giovedì 24 settembre 2009

40. 'Non ti ricordi quel mese d'Aprile ...' (parte 2)

(omaggio a Claudio A.)







La sede del coro dovrà, poi, essere così suddivisa:







La cantina

Sarà, naturalmente, la parte più spaziosa e capace della sede. Accudirà ad essa un ‘cantiniere’ scelto con particolare abilità nello stappare e nella eccezionale destrezza e velocità nel porgere. Dovrà anche essere fornito a dovizia di denaro personale in modo da anticipare ai fornitori il prezzo delle bevande che i coristi si guarderanno bene dal rifondergli.


La segreteria
Anche questa sarà abbastanza spaziosa, almeno per contenere il segretario, alcuni tavoli atti al gioco delle carte, un ampio armadio per contenere dizionari di insulti nelle principali lingue straniere, un dizionario sul come dire al proprio avversario ‘sei fortunato’ in modo osceno ed in 1000 modi diversi, un cavatappi di riserva, collezioni delle principali riviste pornografiche danesi, giochi da tavolo e di società, varie amenità, qualche minerale.


Sala delle prove

Indubbiamente la meno importante. Basterà un piccolo recesso di 2 m. x 2 m. se fornito anche di una grossa tazza di ceramica bianca e di una catena metallica con manopola di materiale plastico, potrà essere adibito anche ad altri scopi di non secondaria importanza.

La sede del coro dovrà, poi, essere insonorizzata; anzitutto, per la sottile e più o meno inconscia vergogna che coglie tutti i coristi al pensiero che altri possano sentire intonare per la millesima volta il canto ‘oh, su quell’alte cime la pastorella, ..’, poi per non far sentire ad altri timorati vicini le tremende imprecazioni che possono sfuggire durante le partite a carte o durante la somministrazione delle pene corporali.
Materiali atti alla in sonorizzazione non verranno considerati i normali pannelli isolanti costruiti allo scopo, ma materiali ben più fantasiosi e divertenti quali contenitori da uova vuoti, contenitori da uova pieni (in questo caso si consiglia di cambiare le uova almeno un paio di volte l’anno), gusci di uova, omelettes, frittate alle cipolle, piatti di trippa alla parmigiana, pacchi di cambiali scadute, fotografie di cori (purché cori trentini propriamente detti)., vecchie foto in bianco e nero del monte Camino in diverse prospettive e scattate nell’arco di tutta la giornata, meglio se in inverno.

Per l’addobbo delle parti si veda quanto già detto con riferimento alla bacheca. Va, comunque, bene qualsiasi cosa che, purché di dubbio gusto, ecceda le dimensioni della medesima.

Doloroso aspetto del coro che si verifica nella quasi totalità dei cori presi in esame (per non dire che ne costituisce la regola) è il lento ma inesorabile declino psicofisico del maestro.

Questo triste aspetto della pur gioiosa vita di un coro pare sia dovuta alle copiose bevute cui il maestro è costretto per non perdere la faccia di fronte ai coristi, anche perché come già più volte osservato nel corso della trattazione, il ero permanere in un coro per un certo lasso di tempo obnubilerebbe le pur forti facoltà mentali di chiunque. Come è noto Freud ed Einstein non hanno mai fatto parte di un coro ... e non sembra un caso. Non risulta, peraltro, che neppure lo stesso Dante indugiasse in tale passatempo.
Riconoscibili sintomi dell’avanzare di queste penose condizioni in un maestro sono dapprima un vago tremore alle mani, poi l’occhio annebbiato e spesso vitreo, momenti di vero e proprio letargo (che vengono scambiati e confusi con dei pianissimo con le tragiche conseguenze che si possono immaginare nel caso che ciò avvenga nel corso di un pubblico concerto), complesso di persecuzione, fantasie sado-masochistiche, desiderio irrefrenabile di entrare a far parte di gruppi della sinistra e/o destra extra-parlamentare spesso contemporaneamente), morbose tendenze a credersi la reincarnazione di Rasputin.

Nel 1949 un Maestro del bresciano, completamente sordo (un buon udito non è un requisito indispensabile per essere un buon Maestro di coro, anzi...) credette di essere la reincarnazione di tale Parlotto Cremonazzi, giovane del luogo in odore di santità, morto alcuni anni prima per indigestione di krapfen che divorava in grande quantità allo scopo di mortificare la carne.


Mentre dirigeva il bel canto (‘Alé hop montagnards che l’edelvais già spunta’ gli apparve, in un enorme krapfen rosa il Cremonazzi che lo esortava ad abbandonare la peccaminosa vita del coro per darsi alla penitenza ed alla predicazione.

Il Maestro, tale Orlandi Rinone, gettò immediatamente la bacchetta alle ortiche e, lasciato il coro e le sue pompe, si ritirò in un vicino forno a predicare, fare miracoli ed a dare i numeri del lotto.

Se, però, possiamo citare questo esempio edificante, quanti altri ne potremmo citare per terribile e sconvolgente contrasto! E’ questo, comunque, il momento in cui il maestro, o chi gi sta vicino, deve decidere il frapporre come una barriera fra lui ed il coro come lo scudo del crociato si frapponeva al fendente dell’infedele.

Questa persona è il Segretario del coro.

Questo importante personaggio svolge all’interno del coro funzioni a dir poco delicatissime. Egli si accollerà tutte quelle beghe quotidiane che il maestro non può svolgere.

Il coro è il segretario, ed il segretario è il coro, sia nelle grandi cose (comprare sigarette al maestro) sia nelle piccole cose (la gestione economico-sociale del gruppo stesso).
Il Maestro però, vista l’importanza del segretario, non commetterà l’errore di sceglierlo fra i ‘facenti funzioni del maestro’: questi sono personaggi infidi, la cui unica ambizione nella vita è di diventare Maestro di coro e non perdono l’occasione di scalzare il legittimo titolare ricorrendo a tutti i mezzi leciti (come la defenestrazione e l’avvelenamento) o illecite che siano (come indicarne l’incapacità musicale e lo stato di progressiva e continua distruzione mentale) per raggiungere i loro sordidi scopi.
Il segretario non deve nutrire queste ambizioni; sarà quindi scelto fra coloro troppo ottusi per averne. Il segretario, insomma, non deve brillare per sagacia, tanto più che non gli si richiede di avere vinto un Nobel.

Al massimo potrà fare, a tempo perso, il Presidente del Consiglio.

Gli si richiederanno, invece, ben altre qualità. Anzitutto, un’etica militar-religiosa ben precisa (il Maestro, che spesso deve essere riaccompagnato a casa, non ama svegliarsi la mattina senza portafoglio, oltre che col mal di testa). Poche idee, meglio una sola, ma chiare e precise su tutto.
Sosterrà la Controriforma in politica, il sistema tolemaico-aristotelico come cosmogonia, non perderà occasione per vantare i pregi del codice borbonico in materia di diritto, sarà spesso sentito esclamare ‘Ah, quando c’era lui!’, intendendo per ‘Lui’ non certo il ‘Lui’ che tutti potrebbero intendere, bensì Cangrande della Scala, e, al minimo accenno della passeggiata dell’uomo sulla luna, scoppierà in una sincera, argentina risata di incredulità.


Come, dunque, ricompensare adeguatamente una persona tanto preziosa? La cosa risposta: i grafici. Sappiamo tutti quanto importanti siano i grafici nella vita di ogni individuo e quanto ognuno di noi ambisca a tracciarne continuamente.

