"

Sono tentato di coreggerlo, precisando 'il DOTTOR G.'. Ho studiato tanto per il titolo, ma sono tempi difficili e, forse, non fossi 'dottore' sarebbe più facile trovare un lavoro.
"Sì - rispondo - con chi parlo?".
A domanda risponde con domanda: "E' lei che ha visposto a un'offevta di lavovo?".
Ho risposto a così tante offerte che potrei tranquillamente essere io. D'altra parte ho nulla da fare questo pomeriggio, tanto vale stare al gioco.

"Buongiovno" riprende senza desistere l'interlocutore, evidentemente dev'essere un entusiasta della nuova primavera che si sta avvicinando dal momento che continua a riprendere il concetto della buona giornata.
"Chiamo per il cuvviculum che lei ha inviato, pev conto dell società Advalova".
Confesso che il nome mi dice poco nulla, anzi, più nulla che poco, ma abbozzo.
"Stiamo pvocedendo ad una selezione e volevo sapeve se lei poteva esseve intevessato".
Non ho la minima idea di cosa si tratti, ma, al punto in cui sono, sono interessato a tutto.
"Assolutamente sì", rispondo, se non altro, mi dico, sarà un modo per conoscere persone nuove, in questo mondo dove si va perdendo il gusto della socializzazione.
"Lei quando potvebbe nei pvossimi giovni?" e, senza darmi il tempo di rispondere, sento che sta per sciorinare una serie di possibili appuntamento nell'arco dei prossimi mesi.
"Pev esempio, domani potvei aveve uno spivaglio nelle pvime ove del pomeviggio".
Ecco, bravo, mi sembra un'ottima idea, e non voglio che, a forza di arrotare tutte quelle 'erre' finisca col farsi del male.
Lo blocco: "Per me potrebbe andare benissimo, dove?".
"Corso Svizzera 185, sa dov'é?".
"Immagino al centro Pier della Francesca, sissì, so dov'é".
Sento che probabilmente avrebbe voglia di parlare di più, ma preferisco bloccarlo prima che cambi idea: niente niente ci ripensa ed io mi perdo un'occasione.
A questo punto non mi resta che rifare la prima domanda con la quale avevo esordito : "Scusi, di chi devo chiedere?".
"Mi chiamo Envico Cagnozzi, glielo sillabo".
Sono tentato di dirgli che ho capito, 'Cagnozzi', come 's-cagnozzi senza esse', ma mi sembra azzardato, e ripiego su "Beh, sì: 'Cagnozzi' come ... 'cagnozzi' ".
"Esatto, le lascio il mio cellulare, una volta arrivato mi chiami, così le indico la strada'.
Gli rispondo sissì, anche se la cosa si presenta un po' curiosa, carbonara, da loggia massonica.
Ma la domanda che mi pongo è "Ho qualcosa di meglio da fare domani? No! E allora, andiamo".

NON E` una storia di pura invenzione.
Nel racconto SI FA riferimento a fatti e persone REALI.

venerdì 6 marzo 2009

6. Consulenza citofonica



Nella continua ricerca di un lavoro ho preso l'abitudine di guardare anche nelle vetrine dei negozi.
Quando vedo che cercano collaboratori prendo buona nota dell'indirizzo di posta elettronico e mando.
Se non c'é l'indirizzo non demordo: ho imparato a girare con una paccata di civvì; li imbusto e li imbuco.
Non mi sfuggono ristoranti che cercano lavapiatti (niente meno che il Cambio), pizzerie che cercano camerieri (giusto a due passi da casa), gelaterie che cercano stagionali.

Non potevano sfuggirmi le agenzie immobiliari.
In fondo il mercato immobiliare tiene più di quello di borsa. Chi aveva un mutuo che non può più pagare vende e chi ha soldi compra.


Tecnocasa pubblica una annuncio di ricerca di personale ed io non posso mancare: mi sembrerebbe di far loro un torto.

Venerdì pomeriggio.

La giornata sa di primavera.

Sono indeciso tra vestirmi in modo informale e serioso: mi decido per un serioso informale.
Con calma risalgo corso Telesio ed arrivo alla fermata del 36 di corso Francia.
Controllo di avere il biglietto. Ho il biglietto.
Affannosamente arriva il bus. Salgo e prendo posto.
Dovendo arrivare fino al capolinea di Rivoli ho tutto il tempo per rilassarmi e considero le informazioni che ho avuto su Tecnocasa.

Rivedo in vetrina l'annuncio, ad un tempo semplice, chiaro, diretto che recita:
"Se vuoi vedere lontanto sali sulle spalle dei giganti Tecnocasa".



Pagano a provvigioni, questo lo so. Ma voglio essere ottimista: può sempre darsi che ci sia uno straccio di fisso e, poi, ad un colloquio non si dice mai di no.
E' come chiedere la prima volta ad una ragazza di uscire: finché non si chiede non si sa se dirà di sì o di no.

