giovedì 3 dicembre 2009

55.Oggi parliamo di sesso (parte 9/12)



Eppure, questa storia dell' 'anima gemella' potrebbe avere un senso.

Ma la domanda è: come e dove si può trovare questa famosa 'anima gemella'?


Ora, una possibilità potrebbe essere quella di frequentare qualche luogo d'incontro per singles. Nei films americani si narra di locali/bar per singles. Una volta c'erano le balere, poi sono arrivati i tabarin (s.m. fr. inv.; in it. s.m. inv., locale notturno di inizio Novecento, dove si assisteva a spettacoli di varietà e balletti), adesso ci sarà sicuramente qualcos'altro; ma, se è vero che la semplice idea di questi locali mi mette addosso una tristezza infinita, mi resta il dubbio: mettere insieme due solitudini è veramente 'la' soluzione o è, comunque, 'una' soluzione?

Fate attenzione a non confondere, distratti come siete, i succitati locali con i locali per scambisti: da una parte me ne mancherebbe il presupposto – chi scambiare? -, dall'altra, se avessi chi scambiare, avrei, probabilmente già in parte risolto almeno una parte del problema

Un amico, Maurizio, uno al passo con l'evoluzione dei tempi, mi ha suggerito un'idea all'apparenza geniale. Mi ha detto: “Romolè, svegliati, esistono le chat!!”

Conosco Maurizio si può dire da sempre.

Per qualche anno, a dire la verità, ci perdemmo di vista, come spesso capita ai più.

Ci rincontrammo in occasione di una cena di coscritti.

Non era il Maurizio che ricordavo. Da anni si era, felicemente, ritirato in campagna, lavoricchiava di tanto in tanto e portava con allegria, sprensieratezza e financo lieta baldanza la sua taglia 52.


A quell'epoca facevo parecchia palestra ed ero soddisfatto di quel poco che il lavoro mi dava: non guadagnavo molto, ma il lavoro mi piaceva.

Decidemmo di tenerci in contatto e così facemmo.


Torino, giovedì 5 febbraio 2009 (S. Agata vergine)

Maurizio mi telefona e, senza che mi desse il tempo di chiedergli cosa stesse combinando, mi disse: “Dobbiamo vederci!”.

“Nessun problema – gli dico -, fammi sapere quando passi per Torino che ci si vede!”.

Maurizio riprende in mano la situazione “Non hai capito, parto, dobbiamo vederci prima che io parta”.

Non capisco il perché di tanta urgenza (non sono mai stato un fulmine a ciel sereno) e, garbatamente nonché pacatamente, rilancio: “Ah Maurì, non ti preoccupare, se non ci si riesce a vedere prima che tu parta, ci si vede quando torni; anzi, così avrai più cose da raccontarmi!”.

Il Maurizio inizia a spazientirsi: “Non hai capito (ve l'avevo detto che ho l'intuizione del bradipo, ma Voi non mi credete), parto, me ne vado, non torno”.

Mi ha convinto, alla fine ci arrivo: ci vuole un po' di tempo, qualche aiutino, ma ci arrivo e concordo: “Occhei, occhei, vediamoci!”.


Torino, venerdì 6 febbraio 2009 (S. Paolo Miki e mm. Giapp.)

La giornata è piovosa. Almeno, è piovosa in corso Matteotti dove ci diamo appuntamento.

Il Maurizio mi si fa incontro: è semplicemente raggiante, come si dice? Ah, sì: felice come una Pasqua. E dei chili in sovrappeso: un ricordo; il Maurizio è in forma smagliante, frenetico, pieno di voglia di vivere.

E sì: l'Ammmore è una grande cosa! A volte sa essere bastardo, ma a volte è un toccasana.

Girovaghiamo per qualche ora sotto una pioggerellina insistente alla ricerca di un portachiavi che gli ricordi Torino e che – Ve lo anticipo – non troveremo.

Ne approfitto per farmi raccontare cos'è successo e a cosa debbo la sua dipartita, pardon, partenza.