Ebbene, i grafici all’interno del coro sono esclusiva competenza del segretario.
Il segretario, quindi, si autocompenserà passando il proprio tempo libero a graficheggiare (grafeggiare?, gratificare?) qualsivoglia manifestazione del coro.
Avremo i grafici su: i più alti, i più bassi, scapoli-ammogliati, l’uso del termine ‘sesquipedale’ nel corso di un anno sociale, gite al monte Camino (altezza dello stesso, larghezza, nevosità, tragitto da valle al rifugio), litri bevuti, litri non bevuti, assenti-presenti, buoni-cattivi, …

Naturalmente, il maestro dovrà almeno fingere di apprezzare il lavoro grafico del segretario e, almeno una volta l’anno, è tenuto a guardare uno dei qualsivoglia grafici borbottando ‘Mmmh, bene bene, …’.
Altra figura leggendaria, quanto enigmatica, all’interno del coro è il ‘probo viro’. Non si sa esattamente cosa siano i probi viri. Forse sono il retaggio di antiche usanze feudali: essi rimangono nel coro perché un nome latino fa sempre colpo.


E’ anche una delle cariche che ogni tanto il maestro distribuisce per ammonire o prendere a gabbo i coristi. Es.: ‘Tè, laggiù, si proprio te, d’ora in avanti fai il probo viro’.

Altri tipi di carica onorifica dal nome roboante quanto inutile sono: gran duca del coro, barone imperterrito del falsetto, …

Ci rendiamo ben conto di non aver esaurito, con questi brevi cenni, l’argomento e ce ne scusiamo. Ma ci eravamo posti proprio all’inizio questo preciso compito: brevità e concisione.
Conclusione

Adesso, scusatemi, ma inizia 'C'è posta per te'. RicordateVi: lo faccio per Voi!


39. 'Non ti ricordi quel mese d'Aprile...' (parte 1)

(omaggio a Claudio A.)





Non ti ricordi quel mese d'Aprile
Quel lungo treno che andava al confine

Che trasportavano migliaia degli alpini

Su-su correte: è l'ora di partir

Dopo tre giorni di strada ferrata

Ed altri due di lungo cammino

Siamo arrivati sul Monte Canino

E col sereno ci tocca riposar

Se avete fame guardate lontano

Se avete sete la tazza alla mano

se avete sete la tazza alla mano

che ci rinfresca: la neve ci sara'

perché l’è figlio di un vecchio alpino.
E gli mise la penna nera

perché l’è figlio di un vecchio alpin.


Come molti di Voi sapranno (gli altri possono far finta di saperlo) da quasi due anni ho scandito rigorosamente le settimane e financo le giornate al fine di ovviare al pericolo del tedio, della noja e della depressione con quello che ne consegue.

Sveglia tutte le mattine alle 7 (8 il sabato; quando capita la domenica), fuori casa entro al massimo e, lo sottolineo, al massimo alle 9. Poi, col bello come col cattivo tempo, col sole, con la pioggia, col vento, con la neve: fuori.

Una ricerca ostinata di un lavoro, di un qualsiasi lavoro (meglio sarebbe un buon lavoro) all'internette point, all'emeroteca (leggasi Biblioteca Nazionale). Contatti sociali, visite di cortesia per la serie 'non si sai mai che ne venga fuori qualcosa'.

Di tutto, insomma, pur di non rimanere chiuso, recluso in casa. Anche perché - l'età è quella giusta - il rischio del 'rinco' (leggasi 'rincoglionimento') è dietro il classico angolo. Sono portato geneticamente alla pigritudine, al bradipismo. Il segreto è uscire di casa quando, complice un bioritmo lentissimo sino alle 10 del mattino, non sono ancora in grado di connettere, di intendere, di capire quello che sto facendo.
Quando, poi, sono pienamente sveglio e nel pieno possesso delle mie capacità mentali, beh.. è troppo tardi. Cerco, sempre con estreeeeema lentezza, di capire dove sono, ma, oramai, è troppo tardi e, soprattutto, sono troppo lontano da casa.

Quindi, tanto vale mi dia da fare per... fare qualcosa.

Considerando che, infine, sono per esigenze contingenti (leggasi 'disoccupazione') diventato cinico, estremamente cinico e spietato, tanto vale che cerchi qualcosa di utile per me. Nel caso di specie, che cerchi un lavoro.

Ma, dicevo, meglio, scrivevo qualche riga fa, il rischio è rimanere chiusi in casa.

Per fare qualcosa in casa, senza troppa fantasia, l'unica soluzione è pulire. Ma, pulita la casa un giorno, ri-pulita la casa il giorno successivo, ri-ri-pulita la casa il giorno che segue, non resta altro da fare il quarto giorno che mettere tutto in disordine, a soqquadro (lo sapevate che 'soqquadro' è l'unica parola in italiano con 'qq'?) per tornare a pulire e ri-ri-ri-rimettere in ordine il quinto giorno.

Unica alternativa è piazzarsi, inchiodarsi davanti al televisore ed attendere, neppure troppo, che l'encefalo si appiattisca. Eventualità che, non lo nascondo, ha i suoi vantaggi, ma questo è un altro discorso.

Incollati che vi siete davanti alla tivvì, beh, non c’è che l’imbarazzo della scelta per ridurre in pappa il cervello.

In questi giorni è ripreso ‘X Factor’.

Ne avevo sentito parlare, ma non avevo mai avuto occasione di vederne una puntata: l’ho fatto per Voi!

Ora, sarebbe giuoco facile lanciarmi in un’analisi socio-popolar-cultural-semiologica di tale spettacolo – et similia – ma sarebbe troppo facile, banale, scontato, ma quivi non voglio dilungarmi in quella che sarebbe – forse – un’inutile e per vero oziosa dissertazione sul significato di tali manifestazioni e sui presunti effetti destabilizzanti sulle giovani menti.

Dopo averVi stupito nelle precedenti puntate con sempre qualcosa di inaspettato, non voglio neppure in questa occasione essere da meno. La mia missione, in mancanza di meglio, è cercare di stupirVi con effetti speciali.

Fedele a questo intendimento, vorrei, invece, parlare di un problema che mi sta particolarmente a cuore: quello dei cori di montagna, tema al quale credo che dedicherò una breve operetta morale.

Se non avete di meglio da fare, potete continuare nella lettura.

Partiamo con la base, con l’a-b-c-, con quello che non deve assolutissimamente mancare in un coro di montagna.




Orbene, non deve mancare, all’interno di un coro che si rispetti, una BACHECA. Non perché, come qualcuno potrebbe erroneamente pensare, essa possa servire per appenderVi comunicazioni, o.d.g., etc., anzi questa usanza sarà severamente deplorata e proibita all’interno di un coro appena degno di questo nome.

Unici messaggi tollerati sono quelli del segretario, e solo se particolarmente rabbiosi ed osceni. Anzi, il grado della loro tollerabilità sarà direttamente proporzionale al numero di oscenità e/o di imprecazioni ivi contenute.

Ad esempio, tollerabile messaggio da bacheca potrà considerarsi il seguente: “Maledetti figli di (parolaccia) quanto (parolaccia) di volte vi devo dire di pagare quel (parolaccia) di quota sociale che il tesoriere sono mesi che mi rompe i (parolaccia). Avete capito, i miei (parolaccia)”.

Come si noterà non diamo suggerimenti alla voce ‘parolaccia’ (lasciamo liberi i segretari di sbrigliare la propria fantasia); è anche lampante che viene apprezzato nel messaggio un sincero e virile disprezzo della grammatica e della sintassi.