Arrivo in tempo, come mio vezzo solito.

Non ero praticamente mai stato a Rivoli, l'ho sempre solo attraversata in auto.
L'impressione è abbastanza piacevole. Non ci sono case-casermoni, la piazzetta al centro del paese ha proprio l'aria di una paese. Ne deduco che Rivoli è un paesone. Sono sempre stato forte nelle deduzioni e me ne compiaccio.

Via dei Cavalieri di Vittorio Veneto, la trovo subito.

Altra piazzetta con ragazzi che mangiano gelati.
Arrivo con 5 minuti di anticipo, ma, mi dico, è sempre bene arrivare un po' prima, ma, soprattutto, non è che ci sia granché da vedere in attesa.

L'agenzia non è né grande, né piccola: proprio come ci si aspetta un'agenzia immobiliare.
Sono tutte uguali, non per nulla hanno inventato il franchising.
In queste settimane ho anche notato che non solo tutte le agenzie ‘immo’ si assomigliano, ma è immancabile in tutte la presenza di belle ragazze.

Anche qui la bella ragazza non manca. Forse, per i miei gusti un po' troppo appariscente, ma - mi dico- io sono qui per un lavoro. Non è ben chiaro quale sia il loro ruolo: non fanno vedere le case ai clienti, non credo - e, comunque, ne dubito - sappiano stenografare, immagino non sappianopreparare il caffé, ma sorridono, sorridono sempre, sorridono tanto.
E poi, diciamoci la verità, anche l'occhio vuole la sua parte!
Comunque, penso, farà parte dell'arredamento e, quindi, tanto meglio.

Mi presento ed anche il titolare dell'agenzia si presenta: "Piacere, Alessandro de F.". Sorriso cordiale ed un po' stereotipato, un classico per chi vende case.
"Piacere, Romolo Griffero".
Fin qui tutto bene, me lo sto cavando egregiamente, più che egregiamente.

Il de F. cerca qualcosa tra le carte sulla scrivania. Mi sembra appena appena in imbarazzo.
Mi chiede se ho il civvì, altrimenti - ma penso lo dica solo per rassicurarmi - si ripropone di scaricarlo dalla mail.
Capisco che, forse, il vero pratico di colloqui sono io e non voglio metterlo in difficoltà: "Non si preoccupi, ne ho uno con me" e glielo porgo.

Lo legge corrugando la fronte per dimostrare la concentrazione.
"Bene! - dice finita la lettura - quello che noi cerchiamo è un consulente: è finito il periodo degli agente, quello che noi vogliamo sono collaboratori che sappiano fare consulenza ai clienti".
Non so perché, ma questa storia del 'consulente' non mi è nuova.
de F. prosegue: "Le dico cosa facciamo".
Non voglio creare problemi, sarebbe abbastanza facile dirgli che immagino di sapere cosa fanno: preferisco un condiscendente "Mi dica".

Parte il pistolotto su Tecnocasa, leader nazionale nel mercato immobiliare etc., etc.
Mi mostro ad un tempo sorpreso ed interessato e, già che ci sono, compiaciuto.
Quando finisce la tiritera e prende fiato sembra per un momento perso e cala un luuuuuuuuuuuuuungo silenzio.
Oggi sono e mi sento particolarmente buono e cerco di soccorrerlo.
Ho tutto il pomeriggio libero e, tutto sommato, mi va di fare un po' di pubbliche relazioni.
Prendo in mano la situazione e parlo delle prospettive del mercato immobiliare nell'attuale crisi economica.


Mi sembra compiaciuto e me ne compiaccio.

"Ma lasci che le parli della parte retributiva...nessuno lavora per nulla".
Bravo Alessandro, mi permetto di passare mentalmente dal 'lei' al 'tu': è bello avere a che fare con una persona concreta che viene al sodo.
Dunque, Tecno propone un fisso, che nei primi periodi è di 550 euro per poi diventare di 750.
Alessandro mi piace sempre di più.

Si interrompe nuovamente.

Capisco che ad Ale bisogna fare domande e ne approfitto, anche perché non so come uscirne se aspetto che se la cavi da solo.
Mi permetto di chiedere se e che tipo di formazione è prevista. Mica scherzo nel civvì quando scrivo che mi sono occupato di formazione per tanti anni.
"Giusto, la formazione. Allora per i nuovi arrivati in Tecnocasa sono previste due settimane in agenzia all'inizio, settimane che servono per imparare i rudimenti. Orario, dalle 9:00 alle 13:00 e dalle 14:30 alle 20:00, dal lunedì al sabato".
Non mi scompongo di fronte agli orari.

Lui continua.