Il Maurizio ha trovato il suo Ammmore, quello vero, quello grande, quello che dà le palpitazioni, tachicardia, fa sudare come in un bagno turco, tremori come un attacco di Parkinson, insonnia, toppare sui congiuntivi, essere buoni col mondo intero, fare l'elemosina agli zingarelli (non quello del vocabolario, ma quelli che rubano i portafogli e rapiscono i bambini, perché “anche loro devono mangiare”).

Ma, la circostanza che più mi sorprende è che ha incontrato il grande Ammmore in chat, eventualità che rischia di mettere in dubbio, di far cadere come un castello di carte tutti i miei preconcetti e perplessità sulle conoscenze in chat.

Però parliamo di un grande amico, è in ballo la sua felicità e, se lui ce l'ha fatta, beh, ben venga il progresso tecnologico. È possibile che la mia metà della mela (ricordate Platone? se avete dei lapis di memoria, rinfrescatevela con la parte 7/11) sia dall'altra parte del mondo, forse in Cina (ma le orientali mi sono sempre piaciute) e, allora, ben venga internette.

Il Maurizio è talmente entusiasta che lui, da sempre piemontese fin nel midollo, fiero precursore della Lega sin dai tempi delle medie (quando ancora il Maroni gironzolava col pannolone) è pronto a trasferirsi – per la donna della sua vita – in Sicilia!

Cerco, garbatamente, di domandargli come riesca a conciliare la sua 'piemontesità' da entroterra albese con l'ipotesi di andare "oltre confine".

Sul punto il Maurizio è veramente un altro uomo: “Vedi – mi spiega benevolo l'a-b-c- della globalizzazione – i Siciliani sono persone come noi, anzi: meglio di noi! Io – scopro in lui un novello Livingstone – sono stato da loro e sono persone stupende, cordiali, amichevoli, generose e chi più ne ha più ne metta...”.

Sarei quasi tentato di riportarlo coi piedi per terra, ma so che c'è nulla da fare: ha già regalato tutto quello che aveva ed ha caricato in auto solo quello che può portarsi dietro.


Torino, martedì 10 febbraio 2009 (S. Scolastica vergine)

Sono all'emeroteca della biblioteca nazionale e mi viene in mente che il Mauri parte oggi.

Come si suol dire 'al cuore non si comanda' e, poi, mi dico, perché mai avrei dovuto cercare di fermarlo. L'invidia che posso provare nei suoi confronti è largamente superata dal vedere, condividere la sua felicità. Credetemi: sono veramente felice per lui.

E, tutto sommato, mi piace questo spirito intrepido, questo 'mollare l'ancora' e, per quanto io possa pensare della follia di un insano gesto, la follia per Ammore ha sempre il suo fascino.

I giorni passano e, mentre io cerco di barcamenarmi per cercare un lavoro tra un colloquio e l'altro, di tanto in tanto penso al Maurizione: io nel cuore del freddo inverno del nord, lui felice su una spiaggia assolata, al suono di merengue, con incredibili cocktails, incredibili femmine che lo servono, lo riveriscono, gli fanno aria, ma di cui lui, occhi negli occhi col suo grande Ammmore, neppure si accorge.


E mi domando se non valga la pena di cercare la mia metà sulle chat.


Torino, lunedì 23 febbraio 2009 (S. Policarpo vescovo)

Mentre sono in via Bologna, in fila presso l'Ufficio di collocamento, mi squilla il cellulare.

Distrattamente, sperando che sia un'offerta di lavoro, rispondo.

Una voce baritonale che in un primo momento neppure riconosco, mi impone: “Dobbiamo vederci!”.
Riconosco, dopo un primo attimo di smarrimento, il Maurizione, questa volta è lui a non indulgere all'originalità.

“Volentieri – cerco di improvvisare una risposta -, ma mi spieghi come faccio a raggiungerti in Sicilia?”, e, cercando di fare la battuta “Considera che ho il passaporto scaduto!”.

