martedì 8 settembre 2009

37. Lavoro per voi! (parte 1)


Care Lettrici, cari Lettori
,

non pensiate che il Vostro in questi mesi abbia abbandonato la lotta, pardon, la ricerca di un nuovo lavoro. Anzi. Ma delle avventure di luglio avremo modo (carino il pluralis majestatis? Con un eccesso di zelo – verso me stesso – mi garba di tanto in tanto parlare di me al plurale: mi fa sentire meno solo!) in prossime puntate.
Al momento procediamo, rigorosamente al ritroso.



Sabato 29 agosto 2009.

Sono le 9.30 e squilla il cellulare. Data l’ora dovete concedere al Vostro di essere un piccolopoco sul ‘rinco’. Invero è pur vero che prima delle 11 ho una qualche difficoltà ad ingranare, a capire dove sono. Anche quando lavorare (qualche annetto fa) caricavo la sveglia presto (per me le 7.00 del mattino sono veramente presto). Colazione, barba, doccia, vestizione, bus, caffè sotto l’ufficio, in rigoroso stato comatoso; ma solo verso le 11 realizzavo di essere in ufficio, senza neppure essermi reso conto di come ci fossi arrivato.


Insomma, sabato mattina, ore 9.30, squilla il cellulare.

Rispondo senza sapere neppure il perché lo faccio, anche perché non compare il numero del chiamante ed io diffido istintivamente delle chiamate anonime; ma – mi dico – potrebbe essere la donna della mia vita oppure un’offerta di lavoro (al sabato?). Vabbé, non mi faccio troppe domande e rispondo.

E’ la seconda.

Una voce stridula ed incalzante mi domanda senza ammettere replica “E’ Lei il sig. G.? E’ lei che ci ha mandato il curriculum?”.

La raffica di domande mi fa pensare di essere protagonista di un quiz telefonico e, un po’ per il rinco di cui sopra, un po’ non sbagliare, resto sul vago e tanto automaticamente quanto prontamente, rispondo “Sì!”, aggiungendo con un’insolita prontezza di riflessi che prima di sorprendere voi, sorprende me stesso “Ma con chi parlo? Civvì mandato a chi?”.

Non che di questi tempi possa – né tanto meno vorrei – andare troppo per il sottile, ma è un guizzo, un riflesso condizionato, un segno della mia prontezza che voglio dare al mondo ed a me stesso.

Ma, si sa, certe domande sono destinate a restare senza risposta (avete presente domande del tipo ‘Chi siamo?’, ‘Da dove veniamo?’, ‘Dove andiamo?’, ‘Quando arriverà il pullman?’) e la voce della ragazza (avevo dimenticato di dirti che la voce era di una ragazza) mi incalza “Vorremmo fissare un colloquio con lei …” e, prima che abbia tempo di ringraziare per tanta attenzione, propone in tono tanto intimidatorio da non lasciarmi alternativa: “Le va bene martedì alle 16.45?”.

Non faccio tempo a rispondere di sì che conclude con tono risolutivo: “Bene, venga alle 16.45 in via Freidur 1!”.

E, poi, tanto vale ammetterlo: noi uomini quando sentiamo una voce femminile al telefono ci sciogliamo, la nostra immaginazione vola, fantastica e saremmo disposti a dire di sì a qualunque cosa!

Molto, ma molto umilmente, quasi servilmente chiedo della persona alla quale mi dovrò presentare e, invero un po’ sgarbatamente, mi viene risposto in tono intimidatorio: “Lei si presenti e porti un curriculum!”.
Resto un attimo interdetto: se hanno il civvì che ho mandato loro, perché mi chiedono di portarne un altro? Ma è un’eventualità che può capitare.

Riesco a domandare ancora una volta il nome della società e lei (oramai diamo per scontato che sia una lei), con tono alquanto seccato, conclude: “La Kenwood”. Non riesco a dire di non aver capito bene, bene il nome della società e mi domando perché avrei dovuto spedire un civvì alla Kenwood (ma ne mando talmente tanti che non si può mai dire e faccio talmente tante cose senza sapere perché le faccio), che la comunicazione si chiude.

Ma è sabato mattina ed oramai sono sveglio, per quanto io possa essere sveglio il sabato mattina alle 9.30.

Via Freidur non è lontano da dove abito e decido di fare due passi ed andare a vedere la location del mio prossimo appuntamento. Per fortuna via ‘Raffreddore’ (per i non piemontesi può risultare difficile capire questo giuoco di parole, ma quando la Lega riuscirà a far passare la legge sui dialetti potrebbe per Voi essere troppo tardi, quindi sappiatevi regolare) ed in una ventina di minuti ci sono.