"Per queste due settimane non è previsto un contratto: servono a Lei per capire se il lavoro è quello che cerca ed a noi per dare una prima valutazione".
Vabbé, sono appena appena perplesso perché non c'é un contratto, indi nemmeno una retribuzione, ma oramai sono qui.
"Superato questo primo periodo è prevista una o due settimane di formazione in aula: l'anno scorso era una settimana, non so quest'anno se sono due".
Ale, Ale, ad un colloquio si dovrebbe arrivare preparati. Sono quasi tentato di dargli qualche minuto per prepararsi.
Comunque, considerando che ci vuole una decina di giorni prima che decidano chi sarà il nuovo fortunato collaboratore, due settimane aggartis in prova, 1 o 2 settimane di formazione, ergo se tutto dovesse andare bene non si vede una lira, pardon, un euro prima di maggio/giugno.
Sento che il mio conto in banca si mette a ridere ed a singhiozzare: d'altra parte non saprei come dirgli che se non potrò guadagnare una sfinzica non potrò pagare la prossima rata dell'assicurazione dell'auto.
E quando inizierà a piover, diluviare, grandinare, nevichiare, beh, quando iniziarà, inizierò a preoccuparmi
Massì, finché fa bel tempo...

"Ma parliamo delle provvigioni".
Bravo Ale, parliamo, anzi parlami di provvigioni.
"Dunque, sulla conclusione del contratto è prevista una provvigione del 10-12%, a meno che il contratto non arrivi dal portafoglio di un altro cliente: in questo caso è prevista una provvigione -ah, volevo ben dire - dell'1%".... 'Azz!!!
Chiedo maggiori lumi sulla differenza tra 10% e 12%.
La risposta di Ale, ma può essere un mio difetto, è tra il vago e dil lapidario: "Dipende dal contratto".
Mentalmente mi ripeto: "Piuttosto che dimostrare la mia stupidità parlando, meglio stare zitto e lasciare il dubbio".
Inizio a sentire che, forse ma forse, potrebbe esserci qualche difetto nella proposta che non vedo, miope come sono.
Una cosa è certa, certa perché è Ale a chiarirla: l'1% è nel caso di sostituzione di un agente che non possa essere fisicamente presente alla conclusione del contratto, quindi in caso di sostituzione.
Il 10-12% sui contratti di NUOVI clienti di portafoglio.
Ale sente di avere la situazione in pugno ed affonda: "Il primo anno, per l'apertura della partita IVA e per le altre pratiche amministrative vengono detratti a carico dell'agente 2.300 euro. Il secondo anno di meno"
"Certo, certo - rispondo, perché il secondo anno la partita IVA è gia stata aperta, ... ma io ho già la partita IVA: posso usare quella o devo aprirne una nuova?"
Ale sbanda appena appena: "Non so, non saprei, mi devo informare".



"Ale, Ale - mi viene da dirgli - ai colloqui di lavoro si arriva preparati", ma desisto ed abbozzo: oggi è una bella giornata, pare quasi primavera ed io mi sento buono.




Questa volta sono io che, probabilmente, ho bisogno di essere rassicurato.
Ale lo deve aver intuito ed il suo tono di voce si adegua, diventando calmo e paterno.
"D'altra parte Lei consideri che la mattina dell'agente, ops, del consulente viene passata 'dragando' tutta la zona che gli viene assegnata. Così si ha la possibilità di conoscere perfettamente la propria zona, conoscendo i negozianti e ... facendo consulenza citofonica".
'Citofonica' mi giunge nuova, mi faccio coraggio è chiedo delucidazione.
Ale sfodera un sorriso ammiccante, si guarda intorno, si sincera che la porta sia chiusa, sento che sta per succedere qualcosa ed io non sono tanto sicuro di voler sapere cosa stia per succedere.
Si allunga sulla scrivania e mi sussurra, come se parlasse ad un fidato complice, a qualcuno di cui sa di potersi fidare: "Noi presentiamo la nostra consulenza ANCHE al citofono": non Solo, ma ANCHE al citofono!

Non mi vengono altre parole che: "Geniale, semplicemente geniale!!!".

Lo ammetto, sono sorpreso, persino basito, cerco di assumere l'espressione di malcelata ammirazione.

Ale è soddisfatto della sua esposizione ed io sento di aver conquistato la sua fiducia: 10 minuti prima neppure ci conoscevamo, mentre ora mi rivela il segreto che manderà allo sbaraglio la concorrenza: la consulenza citofonica. "Ma perché - mi dico - a nessuno era mai venuta in mente?".

Ale si gigioneggia un attimo appena appena compiaciuto e mi domanda se penso che il lavoro mi possa interessare.
Chi sono io per deludere una persona che mi ha appena confidato un segreto dimostrandomi la sua stima ed amicizia?

"Certo, certo!", gli rispondo.