Utilissima, invece, la bacheca si rivelerà per:
  • attaccarvi ogni tipo di foto e stampa pornografica,
  • caricature, lazzi feroci, foto compromettenti, cambiali e tratte scadute di uno qualsiasi dei componenti del coro
  • attaccarvi ogni sorta di articoli, titoli di giornale, brani di pubblicazione che possano dare adito a doppi sensi di rigoroso dubbio gusto
  • attaccarvi le ‘cartoline del coro’
Queste, di solito, si dividono in tre tipi:

  • cartolina paesaggistica recante sul retto (nel senso di davanti) traccia a biro ripassata e visibilissima, recante la dicitura ‘noi eravamo proprio qui’ e recante sul verso almeno 10.000 firme di cui nessuna deve essere leggibile;
  • cartolina recante una florida ed ammiccante ragazza nuda e sul verso la scritta ‘io e la (nome di fantasia, generalmente straniera, tipo Edy o Mary, Samantha - meglio con l'h' -, …) vi mandiamo tanti saluti e … - maliziosi puntini ammiccanti – bacioni!’
  • cartolina recante sul retto la veduta di un monte ‘ostregheta bocia che sgnapa che avemo ciapà!’
Inutile porre alla Vostra attenzione – sicuramente ne avrete sentito parlare - circa la riottosità, l’indolenza ed i continui stati di ebbrezza che spesso caratterizzano i componenti di un coro. Sarà, quindi, necessario che il maestro, per mantenere un minimo di disciplina e non correre di continuo il rischio di risse, ammutinamenti, insurrezioni varie ed eventuali, golpe ecc. (soprattutto questi ultimi per un malinteso senso di emulazione coi potenti che a volte può cogliere i coristi) ricorra, severo ma giusto, alla somministrazione di pene corporali e morali, che da ora in avanti chiameremo ‘punizioni’ per non incorrere in spiacevoli equivoci verificatesi anche nei migliori cori.

Di fatto, poi, oltre che a mantenere la disciplina, esse potranno rappresentare per un maestro che ne faccia un sapiente ed oculato uso, una vera oasi di piacere sano e virile, un momento di vero e proprio, come si dice adesso, relax. Persino di climax!

Potranno concedergli quelle soddisfazioni delle quali la vita all’interno di un coro è altrimenti abbastanza avara e sostituire divertimenti più dispendiosi e pericolosi come il poker fra colleghi (se non è, come può accadere, un abile baro) o il cinema. Soprattutto quest’ultimo potrà essere completamente sostituito con indubitabili vantaggi non solo per la tasca, ma anche e specialmente dell’anima e del morale.

Sappiamo, purtroppo, quali bassi livelli abbia raggiunto qualunque pellicola proiettata oggigiorno nelle apposite sale, con i deleteri effetti che si possono immaginare non tanto sulla psiche già seriamente compromessa degli anziani, ma principalmente in quella, peraltro molto più sviluppata, dei giovani.

Le famiglie al completo potranno, invece, assistere alla somministrazione delle punizioni corporali, felice di un divertimento sano, sicura che non assisterà a volgarità, utile alla formazione completa dei giovani virgulti che presto cominceranno ad apprendere cosa si debba intendere per disciplina, senso del dovere e del corretto esercizio del potere.

Dette punizioni potranno, quindi, diventare un’occasione per aprirsi liturgicamente ai non coristi, mettendo in tal modo a tacere quelle malelingue – che mai mancano – secondo le quali all’interno di tali cori, peraltro rigorosamente maschili, si svolgano riti pagani e financo orgiastici, con la presenza dell’immancabile ballerina di lap-dance cubana.

La parvenza, il decoro (verso l’esterno, verso i non coristi) devono sempre essere rigidamente ed ossequiosamente rispettati, fatti oggetto di un vero e proprio culto.

Ciò detto, passiamo immediatamente a descrivere queste punizioni, secondo la suaccennata definizione.

PUNIZIONI CORPORALI

Non possiamo purtroppo, come altri invece hanno in altri tempi lodevolmente fatto, compilare un’esatta casistica di mancanze e relative punizioni.
All’uopo si trovano già preziosi manualetti a stampa o a mano a cura di una o più istituti o case di rieducazione.

So anche di alcuni cori in cui è in uso un’opera veramente notevole, frutto dell’esperienza di rieducatori oggi a riposo (‘Gioia della disciplina’, ed. Kappler, Norimberga, 1936). Purtroppo, questo manuale è di difficile consultazione poiché scritto in tedesco, lingua ostica soprattutto per chi ha anche scarsa dimestichezza con lo stesso italiano.

Cercheremo, invece, mantenendoci nelle linee generali, di dare qualche consiglio di massima.

Un buon maestro con un po’ di fantasia, dovrà e potrà inventare sempre nuove punizioni, il che costituirà una continua sorpresa gioiosa tanto per i puniti quanto per gli spettatori, che non mancheranno di elogiarlo e di congratularsi con lui. E’ così difficile oggi farsi quattro sane risate!

Naturalmente, la punizione sia sempre proporzionale alla mancanza: non bisogna infierire od abusare dell’autorità concessa: a mancanze leggere, punizioni leggere.

Quindi, per mancanze del tipo:
  • tossiva durante il concerto,
  • si rifiutava di concedere un piccolo prestito al maestro,
  • passava il maestro e non scattava immediatamente sull’attenti
si eviti di rispondere con punizioni del tipo ‘trent’anni di carcere duro’ o ‘fucilazione sul posto’.
Sarebbero, effettivamente, sproporzionate alla mancanza, senza poi contare che la liberalità tristemente famosa del codice Rocco (di codice penale si tratta, ma senza sin troppo facili e stucchevoli allusioni al Siffredi) potrebbe fare incorrere il somministratore in spiacevoli vertenze di carattere giudiziario, arrivando persino ad un’ammonizione o ad un’ammenda di carattere pecuniario.
I non coristi, purtroppo, non capiscono, non potrebbero e non possono capire: non per nulla sono non coristi!

Sufficiente, invece, l’oggi troppo dimenticata, ma efficace, fustigazione.

Per una leggera mancanza, venti nerbate ben assestate saranno più che bastanti. Naturalmente si dice nerbate per dire. Un maestro dovrà avere il dono della fantasia e della creatività e non dovrà limitarsi al mero uso del nerbo di bue, ma potrà e dovrà invece, di volta in volta, sostituirlo col gatto a nove code, lo staffile, la fune annodata, la cinghia dei pantaloni (sconsigliate le bretelle: di ‘rinculo’ - mi si perdoni il termine, ma mi garantiscono che esso è il termine rigorosamente tecnico – potrebbe colpire in viso lo stesso Maestro, ledendone l’immagine, non solo in senso figurato, ma rompendo la liturgia del momento), la frusta dei carrettieri emiliani (sempre presente come indispensabile elemento folkloristico nei cori di ispirazione popolare).

I tratti di corda, il giro della chiglia, la vergine di Norimberga, lo stivaletto maltese, ecc. saranno, invece, riservate a mancanze più serie, quali:
  • mettere in dubbio le conoscenze musicali del maestro,
  • era recidivo nel concedere un piccolo prestito,
  • affermava pubblicamente la superiorità dei tenori di un altro coro,
  • non parlava veneto durante le prove,
  • veniva colto con un bicchiere d’acqua fra le mani e visibilmente non lo usava per le quotidiane abluzioni personali, bensì per dissertarsi, preferendolo ad una sana grappa.

Sconsigliabile, in ogni caso, l’uso delle tenaglie arroventate: nell’epoca dell’elettricità, via! Un coro deve essere sempre all’avanguardia, in tutto!

So per certo che in alcuni cori si ricorre ancora alla barbara usanza dell’olio di ricino. Questa è un’aberrazione che deve cessare, e non sarà mai abbastanza vituperata ed esecrata. Si usi sempre, quindi, l’italianissimo olio d’oliva.




PUNIZIONI MORALI

Teoricamente parlano, le punizioni morali dovrebbero essere di gran lunga più importanti di quelle corporali, e dovrebbero quindi essere usate solo nei casi di particolare gravità ed efferatezza.
Pe.: affermare ad alta voce di preferire Riccione o, tanto peggio, Rimini al monte Camino per le ferie estive con l’aggravante di essere udito da alcuni bambini.

La pratica ha, purtroppo, dimostrato come alcuni coristi, nella stragrande maggioranza ben lontani dal possedere una morale, tendevano bellamente ad infischiarsi delle pene medesime.