Effettivamente al numero 1 c’è una società, ma si chiama Kenworth, nome che mi dice meno di niente. Comunque la società esiste ed è già qualcosa.

Internette, interdette è una grande cosa. Si può sapere e scoprire di tutto su tutto. Quando si è alla ricerca di lavoro può essere utile assai per avere informazioni sulla società che vi convoca, non foss’altro per non fare brutta figura quando vi domandano: “Perché vorrebbe lavorare con noi?”, “Sa di cosa ci occupiamo?”. Sono, queste, le classiche domande trabocchetto che ai selezionatori piace fare, se non altro per partire (loro) in una posizione di vantaggio perché qualunque cosa voi rispondiate, loro tireranno un lungo respiro leveranno gli occhi al cielo e, compiacenti, non vi diranno che avete capito nulla, ma ve lo faranno capire.

Ordunque, vado a vedere su internet e 1. cerco notizie della società , 2. recupero l’annuncio cui avevo risposto

Quanto alla namber uan, la sola società nella quale incappo è una società di mastodontici camion americani, di quelli che immaginate sfrecciare nei film americani sulla route 66.

Quanto alla namber tù, peer fortuna riesco a recuperare l'annuncio al quale avevo risposto, mi permetto di riportarlo per soddisgare la vostra inesauribile curiosità:

Kenworth di Dinardo Patrizia

DESCRIZIONE JOB

2 Addetti al pubblico,
2 Front-office,
2 Gestione magazzino e clienti.

Requisiti per questo annuncio

Formazione e supporto in tutti i settori

Luogo di lavoro: Torino

Posizioni disponibili: 6

Dice di tutto e di niente. “Beh – mi dico – poco male”, ed io che già mi immaginavo ad imperversare per le italiche autostrade a bordo del mio mastodonte!):

Sempre alla voce Kenworth, nella terza o quarta videata di Google, tuttavia, compaiono un paio di voci che rimandano ad un Forum ed un po’ distrattamente mi decido (nessuno sa essere convincente con me stesso come so farlo io!) di aprire i link.

‘Azz! Non c’è dubbio: non di terrori dell’autostrada si tratta, ma di una non meglio precisata e, a quello che leggo, famigerata società che opera nel sordido mondo del porta a porta e nel Forum si alternano una serie di post (ammettetelo, con tutta questa terminologia tecnica vi sto spiazzando: spiazzo anche me stesso e voi non vorrete essere da meno, spero) che alternano invettive a contumelie nei confronti della società di cui sopra.

D’altra parte non mi posso sbagliare – neppure io con la mia dabbenaggine potrei farlo – perché l’indirizzo che viene riportato nel Forum è proprio quello cui mi dovrò recare martedì.

Decido di non lasciarmi fuorviare da quanto leggo: le informazioni che si possono ricavare da interdette possono essere utili, ma, mi dico, potrebbero anche essere invettive lanciate da persone scontente, come si suol dire ‘col dente avvelenato’. Certo, mi dico, possono essere utili per stare in guardia, per ‘leggere’ quello cui andrò incontro. E, poi, lo ammetto, ho ‘di’ bisogno di lavorare e, ancor di più, di guadagnare.
Insomma, decido che se non si trattasse di qualcosa di illegale o di una presa in giro, la cosa si potrebbe anche fare.
Lo ammetto, fosse anche un attimo al limite della legalità se ne potrebbe parlare.

Mi permetto una breve considerazione, una divagazione chiamiamola ‘sociologica’.

Sono cresciuto in un certo ambiente, con una certa educazione ed una certa etica.

Ma – mi domando e vi domando – fossi cresciuto a Napoli, o a Palermo, in un diverso contesto, disoccupato io da due anni, con amici e parenti disoccupati da un paio di generazioni ed aggiungiamoci – già che ci siamo – con famiglia a carico, quanto credete mi ci vorrebbe per fare ‘altre’ scelte? Oso, azzardo: e Voi?

Martedì 1° settembre 2009.

Sono un attimo indeciso sul look: ogni colloquio ha un suo look.

Sono andato a colloqui in perfetto tiro, giacca e cravatta; ad altri in scarpe da ginnastica e polo; ad altri ancora con barba di un paio di giorni ed armato di ciccì dove ben mi guardavo di precisare di aver una laurea e vagheggiavo di un possibile e, comunque, non meglio precisato diploma.