NON E` una storia di pura invenzione.
Nel racconto SI FA riferimento a fatti e persone REALI.

giovedì 5 marzo 2009

5. Rapido ed indolore


Ieri altro colloquio

Ve l’avevo detto che oramai ci sto prendendo gusto. Uso il ‘Ve’ perché il numero di lettori delle mie (dis)avventure si sta vieppiù allargando ed io sono quasi arrivato alla conclusione che sto facendo questi colloqui più per voi che per me.
'Carissimi amici' (mera captatio benevolentiae) vi prometto che se anche, qualora, nel caso in cui trovassi un lavoro, vi prometto che continuerò ad aggiornarvi.
Anzi, chi dovesse indicarmi qualche contatto, qualche opportunità, qualche cosa, ebbene prometto che cotui/costei riceverà in anteprima il mio diario.

E’ pur vero che se intendo prossimamente intendo propormi quale ‘integratore di colloqui’ (per quelle selezioni dove i candidati siano in numero insufficiente) ovvero come ‘delatore di colloqui’ (per riferire ai selezionatori cosa gli altri candidati dicono in attesa di essere ricevuto e/o durante i momenti in cui il selezionatore si allontana) devo fare esperienza.

Questa volta occorre, almeno, in questa fase iniziale, non distrarsi, perché la premessa è fondamentale per capire il prosieguo; come qualcuno disse ‘E’ la somma che fa il totale.
Allora, il colloquio mi è stato procacciato da un amico. Un amico di vecchia data, molto vecchia ed allora – quando ci conoscemmo – non avrebbe mai immaginato di trovarsi con questa palla al piede. La palla sarei io, ma che nessuno si azzardi a pensare ch’io sia ingrassato. Faccio la mia porca figura e sono pronto a sfidarvi tutti ad una prova bikini in vista dell’estate.

Dicevo, l’incontro mi è stato procurato da questo amico, diamogli un nome, Matteo.
Ora, Stefano ha una moglie, Silvia.


Silvia ha una carissima amica, ex compagna di classe, che ha sposato Marco.
Tutti e quattro frequentavano lo stesso liceo.
Tanto per complicare le cose, Matteo, Marco ed io ci eravamo conosciuti al mare.
Fin qui ci siamo?
Bene.

La settimana scorsa Matteo, Silvia, Marco e la moglie di Marco vanno a cena insieme.
Tra una portata e l’altra Stefano e Silvia, avendo - la cosa è del tutto evidente – finito gli argomenti, parlano di un loro amico alla ricerca di un lavoro.
L’amico-palla sarei io.
La moglie di Marco si propone affinché Stefano le invii il curriculum, che poi sarebbe il mio, da far vedere al padre. Lei lavora col padre.

Lunedì vado a trovare Matteo. Vista la bella giornata ci facciamo due passi.

Con estremo garbo (si vede che ha studiato dai preti), Matteo mi accenna alla cena.
Fin qui se la giuoca di sponda.
Quindi mi dice che durante la cena hanno parlato di me e, per non annoiarvi – ma soprattutto per non costringermi a riscrivere quanto già scritto -, spero sia stati attenti, altrimenti rileggiate il paragrafo precedente.
In buona sostanza mi chiede la disponibilità ad inviare il cv.
‘Cavoli, ‘azz, ma certo’, gli dico, io che già stavo pensando, progettando, architettando col mio civvì di imbucare le buche della posta, ti tappezzare i tappeti, di manifestare con manifesti.

Matteo si sente in dovere di darmi alcune indicazioni sul padre della moglie di Marco (lo ammetto, non mi ricordo il nome), compagna di classe di Silvia, moglie di Stefano.
Anzitutto, è un self-made man, estremamente rigido, duro coi dipendenti.
Fin qui ci vedo niente di strano: ‘Una persona che si è fatta da sola è solo da ammirare’.
Per farmi un esempio mi dice che anni fa un loro amico (suo e di Silvia, la moglie) aveva lavorato col padre della moglie di Marco (certo che se mi ricordassi il nome tutto sarebbe più facile), ma dopo un anno fa si era congedato mandandolo aff’ in ufficio.




‘Vabbé – gli dico – mi sembra un’uscita un po’ plateale, ma sai com’è, a volte ci vuole, può essere liberatorio’.
‘Eppoi – aggiungo – dopo aver lavorato 5anni5 in Paradigma, col bisogno di lavoro che ho, se il problema è questo, o Stefano, vai tranqui-tranqui ed –illo'.

‘C’è un’altra cosa che ti devo dire’ aggiunge.
‘Dimmi …’,
gli dico. E’ tutto un dire-dire.
‘E’ molto, molto, molto, ma molto cattolico’.
‘Ci vedo nulla di male: pensa se fosse testimone di Geova, magari anche ebreo, comunista e marocchino…’.
Per rinforzare il concetto mi fa un esempio.
‘Devi sapere che a volte veniva a prendere la figlia a scuola e, quando incontrava dei compagni di classe, chiedeva loro se la domenica erano andati a messa’.
‘Beh, -
mi sento di dire – forse appena un po’ eccessivo’.
'Sì – conclude – ma devi sapere che se qualcuno aveva la dabbenaggine di rispondergli affermativamente, chiedeva che passo del Vangelo avevo letto’.
‘Non ti preoccupare
– lo rassicuro – tu dimmi che passo hanno letto domenica scorsa ed andrà tutto bene’.