Il Maurizione non ha tempo da perdere in ciance, il Maurizione, quando vuole, sa essere autoritario e sa imporsi: “Non fare l'idiota (“Ma come – penso tra me – è la cosa che mi riesce meglio ...”), sono a Torino”.

Mi metto in riga, prendo ordini ed il giorno dopo è sotto casa mia.


Torino, martedì 24 febbraio 2009 (S. Adele)

Sento che ha voglia di raccontarmi delle novità che gli urgono ed io ho voglia di ascoltare, ma cerco di rimandare, perché la ciliegina sulla torta, il vino migliore, va preso alla fine.

“Facciamo due passi e mi racconti tutto in metro, così ce ne andiamo in centro e ci si fa due passi”.

Fermata Massaua.

Scendiamo, aspettiamo che arrivino le carrozze, ci accomodiamo.
“Occhei – gli propongo – se vuoi racconta: sono tutt'orecchie...”.

Fermata Pozzo Strada

“Beh – esordisce -, sai, quando sono arrivato non ha fatto altro che piovere e, lo sai, sono metereopatico: la pioggia ed il freddo m'intristiscono...”.

Fermata Rivoli

“Ma dai, suvvia lo interrompo cercando di capire quale sia il vero nocciuolo del problema -, sarà stato un caso; si sa: la Sicilia è terra di sole, sole 360 giorni l'anno; gli altri 5 giorni non è che piova, è che non vogliono farsi mancare nulla. Non credo che sia questo il problema ...”.

Fermata Monte Grappa


“Ma siiiiì – ne conviene il Maurizio -, il fatto è che, come se non bastasse, la casa che avevamo affittato era veramente piccola ed io, lo sai, soffro gli spazi piccoli. Non che soffra di claustrofobia, ma mi vengono attacchi di panico...”.

Fermata Bernini

Sarei tentato di dirgli che attacchi di panico in ambiente chiuso potrebbero essere qualificati come 'claustrofobia', ma, per non essere medico, preferisco non contraddirlo e propendo per un più generico ed interlocutorio: “Suvvia, che vuoi che sia: è la prima casa che avete trovato, col tempo troverete qualcosa di più grande e ricorderete questi primi tempi con lo spirito del 'due cuori una capanna. Non credo che sia questo il problema ...”.


Fermata Porta Susa

Il Maurizio ci pensa un attimo, ma senza neppure sforzarsi troppo arriva a darmi ragione, seppur col beneficio del dubbio. E continua: “Sai, lei passava tutto il giorno a dormire, sveglia di notte, vorrebbe passare le giornate a dipingere, badare alla casa, ma è anche vero che era il progetto che avevamo prima che io partissi per andare a vivere insieme ...”.

Fermata Vinzaglio

“Ebbè – mi sento di dirgli – non è un progetto di vita in comune che io amerei, ma se stava bene a voi e se eravate d'accordo prima di andare a vivere insieme, … Non credo che sia questo il problema ...”.

Fermata Re Umberto

“Sarò sincero – sento che il Maurizio inizia ad arrivare al cuore del problema – mi sembra che lei a cena abbia la tendenza a gradire un po' troppo il vino e che non parli mai di contribuire alle spese, ...”.

Porta nuova – capolinea (fifiuuuù ... finalmente)

Tiro un sospiro per riordinare le idee e, come si suol dire, prendendo il coraggio a quattro mani, azzardo: “Sinceramente, … Questo potrebbe essere un problema!”.

Sono un attimo perplesso dalla situazione e impiego un attimo a riorganizzare le idee; mentre cerco di studiare le cose migliori da dire (e da non dire) al Maurizione, poco ci manca che non esca in tempo dalla carrozza e rischio di ripartire per un nuovo giro nelle budella della metropoli.

Usciamo, comunque, all'aria aperta e, complice la serata piacevole, ne approfittiamo per fare un paio di vasche in centro.