Tutto ciò ha fatto prevalere decisamente nei cori l’uso delle punizioni corporali, perché, come osservammo, venti nerbate al momento giusto risolvono più di un problema.

Ma, poiché la nostra opera vorrebbe essere esaustiva, sebbene nelle dimensioni che ci siamo imposti, daremo qui di seguito alcuni esempi di punizioni morali. Non ultimo anche il nostro desiderio di instillare nei cori, gruppi sempre all’avanguardia e potenzialmente rivoluzionari, un po’ di amore e rispetto per il passato e per le tradizioni.

Se risulterà difficile colpire moralmente i coristi, bisognerà allora agire d’astuzia e far leva su quelle poche cose che potranno scalfire la loro rude scorza.

Per comodità del maestro, affiancheremo alle punizioni morali una corrispondente punizione corporale, perché egli ne sappia cogliere la seppur sottile differenza.

Ecco alcuni esempi:

  • presentarsi in ufficio, invece che col solito gessato, con la abituale divisa del coro, completa di medaglie ed alamari (corrisponde a 100 nerbate);
  • durante l’annuale pellegrinaggio al monte Cimin presentarsi, anziché con l’abituale divisa del coro, con l’abito gessato da ufficio (corrisponde a 200 nerbate più 30 giri della sede del coro con zaino affardellato);
  • un anno senza grappa e polenta (particolarmente grave, solo in casi rarissimi, eventualmente prevedere l’assistenza medica per astinenza; corrisponde a 300 nerbate più lavaggio con sale ed aceto delle ferite);
  • affermare ad alta voce in presenza dei coristi ‘beh, in fondo non esiste solo questo tipo di musica, anzi, la musica pop non è niente male’ (corrisponde a 100 nerbate sulle piante dei piedi, di solito, però, i coristi preferiscono, come atto di misericordia, fare giustizia sommaria del malcapitato);
  • invitare alcuni raffinati critici musicali, mostrare loro targhe, coppe, medaglie, … vinte dal coro affermando ad alta voce i loro pregi artistici (corrisponde a 30 anni di carcere duro);
  • leggere ad alta voce, per intero, la rivista CORO, commentarla in presenza di amici, farne alcuni sunti in prosa, almeno dei passaggi più significativi (esilio perpetuo).

N.B. tutte queste punizioni riguardano esclusivamente i coristi ‘non trentini’.
Per i ‘cori trentini propriamente detti’ è tuttora in vigore il codice militare dell’esercito austro-ungarico (Vienna, ed. Kaiser, 1812).

martedì 15 settembre 2009

38. Lavoro per voi! (parte 2)








Mercoledì 2 settembre 2009




Alle 8.30 sono nella sala d’attesa con altre 4 ragazze. Musica a palla, come volevasi dimostrare.





Di fronte a noi, seduto al tavolo della segreteria, un ragazzo. Mi compiaccio della circostanza che in questa società sia data attuazione alla parità dei diritti, per quanto in breve mi renda conto che non è la segretaria o, meglio, non è solo la segretaria, ma anche un non agente, non procacciatore, non promoter, non venditore porta a porta. Non chiedetemi cos’è.

Comunque Alex (così si chiama e così lo chiamerò) è vestito in modo elegante, peccato la sua eleganza indulga a degli improbabili mocassini bianchi con tanto di frange, bianche pure loro.

Cerca di mostrarsi indaffarato, ma, in effetti, continua a girare tre fogli (gli unici tre fogli) di civvì che ha tra le mani.

Musica a palla, come da copione.

Mi alzo, gironzolo per la stanza, e, mentre il ragazzetto cerca di ingannare il tempo coi suoi foglietti, scrollo un altro paio di falconi (diversi da quelli che avevo armeggiato il giorno primo) e, ma la cosa non dovrebbe stupirmi, anche loro sono vuoti.

Verso le 9 veniamo fatti entrare nella stanza di Patrizia, la quale ci presenta Elena: la ‘trainer’ – così ci viene presentata – con la quale faremo la giornata di prova.
Scrivo ‘ci’ perché con me viene fatta accomodare un’altra ragazza, Giorgia: carina carina, alta alta, magra magra, giovane giovane.

Un po’ frettolosamente ci avviamo verso l’auto della Elena ed in men che non sia ci troviamo buttati nel traffico di piazza Rivoli e, quindi, corso Lecce.

Non abbiamo fatto trecento metri che la spericolata guida di Elena, alla terza sigaretta (Marlboro rouge), viene interrotta da una telefonata.

Inchiodata con tanto di cristonata.

E’ l’Alex che la Elena, nella furia, si era lasciata indietro.

Mentre aspettiamo l’Alex, la Elena ne approfitta per fare una paio di telefonate e per fumarsi un’altra sigaretta.

Con noi in auto, oltre alla Giorgia appena appena intimorita (argutamente lo deduco dallo sguardo impallato) c’è un’altra ragazzo: Morena.

L’Alex ci raggiunge con la sua auto e, sgommando, si riparte. L’Alex a ruota.
Ho come la vaga impressione che l’Elena si diverta a mettere in difficoltà l’Alex perché, in prossimità dei semafori rallenta ed indugia, aspetta che diventi giallo e, all’ultimo, schizza attraverso l’incrocio, costringendo l’Alex a seguirla tra strombazzate ed improperi che io – signore come sono – non oso ripetervi.

Arrivati che siamo quasi all’altezza di corso Regina, la Elena vede un camion per i traslochi e si ricorda di avere anche lei un prossimo trasloco da fare.
Senza perdere l’occasione, mentre con la sinistra tiene in mano la sigaretta, con la destra si segna sul cellulare il numero di telefono della ditta dei suddetti traslochi.
Vi domanderete con che mano tenesse il volante: non lo sonon chiedetemelo, ma so dove io tenevo le mie!!!

La Elena è premurosa: ci spiega qualcosa della società (che io non capisco, ma chiedo venia, considerate l’ora), che ha 70 sedi in Italia (ma non erano 58?) ci chiede se abbiamo domande, ma, perentoria, ci avverte di non chiederle quanto guadagna e nulla dei contratti che ci verranno proposti. Ne parleremo direttamente nonché personalmente con la ‘manager’, ovvero la Patrizia.
Nel ringraziarla per la disponibilità non mi sembrano ci siano molte domande da farle. Quindi, non ne faccio.

Visto che non abbiamo quesiti è lei che cerca di sciogliere il ghiaccio, di creare la mitica empatia (‘mitica’ per ogni commerciale che si voglia definire tale) e ci rivela un segreto: “Vedrete che nell’arco di questa giornata, quando mi presenterò, allungherò la mano, ben aperta, col palmo rivolto verso l’alto: questo serve a rivelare la mia sincerità all’interlocutore!”.

Apperò…

Imbocchiamo come fosse un poppante corso Regina.
La Elena, finita un’altra sigaretta e fatte un paio di altre telefonate ci informa di avere “assolutamente” bisogno di un caffè.

Curvando a gomito in una via desolata della zona industriale verso quello che fu lo stadio delle Alpi frena con una certa qual irruenza di fronte ad un bar (l’unico) della zona. Confesso che temo ci sia ad aspettarci una banda di romeni pronti a rapinarci, ma mi consolo pensando che con me ho poco, pochissimo denaro; mi spiacerebbe solo dover rifare la carta d’identità, ma penso potrebbe essere l’occasione per avere una nuova foto updated che potrebbe sostituire le foto segnaletiche che ho adesso.

Giorgia è appena un po’ sottosopra per la guida, Morena è trulla trulla.

La barista altri non è che la madre della Elena. Siamo in 4, ordiniamo 4 caffè.

La Elena viene festeggiata da un marmocchio che scopro essere il nipote ed alla quale la solerte trainer (la Elena di cui sopra) allunga la bellezza di un 20 euro per comprarsi un diario vista la prossimità delle scuole.
20 euro per un diario: averne avute di zie così!