Ma sento che non è tutto lì.
Infatti Stefano aggiunge ‘Ecco, … (a volte i silenzi contano): non sopporta e neppure capisce l’ironia o le battute mordaci. Bisogna (anche l’uso dell’impersonale ha il suo valore, gli amici si riconoscono anche per questo) as-so-lu-ta-men-te (avverbio volutamente sillabato per dare enfasi) evitare le battute".
‘Occhei Matteo– lo rassicuro – lo sai che anch’io detesto la mordacità (la parola giuro che mi è venuta fuori così, come se l’avessi appena letta sulle parole crociate, nella terza di copertina, la pagina con le soluzioni). Che ti devo dire, a me le persone sempre spiritose irritano, mi provocano delle irritazioni cutanee’.

E nel dire ciò, per dare più forza al concetto espresso, gli faccio vedere un graffio che mi ha fatto il gatto sul braccio.
"E, comunque, - gli dico concludendo - non ti preoccupare: sto già chiedendo perdono per i miei peccati!".

‘Ah, dimenticavo – conclude Matteo – il padre produce profilati metallici’
‘Profilattici metallici? Stupendo, è un mercato che tira anche in questo momento di crisi’
Lo sguardo torvo mi attraversa ‘No, mi giustifico, lo dicevo tanto per dire: sento che mi sta già venendo un attacco di orticaria’.

Martedì mattina. Ore 8.50. esco dalla doccia, bello rasato come il culetto di un bambino. Mi vesto, mica vorrete che esca nudo.
Esco di casa, vestito, e chiamo l’ascensore.
Rientro: dimentico sempre il cellulare.
Una chiamata, identificativo sconosciuto.
A parte la sfiga di non aver risposto, l’id sconosciuto mi dà il pretesto per non richiamare, indi risparmiare.

Vado a farmi tosare e, mentre sono lì beato a farmi fare lo shampoo (una delle gioie più belle della vita per chi – come me – è oramai un anziano signore che legge e scrive poesie) ri-squilla il cellulare.


E' Matteo.
Mi informa che il padre della moglie di Marco mi ha cercato (ecco chi era). Mi lascia il numero, ma ancora un avviso ‘Mi ero dimenticato di dirti che è sordo: frasi breve e con voce decisa!’.
‘Sarà fatto!’.





Oggi (ieri per chi la dovesse leggere oggi), l’atteso colloquio.

Arrivo venti minuti prima, proprio perché sono preciso.

Mentre che sono lì che cerco di ingannare il tempo passeggiando sotto i portici di piazza Vittorio, riordino le idee.
Avevo detto che la società opera nel campo metallurgico.
Forte del nome della società e ringraziando mai abbastanza Google, rintraccio il sito della società.
Detta società, leggo nella home page, fornisce in tutto il mondo (e sottolineo tutto il mondo perché qui non è il caso della mail ‘globalizzazione’, qui le lingue bisogna parlare sul serio) ‘migliaia di tonnellate di acciaio strutturale, materiali da costruzione e materiali per il piping’.
Oddio, sul piping non so molto, mi viene in mente il petting, anche se non penso sia la stessa cosa.
Io – qui dovete andare sulla fiducia – me la cavo più che egregiamente con l’inglese. E pure col francese ed il portoghese.
Ma il guaio è nella pagina dove si precisano i prodotti di interesse.
Cito: ‘tondo per cemento armato, rete elettrosaldata, vergella e derivati, laminati mercantili, marciavanti metallici, flange, piastre per ancoragge’ e taccio del resto.
Ora, onestamente, chi di voi – e mettete alla prova anche i vostri amici che si vantano e ve la menano di conoscere ferpettamente (sissì, ferpettamente) l’inglese.

Se, poi, siete particolarmente bastardi deep inside (visto che con l’inglese me la cavo), e gli amici di cui sopra ve l’hanno massacrato e sbeffeggiato dicendovi (magari – aggravante – di fronte alla vostra lei/lui) che parlano altrettanto bene il francese, chiedete loro come si traducono i suddetti prodotti in francese.
Se, alla fine, volete massacrarli definitivamente chiedete di tradurli in altra lingua di loro scelta.

Insomma, mi rendo conto che le possibilità sono veramente ma veramente risicate.

Ma chi non risica non rosica, quindi mi faccio coraggio.
Suono il campanello, salgo.
Secondo piano.
La ragazza alla reception mi accoglie con un sorriso capisco che è una buongustaia, e come darle torto), mi chiede il motivo della visita e mi invita a compilare un modulo.
Mi accomodo nella sala riunioni ed ammiro il bel tavolo: di legno, solido, liscio come un tavolo da biliardo.
Appesa al muro c’è persino una carta geografica di tutto il globo terraqueo: aggiornata!
Vabbé, mi rassegno: oramai sono in ballo e mi tocca ballare, anche se – lo ammetto – ho mai ballato in vita mia.
Prendo in mano il modulo, oramai ho una certa dimestichezza coi moduli.
Questo sembra persino banale.
Il solito nome, il solito cognome, scuole, patente, stato civile (professione della moglie????), figli, se sì età e professione (??????).
Disponibilità a viaggiare all’estero: fichissimo. Certo che sì!