Sarei tentato di fare sfoggio delle mie dis-avventure, ma non mi sembra il caso di fare sempre il primo della classe (super-sfigato nel lavoro, super-sfigato in amore, …), quindi ... desisto.

Parliamo del più e del meno: lui di quanto sia duro amare, io cercando di non cadere nel tranello di infierire sulla 'lei', che neppure conosco, ma rischiando di innescare la sindrome di Romeo e Giulietta.

Cosa intendo per 'sindrome di Romeo e Giulietta'?

Vedete, io penso che R&G siano arrivati a tanto, che il loro amore sia passato indenne nei secoli, che il buon Willie ne avrebbe ricavato un sacco di quattrini se solo Ellie the first avesse inventato il copyright, solo perché Montecchi e Capuleti hanno ostacolato il loro amore.

Se solo le due famiglie avessero accettato di buon grado le nozze dei due sbarbatelli, che ne sarebbe stato di loro? Non credo di andare molto lontano dal vero immaginando che mentre Romeo avrebbe passato le serate al bar a giuocare a rubamazzetto e ingollare grappini, Giulietta sarebbe ingrassata in un monolocale con bagno in comune sul ballatoio, con 4 o 5 marmocchi vocianti a spaccare mobili tra schiamazzi e con un mutuo da pagare.

Alla fine della serata il Maurizione mi pare abbastanza convinto, ma inizia ad essere nervoso. Per quanto la storia d'amore sembri destinata alle scene finali, ancora si sentono al telefono quella decina di volte al giorno. Ultima chiamata alle 21.00!

Sono le 20.58 e il Maurizio teme di essere in ritardo. Telefona, ma, come temeva, ... il telefono è spento.


Rattristato, mi spiega: “Sai, non si perde una puntata di 'Amici' con la De Filippi e, per non essere disturbata, spegne il cellulare”.

Io ripenso al Maurizione che conoscevo, ai mille interessi, alla cultura devastante, alla voglia di fare e proprio non me lo vedo condividere un divano incollato davanti ad una puntata di 'Amici'.

Mi faccio forza, contravvengo all'imperativo che mi ero imposto dio non parlare male della fanciulla e sbotto: “O Maurizio: una femmina che spegne il telefono perché non vuole essere distratta mentre guarda 'Amici'? Questo è un problema!

Come si sa, solo il tempo riesce a lenire le ferite e, con le pene d'Ammmore è un vero toccasana.

Da febbraio il Maurizio decide di andare a svernare al mare, su spiagge uggiose battute dal vento, col sottofondo delle onde che si frangono sulla battigia, tra il frinire dei gabbiani (occhei, occhei, lo so: sono le cicale a frinire, ma non ho la minima idea di come si chiami il verso dei gabbiani).

Dopo qualche settimana decide di tornare a girovagare sulle chat alla ricerca della sua anima gemella e scopre che anche il suo grande Ammmore, che, pure, aveva minacciato i classici gesti estremi come da copione dozzinale di serie, è tornata in chat alla ricerca di qualcuno che metta insieme i pezzi del suo cuore infranto.

Intanto il Maurizio continua a chattare, di tanto in tanto si sollazza con qualche fanciulla, ma probabilmente, non è quello che io cerco.

E, badate, non voglio dire che lui abbia torto ed io ragione: ognuno cerca qualcosa di diverso.

Qualche volta ci sentiamo per telefono e, recentemente, mi confida che anche questo allegro svolazzare come un'ape di fiore in fiore non lo soddisfa più tanto.

Ma allora è proprio vero che, spesso (attenzione, ho scritto 'spesso' non 'sempre') anche quello che inseguiamo una volta raggiunto, perde il suo fascino, l'incantesimo svanisce.

Non è che spesso noi ci prefiguriamo quella che ci illudiamo sia la nostra felicità, cerchiamo con tutte le nostre forse di dar corpo alle nostre illusioni e cerchiamo di far combaciare tutti i tasselli anche quando i pezzi non combaciano? Cos'è l'Ammmore, questo sogno, questa chimera che pare irraggiungibile e che, comunque, una volta raggiunta, perde tutto il suo incanto?