Essendo la barista nient’altro che la madre dell’Elena, mi ti ci si penso che il caffè sia offerto dalla casa, ma, gentiluomo come sono, mi avvicino alla casa e faccio il bel gesto di pagare.
La barista-madre mi chiede 90 cents per il caffè. 90 cents per un caffè alle Vallette? Come in centro, ma non siamo in centro! Forse siamo al centro delle Vallette, quartiere che io non conosco.

Risaliamo in auto e scopro che la nostra meta è Druento.

Arrivati che siamo al limitare della ridente (ahahah, ma quanto sono scemo?) Druento, il velocipede inchioda.

Altra sigaretta, questa volta scaramanticamente collettiva. 'Scaramanticamente un po' perché siamo arrivati alla meta, un po' proprio per ringraziare che ci siamo arrivati.
Morena fuma come le adolescenti: senza inspirare, tenendo la sigaretta in punta di dita.
Fuma anche Giorgia, ma, credo, per scaricare la tensione della guida (non la sua, quella della Elena, per quanti fossero stati poco attenti): ad ogni curva si aggrappava sedili, artigliandoli.

Già che ci sono, fumo anch’io.

Il piano strategico per aggredire Druento è tanto semplice quanto banale: il paese viene diviso in quadrati (sic: quadrati!) ed aggredire negozio dopo negozio, senza fare prigionieri.
Nell’ordine: un parrucchiere, un giornalaio, un bar, un mobilificio, un colorificio; già che ci siamolo studio di un architetto ed un'assicurazione: non ne scampa uno!

In fin dei conti se uno ha del tempo da perdere e con la vaga prospettiva di un pur parco guadagno, la cosa potrebbe avere anche un suo fascino: un modo per ingannare il tempo e fare nuove amicizie (avete mai notato quanto sono carine le commesse dei negozi e le cameriere nei bar? Credete sia una casualità?).

Ma alla mia memoria si affaccia il ricordo delle giornate brumose, piovose, nevicose di quando il Vostro faceva l’editoriale ed il suo peggior incubo era di essere colpito da un provvidenziale infarto nel cuore dell’inverno, sul far della sera; avevo già sceto la lochescion e la situescion: Pisa, tra via Serafini e via Curtatone e Montanara, precisamente sul Lungarno Pacinotti, stroncato nel fiore degli anni (non fate facili ironie, preo) mentre inseguivo un prof.!

La Elena, forte della sua esperienza, ha lasciato le scarpe col tacco 12 in auto cambiandoli sagacemente con dei sandaletti (l'esperenza docet, non per nulla è lei la trainer e noi i trainati), ma la giovane ed inesperta Giorgia cerca di star in equilibrio sui suoi tacchetti e, di tanto in tanto perde l’equilibrio: non vi fa tenerezza?

Morena, dopo una settimana di full immersion, è in solitaria e famelica cerca di prede.

Dopo una mezz’orata siamo in centro paese: negozi di abbigliamento, cartolerie, altri bar, un paio di studi di studi professionali, …
Le prede più ambite, ci spiega la Elena, sono le parrocchie: "non avete idea di quanti contratti si possono ricavare!", ed io già mi figuro quanti contratti di SKY se ne potrebbero ricavare per far assistere alle partite di calcio i fedeli: un modo come un altro - se non altro alternativo - per convertire le povere pecorelle smarrite.

La circostanza che mi lascia un attimo perplesso è che a gentile richiesta dei potenziali clienti non viene rilasciato nessun biglietto da visita, nessuna brochures, nessuna brioches e si vagheggia, si giogeneggia alquanto sulla società per la quale si lavora.

Alla prima tabaccheria, nell’ordine, la Elena, Giorgia e Morena fanno rifornimento di sigarette: io, il Vostro, passa la mano: ... l’avreste mai detto?

Verso le 13 il drappello, compatto, guidato dalla Elena si ricongiunge all’Alex ed alla sua allieva: ne deduco che il piano è di prendere a tenaglia Druento lavorando su due fronti! Altro che Zukov a Stalingrado: se von Paulus si fosse trovato di fronte ad un simile accerchiamento se la sarebbe letteralmente fatta sotto ed avrebbe ringraziato la buona sorte di essersi dovuto arrendere all'Armata Rossa.


Il bivacco viene stabilito in un bar fuori mano, molto fuori mano, praticamente ad Alpignano.

Per i primi 40 minuti, mentre il Vostro sorseggia garrulo un chinotto, il manipolo impazza con gli essemmesse.
Poi, come si fossero messi d’accordo (o, più probabilmente) il frutto di una sagace e sapiente organizzazione di squadra, tutti si interrompono.

Argomento di conversazione: le discoteche!

Fantastico, mi dico. Parlatemi di quasar, parlatemi di astrofisica, parlatemi di meta e poi fisica, parlatemi di quello che volete, ma la domanda che ora io pongo a voi è: cosa ci azzecco io con le discoteche? Io, probabilmente l’unico nero privo del senso del ritmo, vincitore per tutti gli anni della mia adolescenza del 1° premio tappezzeria, insomma, … io?

Ma quello che mi taglia fuori è il florilegio di pleonasmi: gli ‘a me ... mi’, ‘a te ... ti’, si sprecano, si regalano, si spandono.
Per non parlare dell’attenzione con la quale tutti i presenti si guardano bene dall’uso del congiuntivo (questo sconosciuto): manco a farlo a bella posta – e dire che faccio attenzione – per un’orata che dura la conversazione, ebbene, credetemi, non un congiuntivo!
Voglio essere sicuro che non sia una mia fisima, una mia disattenzione e, alla prima occasione, azzardo una frase nella quale, temerario, azzardo un congiuntivo a tradimento. Subito una dozzina di occhi minacciosi mi squadrano con un tono di muta disapprovazione e malcelata commiserazione.

Dopo un’oretta nella quale il Vostro si rinchiude, si rintana, si trincera in un meditabondo mutismo assorto (non è forse stato detto che è meglio tacere e lasciare il dubbio di essere stupidi, piuttosto che parlare e togliere ogni dubbio?), la Elena mi inchioda con un improvviso: “E tu (cioè io) hai nulla da dire?”.
Ripiego prudentemente su un vago quanto generico, quindi buono per ogni occasione: “Mah, sai, la digestione, …” e trattengo un rigurgito di meteorismo.

Avrei quasi la tentazione di dire che sono satollo della pur breve esperienza e che, spesso, le esperienze migliori sono proprio quelle brevi perché lasciano il dubbio, la curiosità di quello che sarebbe potuto succedere e che me ne torno a Torino; ma vero è che a piedi sarebbe lunga assai e che non ho la pur minima – per non dire pallida - idea di quale pulman mi riporti a casa casetta, ammesso che ve ne sia uno.

Decido, quindi, di proseguire nella simpatica e curiosa esperienza.

In un momento di relax mi permetto, oso domandare alla Elena quale sia la provvigione per i contratti rispettivamente di Sorgenia e di SKY e lei, senza entrare nei particolari (aveva o non aveva detto che non avrebbe parlato di soldi?) mi dice che i contratti di SKY sono molto, ma molto meglio pagati di quelli di Sorgenia.

Il pomeriggio scorre via tra i capannoni industriali che circondano l’amena Druento.

La Elena mi fa capire che qualcosa di marketing sa, osservando che è meglio provare con le società di persone piuttosto che con quelle di capitali, perché nelle prime è più difficile trovare il titolare. Il che ha un senso.

Mi lascia, semmai perplesso, non quando precisa che bisogna lasciar perdere le s.p.a., e qui concordo ma quando aggiunge che si può passare oltre anche quando si incotrano le s.p.E., e qui non capisco, resto perplesso e, già che ci sono - crepi l'avarizia - basito.