Per l’occasione ripiego su un camicia senza cravatta, giacca in tono appena griffata, jeans. Indeciso tra scarpe da ginnastica ed infradito, mi risolvo per serie scarpe di italico cuoio con tanto di lacci.

Arrivo puntuale – ma neppure c’è bisogno di dirlo – e vengo fatto entrare in una stanza dove già attendono due ragazzi sui vent’anni in improbabile look con capelli scompigliati che paiono leccati da una mucca.

Da una grigia radio portatile rimbomba – letteralmente – musica a palla, ma mi rincuora che la radio trasmetta un pezzo dei Led Zepellin.

Mi metto a mio agio ed aspetto paziente.


Mi guardo e mi riguardo introno e mi accorgo che non solo manca un qualsiasi accenno di qualcosa tipo carta intestata, ma che i faldoni che fanno bella mostra di sé in un armadio, pur recando sul dorso il riferimento a possibili fatture, sono … vuoti.
Mi pare di intuirlo dal foro che hanno sul dorso, ma, curioso come una faina come sono, col pretesto di sgranchire le gambe, mi alzo, mi avvicino, ne soppeso, ne scrollo un paio e, in effetti, sono vuoti.


Dopo una decina di minuti, che potrebbero essere anche una ventina, compare una ragazza strizzata in un tailleur di una misura in meno – immagino per mettere meglio in risalto la mercanzia, circostanza della quale, in fondo, la ringrazio -, con la gonna appena al di sopra del ginocchio che la costringe a fare passi piccoli piccoli, la quale mi accoglie con un sorriso eccessivo, protende la mano, la sua, e stringe energeticamente, troppo energeticamente la mano, la mia.

Mi fa accomodare e mi chiede il civvì.

Glielo consegno, lei neppure lo legge e parte con uno sproloquio a raffica dove esalta la società, società che si ostina a chiamare 'Kenwood'.

Può sembrare una sottigliezza, può anche darsi che stia diventando sordo (non escludo l’eventualità), ma giuro che insiste pervicacemente a chiamarla un paio di volte Kenwood.

Paziente ascolto, diligente annuisco, supinamente mi mostro meravigliato e compiaciuto dei successi di questa società che vanta 58 sedi in tutta Italia. Bene, bene, …
Hanno clienti importanti, importantissimi: la Mondadori, la De Agostini, la Ferrero, l’Enel e la Sorgenia, la Fiat, Sky e Mediaset Premium e chi più ne ha più ne possa. Ma benissimo, …

Ah, perbacco!


Patrizia (la silfide si chiama Patrizia) e molto, forse appena un po’ troppo, calata nella parte.
In un altro tailleur (sempre rigorosamente e generosamente una taglia in meno) parla a mitraglia, faccio fatica a starle dietro: una cosa è certa: dopo un quarto d’ora ancora non ho capito né cosa facciano, né cosa mi propongano.

Ha lo sguardo fisso e, cosa che un po’ mi preoccupa, mi accorgerò alla fine dell’incontro che per tutta la durata non ha mai sbattuto le palpebre. Al solo ripensarci ancora adesso mi bruciano gli occhi.

Dopo altri cinque minuti di soliloquio (di tanto in tanto interrotti da un secco quanto perentorio “Ha capito?” che non ammette replica) mi chiede perché ho risposto all’offerta di lavoro.

La risposta più ovvia è che sto cercando lavoro, risposta che non la soddisfa, ma, paziente, mi spiega che, al di là dell’articolo che ho letto, quello che loro stanno cercando non è un agente, non è un procacciatore, non fanno porta a porta, non è un promoter, … “Ho capito?”, mi domanda.

Le rispondo di sì, ma, ad essere sincero, non ho capito.

Patrizia inspira profondamente e capisce che deve armarsi di tutta la sua pazienza e mi spiega che in questo momento la loro società promuove Sorgenia e Sky

“Ah, - la interrompo – ho capito: cercate promoter!”.

Patrizia chiude gli occhi, si stringe forte forte le mani, scuote la testa e i lunghi capelli e, con un filo di voce stridente, digrignando i denti, sussurra: “Noi non siamo promoter!”.

Ma Patrizia deve avere il cuore d’oro e mi concede (notate la differenza tra “ ‘mi’ concede” e “ ‘si’ concede”): “se pensa che la cosa le possa interessare, può venire domani alle 8.30 per una giornata di prova”.

Ho nulla da perdere, ma, soprattutto, nulla da fare per l’indomani per cui le dico: “Occhei!”


(to be continued: mica vorrete perdervi la giornata di prova?)

NON e` una storia di pura invenzione.
Nel racconto SI FA riferimento a fatti e persone REALI.

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