Sinceramente, non ho risposte, non sono un poeta e qui rischio di avventurarmi su chine che non mi sono proprie e, ad essere sinceri, non ho mai amato i puzzles!


Conclusione


Stamattina mi ha telefonato un altro amico, Sergio.

Senza dire né "Ciao", né "Come stai", va subito al sodo ed esordisce "Divorzio!".

"Ah, ciao Sè, come stai? - gli rispondo recuperando le battute del copione che aveva tralasciato - bella storia, ma non puoi lasciar perdere per adesso ed farlo con l'anno nuovo?".

Perché la domanda non è "Perché divorzi?" (idea che potrebbe essere senz'altro originale se non c'è niente di interessante in televisione, tanto per rompere la monotonia, fare qualcosa di originale): la domanda è "Perché ti sei sposato?".

Il Se' si era sposato una decina di anni fa e mi aveva stressato per mesi dicendomi che anch'io mi sarei dovuto sposare, con frasi del tipo "E' beeeeellissimo, non sai neppure cosa ti perdi!".

Cercando di cogliere la palla al balzo, cerco di scroccargli un pranzo e gli propongo di passare da lui.

"Certo, perché no? - mi risponde - anzi, porta qualcosa da mangiare, perché il frigo è vuoto! Porta qualcosa per noi due!".

"Come vuoto, non hai fatto la spesa? Vabbè, già che ci sono ti faccio un po' di spesa" scioccamente gli domando e gli propongo cercando di fare il generoso.

"Eh, già bravo tu ... così, poi, avanza qualcosa anche per la stronza!?!?".

Non ho ben capito, alcuni mi propongono la convivenza come soluzione per le spese di casa, ma se, una volta sposato, dopo una decina di anni divorziassi come il Se', è veramente una soluzione?

Insomma, ricapitolando, cercare il grande Ammmore in chat potrebbe non essere la soluzione, comunque non la migliore, molto probabilmente, quasi sicuramente non per me.

Ho l'impressione che in chat si cerchi altro, che è pure qualcosa, ma, appunto, 'altro' (agg.indef., pron.indef.m., avv., [aggettivo indefinito] diverso, differente; indica una diversità indeterminata e deve essere preceduto dall'articolo indeterminativo).

Mi viene in mente una delle domande che mi posi all'inizio della parte: posso io permettermi di innamorarmi? E non alludo al budget (a questo primo aspetto del problema, credo, di aver già dato una risposta) , ma: posso io, vivendo in questo delicato equilibrio – senza un lavoro, in predicato di vendere casa per chissà quale futuro – permettermi di affrontare anche le pene d'amore?

Perché si sa, se l'Ammmore sa essere consolante e consolatorio, è pur vero che l'Ammmore è foriero di pene e dolori.

Ma allora, cercando di riformulare la domanda per contestualizzarla nel quadro di queste puntate (non vorrei che alcuni Lettori, alcune Lettrici, abbiano perso il filo del discorso, pensando che quivi si parli in astratto del rapporto uomo/donna), la questione che il presente modesto Trattatello cerca di risolvere è se un disoccupato possa permettersi una relazione, quali ne siano i vantaggi e quai gli svantaggi.

Questa, miei Cari, è la questione!

Già, queste pene d'Ammmore che tanto ci affaticano e ci fanno soffrire, che ci spaccano il cuore, che fanno crollare tutt'intorno a noi, ma che, pure, ci fanno sognare, ci fanno sperare. Queste pene d'Ammmore che, poi, ci dimentichiamo e, spesso, ricordiamo con dolcezza dopo qualche anno, dopo qualche mese, dopo qualche settimana … dopo qualche giorno …

… a volte ...

(segue, ...)


NON e` una storia di pura invenzione.
Nel racconto SI FA riferimento a fatti e persone REALI.


Nessun commento:

Posta un commento