Va precisato ‘per periodi di quale durata?’: ma per tutto il tempo che volete, vorrei scrivere.
Insomma, mi sembra di essere in un’agenzia di viaggi.
Mi immagino già a bordo piscina, ovviamente a Djakarta o in Sud America. Oppure piccolo piccolo tra i grattacieli di New York.
Vebbé, quest’euforia me la concedo per poco, ma è piacevole.

In attesa, ricordandomi le avvertenze di Stefano, mi rammento che l’incontro è con un cattolico tutto d’un pezzo.

Mi tornano in mente, nell’ordine, il ‘Pater noster qui es i coelis’, quindi l’ ‘Ave Maria gratia plena’, il sempre trascurato ‘Angele Dei qui custos es mei’, e – last but not least – ‘Pace aeternam dona eis Domine’.
Già che ci sono allungo l’occhio ai libri sugli scaffali. Il più comprensibile è sul rame e le sue leghe.

Finalmente arriva.

Elegantissimo, tiratissimo, piccolo piccolo. Però, penso, con quelle mani potrebbe avvitare i bulloni delle portaerei a giudicare dal peso che deve avere l’orologio che porta in giro.
Però mi rasserena vedere che assomiglia all’ultimo Gianfranco Funari: stesso ciuffo bianco, stessa barbetta bianca.

Gli sorrido, gli tendo la mano per shakerare la sua che mi tende ed io spero solo che non me la stritoli.
Aspetto che mi dica ‘Il Signore sia lodato’, perché io sono pronto come una molla per rispondergli ‘Sempre sia lodato’.
Guarda il mio civvì e gli si corruga la fronte.
Lo so, lo so, avrei dovuto mentire: visto il sito su internet avrei dovuto capire che stanno cercando ingegneri poliglotti inkazzati col mondo.
Ma io ho preferito non mentire: o piaccio come sono o niente!
E che nessuno faccia della facile ironia ricordandomi che forse è per quello che sono ancora single: io sono ancora single perché IO ho deciso di restare single.
D’altra parte vedo che ha un vero e proprio sconforto quando legge che non ho figli.
Vorrei rassicurarlo, dirgli che non sono sicuro di non averne, ma che neppure ho mai avuto richieste per riconoscimento di paternità.
E’ vero che, vista la mia attuale situazione di disoccupato non sono certo un bocconcino appetibile, ma – che diamine – ho pur sempre un bel sorriso.



E’ quanto meno confuso.
Mi chiede perché io abbia inviato il civvì, e come dargli torto.
Gli ricordo che il contatto mi era stato offerto nientepopodimeno che dall’avv. Matteo.
A sentire il solo nome di Matteo si illumina. Si capisce che Matteo è il figlio che avrebbe sempre voluto.
E’ talmente di buon umore che mi dice: ‘Leggendo il suo c.v. potrei darLe un 5 e mezzo, un 6 meno. Ma – e qui si sente che cerca di giustificarsi – ho all’attenzione almeno altre due candidature molto interessanti’.
Io capisco subito che una delle due deve essere quella di Matteo, anche se non è ingegnere, anche se non è poliglotta, anche se non è inkazzato col mondo.

Però mi sento buono, lo rincuoro e lo ringrazio persino del tempo che mi ha dedicato.
Lui, e qui mi accorgo che sta bluffando alla grande, mi dice che non devo ringraziarlo, che la mia candidatura sarà valutata e, se positivamente, mi telefonerà personalmente. Niente meno.
Vorrei battergli una pacca sulle spalle, dargli un buffetto sulla guancia, intonare con lui un kirie leison.

Esco dall’enorme portone e, sotto la pioggia fina fina, mi accendo una sigaretta.

Guardo l’orologio: il tutto è durato dieci minuti, ed in dieci minuti – rincuorandolo – sono anche riuscito a fare una buona azione: rapido ed indolore.

NON E` una storia di pura invenzione.
Nel racconto SI FA riferimento a fatti e persone REALI.


lunedì 2 marzo 2009

4. (mai fare) domande sciocche


Oramai ne sono certo.
In due anni di ricerca del lavoro c’è stato il periodo in cui a chiamare per un colloquio erano le società di assicurazioni, è poi venuto il momento delle società di intermediazioni finanziaria: ora è quello dei call center.
Oggi nuovo colloquio, inutile dire per un call center.