Chiedo di ripetere e lei, come richiesto, ripete: “le s.p.E.!”.
Qui, lo apprezzerete, faccio un grande atto di umiltà: non ho la minima idea di cosa siano le s.p.E., ma è anche vero che dalla mia laurea nientepopodimenoche in giurisprudenza ne è passata di acqua sotto i ponti e ben le cose possono essere cambiate: non si sa mai che abbiano anche cambiato la legge sul falso in bilancio!

Col passare del tempo la Morena diventa vieppiù (piaciuto il vieppiù?) nervosa ed irrequieta. Avete presente un topino, un criceto, uno scoiattolo in gabbia? Qualcosa di molto simile, anche se, al confronto, i suddetti topini, criceti, scoiattoli vi sembrerebbero assai meno irrequieti.


Si prodiga in assalti alla baionetta su poderi abbandonati, cascine isolate (tutto vero!), marmisti in prossimità del cimitero (nel caso penso si tratti di lapidi), altri bar (non se ne salva uno!), ma alla fine si deve arrendere all'evidenza: non riuscirà a stipulare i 5 contratti ‘intimati’ dalla manager Patrizia ed a … suonare la campana!

Chiedo di cosa si tratti questo suonare la campana, anche se in cuor mio mi sento deep bastard inside perché, avendo letto i forum su interdette e so già di cosa si tratta.
Ma io faccio lo gnorri e la Elena resta sul vago, mentre le gote della Morena (lo vedo dallo specchietto retrovisore) iniziano a gonfiorsi pronte a tracimare ed io capisco cosa dovettero provare gli abitanti nella vallata sotto la diga del Vajont.

Sono quasi le 17, e la Elena ci avvisa che dobbiamo prendere la strada del ritorno perché deve vedere un appartamento da affittare. Le cose migliori sono sempre quelle che durano poco.
La Elena è fantastica: ha appena preso una casa ad Alpignano, ma non vuole desistere e vuol essere sicura di non essersi lasciata perdere occasioni migliori: quello che si chiama un’anima inquieta!

Parte con la terza, trascurando la prima e la seconda che pure – a rigor di logica – immediatamente la precedono e si lancia alla volta di Torino, lamentandosi che sulla sua auto (che, poi, è quella della madre-barista, ma questa è un’altra storia) non ci sia la sesta.

I finestrini sono aperti ed io me ne compiaccio perché la giornata è calda ed indulge all’afoso, ma la povera Giorgia è schiacciata contro il vetro posteriore con i capelli che oramai sono praticamente cotonati: avete presente quello che deve essere la spinta che provano gli astronauti al momento del lancio della navetta? Qualcosa del genere.

La Elena le chiede se abbiamo troppa aria, e Giorgia, per zelo, eccesso di zelo, al limite della sottomissione, le risponde con un garbato: “No, no, va bene così!”.

Per le 18.55 siamo al campo base.

Nessuno osa entrare in ufficio perché le severe e rigide disposizioni della Patrizia sono di non entrare prima delle 19. quindi noi si aspetta per strada e si inganna l’attesa non indovinerete mai come: ma sì … fumando.

Scoccano le 19 e si entra in ufficio. Breve attesa e … musica a palla.

Già che ci siamo ci viene fatto compilare un breve test formulario con domande del tipo: “Avete capito la differenza tra vendita e promozione?”; “Avete imparato qualcosa oggi?”, …
Domande, tutto sommato, tanto vaghe quanto inoffensive. Forse anche un poco, ma appena un poco, stupide.

Vengo introdotto nell’elegante sala dalla sempre 'tiratissima' Patrizia la quale mi accoglie con immancabile sorriso e vigorosa stretta di mano che, questa volta non mi faccio prendere in contropiede, contraccambio.


Una volta seduto mi domanda (avete presente quelle insopportabili professoresse del liceo?) com’è andata la giornata e se mi è piaciuta.
Non mi è dispiaciuta, quindi le rispondo che “Sissì, è stata interessante, …!”.

Mi spiega che ero stato omaggiato di una giornata-tipo e, lusingato, me ne compiaccio e la ringrazio.

Paziente mi illumina sulla circostanza che la loro società ha 60 sedi in Italia (ma sono 58, 70 o 60?) e riparte con un pistolotto alla quale, questa volta, cerca di fare attenzione.

Avete mai notato la differenza tra ‘sentire’ ed ‘ascoltare’? una cosa è ‘sentire’ qualcuno che parla, altro è 'ascoltare’ qualcuno. ‘Sentire’ si può sentire un brusio, un rumore indistinto, ma per ‘ascoltare’ occorre prestare attenzione.

Ebbene, vi è mai capitato di ‘prestare attenzione’ a quello che la gente dice? Ebbene, potreste fare la curiosa scoperta che, spesso, la gente dice frasi che non hanno senso: voi vi lasciate andare alla musicalità di quanto sentite, ma se vi soffermate, potreste scoprire che, di fatto, le frasi sono vuote, prive di senso, senza significato.

Ecco, questa è la sensazione che provavo nell’ascoltare, nel prestare attenzione al fiume di parole con la quale la Patrizia mi investe.

Ad un certo punto il fiume in piena si ferma e, trovando un attimo di tregua, le domando che tipo di contratto propongano.
Per tutta risposta mi ribatte che non è di agenzia, non è di procacciatore d’affari, non è da venditore porta a porta, ... insomma, non è …
Lo sapete, sono un generoso, le voglio venire incontro, in fondo sono o non sono un gentiluomo?
La blocco e le domando: “… forse pagate per prestazioni occasionali?”. Il che non è, come molti di voi malevoli potrebbero pensare, una modalità di pagamento legata alla professione più antica del mondo, ma una modalità di pagamento per … prestazioni ... appunto … occasionali.

La Patrizia mi si irrigidisce un attimo e, avendola la mia interruzione stoppata nel suo ininterrotto fluire, cerca di recuperare il filo del discorso ed insiste sul concetto che la loro filosofia aziendale, perfettamente american style, è tutta concentrata sulla statistica: un contatto via l’altro.

Ho, vagamente, capito il tenore del discorso e dove vuole andare a parare e decido di interrompere ancora una volta il suo schema abituale, dicendole che, sì, la statistica è importante, ma non l’agente, non il venditore, non il promoter, insomma, quello che è, deve avere anche una certa professionalità.

Mai l’avessi detto: come una bestemmia in Vaticano, come mangiare una braciola in una moschea, la Patrizia si blocca, le si gonfia una venuzza sulla fronte (la sua sinistra, per la precisione) e sussurra qualcosa che ben avrebbe essere un anatema, un esorcismo.

Già che ci sono voglio esagerare e, memore di quanto mi aveva detto nel pomeriggio la Elena, chiedo alla manager Patrizia quali siano le provvigioni per i contratti.

Benevola e confidente, la Patrizia mi spiega che per i contratti Sorgenia la provvigione è di 20 euro, mentre per SKY, anche in questo caso sarebbero di 20, “ma (vi prego, cercate di seguirmi perché, per essere con voi preciso, me lo sono fatto spiegare una seconda volta) in realtà sarebbero 29 che, però, sarebbero 25, ma che, in ogni caso, loro preferiscono lasciarli in contanti a chi promuove il contratto come benefit”.

Voi avete capito? Io no!

Se qualcuno ha capito, ve ne prego, spiegatemelo!!!

Intanto nell’altra stanza si sente il campanaccio che suona.
Ah, sì, avevo dimenticato di ragguagliarvi sul fatto che è d’uso (l’ho imparato leggendo i forum) la sera festeggiare chi ha piazzato più polizze scampanellando il campanaccio.

Insomma, andiamo avanti per un cinque minuti, ma tale deve essere il suo bisogno di avere gente da macello che mi rinvia a lunedì 7 alle 8 del mattino per il corso di formazione.