L’inizio sembrava benaugurate.
La società ha sede in corso Francia, quasi a Collegno, ed il caso vuole nello stesso palazzo dove già ho lavorato anni fa.
A causa della metro arrivo con un anticipo esagerato. La zona è industriale. Per passare il tempo antro in un bar per un caffè e sfumazzo una sigaretta.

Trovo persino una panchina da dove osservo le auto, i camion, i pulman sfrecciare.
Tutto molto urbano e molto romantico.
Arrivo con un quarto d’ora d’anticipo, tanto che ci sto a fare in giro?
Negli ultimi sette anni non devono aver innaffiato le piante dell’atrio, che giacciono agonizzanti.
Sicuro di me come non mai trovo subito l’ascensore e non esito a pigiare il pulsante del quarto .piano.
Ricordo talmente bene la pulsantiera che azzardo persino a schiacciare il pulsante per la chiusura rapida delle porte. In ascensore non sono solo, ma io non concedo confidenza ad alcuno perché ho imparato che non bisogna parlare con gli sconosciuti!

Entro, mi presento alla reception e senza che nemmeno abbia il tempo di finire la frase l’enorme signora mi fa accomodare contro il muro insieme agli altri convocati.
Stile riconoscimento-confronto da telefilm poliziesco.
Questa volta sono decisamente il più vecchio.
Poco importa.

Alle 15, puntualissima, arriva la selezionatrice che ci accompagna nella sala dove si svolgerà l’incontro di gruppo.
Mi sento rassicurato: questa volta il tavolo c’é.
Siamo in sette, due ragazzi (uno dei quali molto affascinante, coi capelli brizzolati sulle tempi, appena un accenno di stempiatura) le altre (che per forza sono cinque) ragazze, decisamente giovani, decisamente alternative.
E’ vero, sta tornando di moda lo stile anni ottanta: pantacollant, nastri nei capelli, una vagamente sul punk.
Mi viene quasi da pensare che, data l’età, potrebbero essere miei figli.
Scaccio velocemente il pensiero.
Ileana, l’esaminatrice, si presenta, presenta la società, potrebbe presentare di tutto, persino fare la presentatrice.
Fin qui tutto nella norma ed io mi mostro interessato, molto iteressato.
Nel distribuire un questionario, Ileana chiede come siamo venuti a conoscenza dell’offerta di lavoro.
Quand’è il mio turno rispondo ‘tramite internet’. Questo sicuramente metterà in luce la mia volontà testarda di cercare lavoro tra i mille annunci.
Niente da fare.
Mi supera una ragazza che afferma che sua cugina lavora già lì e un ragazzo (l’altro, non io) che ne è venuto a conoscenza tramite suo padre che è amico di uno dei titolari.

Tra le domande più acute del questionario "se tra 5 anni (proprio 5) troverai un lavoro migliore, che ne farai di questo?" ed ancora "quale lavoro non faresti mai?" oppure "se al telefono risponde una madre e sul fondo senti un bambino piangere, cosa fai?".

Quando ritira il questionario, Ileana richiede alla ragazza di cui sopra "chi hai detto che conosci che lavora qui?".
E la ragazza, prontamente : "mia sorella".
La cugina – lo giuro – è diventata la sorella. Per fortuna Ileana è più stupita di me ed è lei a farselo ripetere.
Già che c’è Ileana presenta anche il lavoro.
Alcuni verranno selezionati per conto di Prontoseat, altri per Mediashopping: merd, il Berlusca è veramente in ogni dove.
Poco male, mi dico, decido di mostrarmi interessato a tutt’e due le ipotesi: se, poi, mi dovesse andar bene, mi capiterà Prontoseat.

Tra me e me mi viene da pensare che quando feci il colloquio per Prontoseat si parlava di 560 euro netti per un part-time. Ovvio che qui si tratta di un appalto o simili e l’emolumento andrà ridimensionato.
Ma non mi distraggo e mi mostro interessato. Più di quanto non fossi prima.
Ileana avverte che si tratterà di un contratto a progetto. Sempre tra me e me - ho molta confidenza con me stesso - mi dico "ecchisenefrega? Sporchi, dannati e subito".

Ileana chiede se sappiamo cos’è un contratto a progetto e se qualcuno di noi ha già lavorato a progetto.
Tutti alziamo la mano per rispondere che tutti, ma proprio tutti e sette abbiamo lavorato a progetto.
Mi guardo bene dal dire che sono addirittura laureato addirittura in giurisprudenza e che ho persino organizzato convegni sui co.co.pro.: ma quanto ero giovane ed incosciente?
Insomma, alla mia scemenza c’è un limite. Mi ci è voluto del tempo, ma l’ho imparato.

Ileana ci vuole spiegare comunque cos’è un contratto a progetto, insistendo sulla tutela offerta dalle similitudini al lavoro subordinato, esaltando gli aspetti che lo avvicinano al lavoro autonomo.
Sarò sincero - non lo sono sempre? - la spiegazione è confusa: la lavagna è piena di cifre che si rincorrono e non sono del tutto sicuro che i calcoli siano corretti.