Ora, ben avrete capito leggendo le mie nius quanto abbia bisogno di lavorare e, visto che non si lavora aggratis, per guadagnare, ma, considerando anche che 1. sul forum ho letto che talvolta la società ha il vezzo di non pagare (circostanza che non posso permettermi il vezzo di verificare), 2. che non ho l’auto a disposizione (nel senso che avere l’auto, l’ho, ma non ho pagato l’assicurazione, ma questa è un’altra storia), 3. che le spese sarebbero tutte a mio carico, 4. che da 'dragare' ci sarebbero tutte le vallate del Piemonte (anche quelle più isolate segnate solo su alcune cartine militari) e la Valle d'Aosta, 5. che l'orario di lavoro sarebbe (anzi, è) dalle 8.30 alle 19.00 ( 6. quindi sarebbe impossibile cercare un altro lavoro, anche in considerazione del fatto che, pur essendo un lavoro retribuito [?] come prestazione occasionale, 7. non vengono concessi permessi se non dietro umilianti pene corporali), 8. che ho la pur vaga impressione che di commerciale sappiano assai poco (mi permetto di ricordarvi che l’ ‘assai’ introduce un superlativo) beh, tutto questo considerando ... eccomi qui a scrivere per voi.

Mi preme precisare che nell'arco della simpatica 'gita fuori porta' la Elena e la Morena hanno concluso un contratto a testa, mentre la Morena nei tre giorni precedenti non ne aveva concluso neppure uno!

Che dirvi? L’ho fatto per voi.
Epilogo

Mi resta un rammarico. In uno dei forum avevo letto che la ‘manager’ Patrizia si era presentata (cito) “con una maglia che lasciava poco spazio all’immaginazione, con un tatuaggione blu sul seno ben VISIBILE” (il maiuscolo era nel post): ecco a me la Patty il ‘tatuaggione’ non l’ha fatto vedere: motivo in più per non acettare la 'pur lusinghiera' offerta di lavoro!

(per ogni riferimento ed approfondimento - anche, se non soprattutto - sul tatuaggione -, mi permetto di rinviarvi a http://www.esperienzedilavoro.it/viewtopic.php?id=3&p=2: mi permetto di far notare che nel forum dietro il nickname 'piccinina' dovrebbe celarsi la Patrizia)


NON e` una storia di pura invenzione.
Nel racconto SI FA riferimento a fatti e persone REALI.

martedì 8 settembre 2009

37. Lavoro per voi! (parte 1)


Care Lettrici, cari Lettori
,

non pensiate che il Vostro in questi mesi abbia abbandonato la lotta, pardon, la ricerca di un nuovo lavoro. Anzi. Ma delle avventure di luglio avremo modo (carino il pluralis majestatis? Con un eccesso di zelo – verso me stesso – mi garba di tanto in tanto parlare di me al plurale: mi fa sentire meno solo!) in prossime puntate.
Al momento procediamo, rigorosamente al ritroso.



Sabato 29 agosto 2009.

Sono le 9.30 e squilla il cellulare. Data l’ora dovete concedere al Vostro di essere un piccolopoco sul ‘rinco’. Invero è pur vero che prima delle 11 ho una qualche difficoltà ad ingranare, a capire dove sono. Anche quando lavorare (qualche annetto fa) caricavo la sveglia presto (per me le 7.00 del mattino sono veramente presto). Colazione, barba, doccia, vestizione, bus, caffè sotto l’ufficio, in rigoroso stato comatoso; ma solo verso le 11 realizzavo di essere in ufficio, senza neppure essermi reso conto di come ci fossi arrivato.


Insomma, sabato mattina, ore 9.30, squilla il cellulare.

Rispondo senza sapere neppure il perché lo faccio, anche perché non compare il numero del chiamante ed io diffido istintivamente delle chiamate anonime; ma – mi dico – potrebbe essere la donna della mia vita oppure un’offerta di lavoro (al sabato?). Vabbé, non mi faccio troppe domande e rispondo.

E’ la seconda.

Una voce stridula ed incalzante mi domanda senza ammettere replica “E’ Lei il sig. G.? E’ lei che ci ha mandato il curriculum?”.

La raffica di domande mi fa pensare di essere protagonista di un quiz telefonico e, un po’ per il rinco di cui sopra, un po’ non sbagliare, resto sul vago e tanto automaticamente quanto prontamente, rispondo “Sì!”, aggiungendo con un’insolita prontezza di riflessi che prima di sorprendere voi, sorprende me stesso “Ma con chi parlo? Civvì mandato a chi?”.

Non che di questi tempi possa – né tanto meno vorrei – andare troppo per il sottile, ma è un guizzo, un riflesso condizionato, un segno della mia prontezza che voglio dare al mondo ed a me stesso.

Ma, si sa, certe domande sono destinate a restare senza risposta (avete presente domande del tipo ‘Chi siamo?’, ‘Da dove veniamo?’, ‘Dove andiamo?’, ‘Quando arriverà il pullman?’) e la voce della ragazza (avevo dimenticato di dirti che la voce era di una ragazza) mi incalza “Vorremmo fissare un colloquio con lei …” e, prima che abbia tempo di ringraziare per tanta attenzione, propone in tono tanto intimidatorio da non lasciarmi alternativa: “Le va bene martedì alle 16.45?”.

Non faccio tempo a rispondere di sì che conclude con tono risolutivo: “Bene, venga alle 16.45 in via Freidur 1!”.

E, poi, tanto vale ammetterlo: noi uomini quando sentiamo una voce femminile al telefono ci sciogliamo, la nostra immaginazione vola, fantastica e saremmo disposti a dire di sì a qualunque cosa!

Molto, ma molto umilmente, quasi servilmente chiedo della persona alla quale mi dovrò presentare e, invero un po’ sgarbatamente, mi viene risposto in tono intimidatorio: “Lei si presenti e porti un curriculum!”.
Resto un attimo interdetto: se hanno il civvì che ho mandato loro, perché mi chiedono di portarne un altro? Ma è un’eventualità che può capitare.

Riesco a domandare ancora una volta il nome della società e lei (oramai diamo per scontato che sia una lei), con tono alquanto seccato, conclude: “La Kenwood”. Non riesco a dire di non aver capito bene, bene il nome della società e mi domando perché avrei dovuto spedire un civvì alla Kenwood (ma ne mando talmente tanti che non si può mai dire e faccio talmente tante cose senza sapere perché le faccio), che la comunicazione si chiude.

Ma è sabato mattina ed oramai sono sveglio, per quanto io possa essere sveglio il sabato mattina alle 9.30.

Via Freidur non è lontano da dove abito e decido di fare due passi ed andare a vedere la location del mio prossimo appuntamento. Per fortuna via ‘Raffreddore’ (per i non piemontesi può risultare difficile capire questo giuoco di parole, ma quando la Lega riuscirà a far passare la legge sui dialetti potrebbe per Voi essere troppo tardi, quindi sappiatevi regolare) ed in una ventina di minuti ci sono.

Effettivamente al numero 1 c’è una società, ma si chiama Kenworth, nome che mi dice meno di niente. Comunque la società esiste ed è già qualcosa.

Internette, interdette è una grande cosa. Si può sapere e scoprire di tutto su tutto. Quando si è alla ricerca di lavoro può essere utile assai per avere informazioni sulla società che vi convoca, non foss’altro per non fare brutta figura quando vi domandano: “Perché vorrebbe lavorare con noi?”, “Sa di cosa ci occupiamo?”. Sono, queste, le classiche domande trabocchetto che ai selezionatori piace fare, se non altro per partire (loro) in una posizione di vantaggio perché qualunque cosa voi rispondiate, loro tireranno un lungo respiro leveranno gli occhi al cielo e, compiacenti, non vi diranno che avete capito nulla, ma ve lo faranno capire.

Ordunque, vado a vedere su internet e 1. cerco notizie della società , 2. recupero l’annuncio cui avevo risposto

Quanto alla namber uan, la sola società nella quale incappo è una società di mastodontici camion americani, di quelli che immaginate sfrecciare nei film americani sulla route 66.

Quanto alla namber tù, peer fortuna riesco a recuperare l'annuncio al quale avevo risposto, mi permetto di riportarlo per soddisgare la vostra inesauribile curiosità:

Kenworth di Dinardo Patrizia

DESCRIZIONE JOB

2 Addetti al pubblico,
2 Front-office,
2 Gestione magazzino e clienti.

Requisiti per questo annuncio

Formazione e supporto in tutti i settori

Luogo di lavoro: Torino

Posizioni disponibili: 6

Dice di tutto e di niente. “Beh – mi dico – poco male”, ed io che già mi immaginavo ad imperversare per le italiche autostrade a bordo del mio mastodonte!):

Sempre alla voce Kenworth, nella terza o quarta videata di Google, tuttavia, compaiono un paio di voci che rimandano ad un Forum ed un po’ distrattamente mi decido (nessuno sa essere convincente con me stesso come so farlo io!) di aprire i link.

‘Azz! Non c’è dubbio: non di terrori dell’autostrada si tratta, ma di una non meglio precisata e, a quello che leggo, famigerata società che opera nel sordido mondo del porta a porta e nel Forum si alternano una serie di post (ammettetelo, con tutta questa terminologia tecnica vi sto spiazzando: spiazzo anche me stesso e voi non vorrete essere da meno, spero) che alternano invettive a contumelie nei confronti della società di cui sopra.

D’altra parte non mi posso sbagliare – neppure io con la mia dabbenaggine potrei farlo – perché l’indirizzo che viene riportato nel Forum è proprio quello cui mi dovrò recare martedì.

Decido di non lasciarmi fuorviare da quanto leggo: le informazioni che si possono ricavare da interdette possono essere utili, ma, mi dico, potrebbero anche essere invettive lanciate da persone scontente, come si suol dire ‘col dente avvelenato’. Certo, mi dico, possono essere utili per stare in guardia, per ‘leggere’ quello cui andrò incontro. E, poi, lo ammetto, ho ‘di’ bisogno di lavorare e, ancor di più, di guadagnare.
Insomma, decido che se non si trattasse di qualcosa di illegale o di una presa in giro, la cosa si potrebbe anche fare.
Lo ammetto, fosse anche un attimo al limite della legalità se ne potrebbe parlare.

Mi permetto una breve considerazione, una divagazione chiamiamola ‘sociologica’.

Sono cresciuto in un certo ambiente, con una certa educazione ed una certa etica.

Ma – mi domando e vi domando – fossi cresciuto a Napoli, o a Palermo, in un diverso contesto, disoccupato io da due anni, con amici e parenti disoccupati da un paio di generazioni ed aggiungiamoci – già che ci siamo – con famiglia a carico, quanto credete mi ci vorrebbe per fare ‘altre’ scelte? Oso, azzardo: e Voi?

Martedì 1° settembre 2009.

Sono un attimo indeciso sul look: ogni colloquio ha un suo look.

Sono andato a colloqui in perfetto tiro, giacca e cravatta; ad altri in scarpe da ginnastica e polo; ad altri ancora con barba di un paio di giorni ed armato di ciccì dove ben mi guardavo di precisare di aver una laurea e vagheggiavo di un possibile e, comunque, non meglio precisato diploma.

Per l’occasione ripiego su un camicia senza cravatta, giacca in tono appena griffata, jeans. Indeciso tra scarpe da ginnastica ed infradito, mi risolvo per serie scarpe di italico cuoio con tanto di lacci.

Arrivo puntuale – ma neppure c’è bisogno di dirlo – e vengo fatto entrare in una stanza dove già attendono due ragazzi sui vent’anni in improbabile look con capelli scompigliati che paiono leccati da una mucca.

Da una grigia radio portatile rimbomba – letteralmente – musica a palla, ma mi rincuora che la radio trasmetta un pezzo dei Led Zepellin.

Mi metto a mio agio ed aspetto paziente.


Mi guardo e mi riguardo introno e mi accorgo che non solo manca un qualsiasi accenno di qualcosa tipo carta intestata, ma che i faldoni che fanno bella mostra di sé in un armadio, pur recando sul dorso il riferimento a possibili fatture, sono … vuoti.
Mi pare di intuirlo dal foro che hanno sul dorso, ma, curioso come una faina come sono, col pretesto di sgranchire le gambe, mi alzo, mi avvicino, ne soppeso, ne scrollo un paio e, in effetti, sono vuoti.


Dopo una decina di minuti, che potrebbero essere anche una ventina, compare una ragazza strizzata in un tailleur di una misura in meno – immagino per mettere meglio in risalto la mercanzia, circostanza della quale, in fondo, la ringrazio -, con la gonna appena al di sopra del ginocchio che la costringe a fare passi piccoli piccoli, la quale mi accoglie con un sorriso eccessivo, protende la mano, la sua, e stringe energeticamente, troppo energeticamente la mano, la mia.

Mi fa accomodare e mi chiede il civvì.

Glielo consegno, lei neppure lo legge e parte con uno sproloquio a raffica dove esalta la società, società che si ostina a chiamare 'Kenwood'.

Può sembrare una sottigliezza, può anche darsi che stia diventando sordo (non escludo l’eventualità), ma giuro che insiste pervicacemente a chiamarla un paio di volte Kenwood.

Paziente ascolto, diligente annuisco, supinamente mi mostro meravigliato e compiaciuto dei successi di questa società che vanta 58 sedi in tutta Italia. Bene, bene, …
Hanno clienti importanti, importantissimi: la Mondadori, la De Agostini, la Ferrero, l’Enel e la Sorgenia, la Fiat, Sky e Mediaset Premium e chi più ne ha più ne possa. Ma benissimo, …

Ah, perbacco!


Patrizia (la silfide si chiama Patrizia) e molto, forse appena un po’ troppo, calata nella parte.
In un altro tailleur (sempre rigorosamente e generosamente una taglia in meno) parla a mitraglia, faccio fatica a starle dietro: una cosa è certa: dopo un quarto d’ora ancora non ho capito né cosa facciano, né cosa mi propongano.

Ha lo sguardo fisso e, cosa che un po’ mi preoccupa, mi accorgerò alla fine dell’incontro che per tutta la durata non ha mai sbattuto le palpebre. Al solo ripensarci ancora adesso mi bruciano gli occhi.

Dopo altri cinque minuti di soliloquio (di tanto in tanto interrotti da un secco quanto perentorio “Ha capito?” che non ammette replica) mi chiede perché ho risposto all’offerta di lavoro.

La risposta più ovvia è che sto cercando lavoro, risposta che non la soddisfa, ma, paziente, mi spiega che, al di là dell’articolo che ho letto, quello che loro stanno cercando non è un agente, non è un procacciatore, non fanno porta a porta, non è un promoter, … “Ho capito?”, mi domanda.

Le rispondo di sì, ma, ad essere sincero, non ho capito.

Patrizia inspira profondamente e capisce che deve armarsi di tutta la sua pazienza e mi spiega che in questo momento la loro società promuove Sorgenia e Sky

“Ah, - la interrompo – ho capito: cercate promoter!”.

Patrizia chiude gli occhi, si stringe forte forte le mani, scuote la testa e i lunghi capelli e, con un filo di voce stridente, digrignando i denti, sussurra: “Noi non siamo promoter!”.

Ma Patrizia deve avere il cuore d’oro e mi concede (notate la differenza tra “ ‘mi’ concede” e “ ‘si’ concede”): “se pensa che la cosa le possa interessare, può venire domani alle 8.30 per una giornata di prova”.

Ho nulla da perdere, ma, soprattutto, nulla da fare per l’indomani per cui le dico: “Occhei!”


(to be continued: mica vorrete perdervi la giornata di prova?)

NON e` una storia di pura invenzione.
Nel racconto SI FA riferimento a fatti e persone REALI.