Ma io sono sono d’accordo, d’accordissimo con Ileana.
Resisto, ma a stento, alla tentazione di alzarmi in piedi e di battere le mani.
Intorno al tavolo gli altri convocati si scambiano delle occhiate taglienti, ma così taglienti che io spero di non finire sulla loro traiettoria.
Ileana chiede se abbiamo capito.

Abbiamo capito e saremmo pronti a seguirla in capo al mondo.





Con molta non curanza premette, alla parte che segue, che i contratti sono a tempo determinato: 1 mese.
Evabbé, penso, iniziamo a sistemare un mese, intanto cerchiamo altro.
Eppoi Ileana ci rassicura: il contratto di co.co.pro., ingiustamente denigrato, prevede anche il caso di gravidanza.
Buono, se resto incinto ho il culo coperto.

Ileana affronta l’aspetto più importante: la retribuzione.

Ileana dice subito di essere molto dispiaciuta – ed io le credo – perché, purtroppo, non ha ancora il ‘prezziario’ (giuro che le sfugge proprio ‘prezziario’), ma si corregge subito con ‘le tabelle retributive’ del mese di marzo per quello che riguarda Prontoseat e Mediashopping, ma, per fortuna, ha quelle di Tele2.
Il corrispettivo offerto da Tele2 è leggermente più alto, ma i correttivi al ribasso sono minimi.
Allora, ragionando su Tele2.
Lavorando 5 giorni la settimana per 5 ore al giorno, realizzando 800 contatti utili al mese (non valgono i casi in cui a rispondere siano segreterie telefoniche o quelli in cui dall’altra parte attacchino il telefono NB non viene precisato se valga il caso in cui mandino aff’), e concludendo almeno 10 contratti al mese, la retribuzione è di circa (l’esempio è fatto su Tele2, basta rivederlo ‘leggermente’ al ribasso) 320 euro.
LORDI.

Rispettando i 5+5+800+10 al netto sarebbero circa 250 euro.
Ileana sente il bisogno di rassicurarci: con 15 contratti si ha un bonus di 100 euro.
So che si stenterà a crederlo, ma nella stanza la perplessità era, come dire, palpabile.

Il sorriso di Ileana è splendido, rassicurante.



A questo punto annuncia la prossima fase: una simulazione di telefonata.
Distribuisce una serie di fotocopie dei prodotti da vendere durante la simulazione.
A me tocca uno sbiancadenti per soli 49.90 euro. In fondo mi sento fortunato: ad altri sono capitate cinture per snellire gli addominali, arbre magique, …
Ileana ci dice che ci lascerà 5 minuti per studiare la presentazione del prodotto.
Prima che si allontani il ragazzo (sempre l’altro) dice che la cosa gli sembra ridicola e che preferisce andarsene. Un’altra ragazza lo segue.
Ileana non si scompone e li congeda con un che di gelido.
Ileana non è ancora uscita dalla stanza che due ragazze (una alla mia destra ed una alla mia sinistra) si dimostrano leggermente irrequiete perché alla società interinale che le ha mandate avevano prospettato 100 euro in più al mese e senza vincoli tipo 800 contatti ‘utili’. Scappa loro anche qualche aggettivo che io, anziano signore che legge e scrive poesie, non oso né posso ripetere.

Allora.

I selezionati seguiranno un corso ‘non oneroso’ di una settimana, dalle 11 alle 16. il corso è obbligatorio e lo si deve seguire tutto: pena essere scartati.
Una ragazza domanda "non onerosa nel senso di non retribuita".
Sciocchina.
Mi permetto di porre un’altra domanda, tipo: "nella denegata ipotesi che in un mese non si raggiungano gli 800 contatti ‘utili’ + 10 contratti, immagino che (a parte il non rinnovo del contratto) sia tuttavia certo il minimo di 250 euro".
Ileana mi rassicura: "è statisticamente dimostrato e dimostrabile (e ridajè con lo statisticamente dimostrato, vedi colloquio c/o Mediolanum) che i neo-assunti il primo mese realizzano il primo mese almeno 800 telefonate utili, il che corrisponde a circa 10 telefonate l’ora (senza pause equivale a 1 telefonata ogni 6 minuti) e che durante dette telefonate non solo si spiega il prodotto, ma si convince persino a comprare. Anzi, con un può di buona volontà si arrivano a stipulare una quindicina di contratti".
Ora, non è esattamente la risposta alla mia domanda, ma io abbozzo e ringrazio per il chiarimento.
In verità qualcosa non mi torna: non sono più così sicuro di voler seguire Ileana in capo al mondo.

Non so esattamente quale sarà l’esito di questo colloquio, ma una cosa l’ho imparata: mai fare domande sciocche...o finirai con l'avere più dubbi di prima!

NON E` una storia di pura invenzione.
Nel racconto SI FA riferimento a fatti e persone REALI.