mercoledì 1 aprile 2009

13. Uno contro sei



L’appuntamento è mercoledì alle 11.30, in via Pio VII.
La giornata è grigia. Pioviggina in modo fastidioso ed inopportuno. Non abbastanza per l’ombrello (che, intanto, non porto mai con me: quando lo faccio li perdo, immancabilmente).
Con un certo disappunto mi accordo di aver dimenticato la t-shirt per il bar, anche i cuochi hanno il loro look; d’altra parte, in giacca e cravatta mi sentirei fuori luogo.

La mezz’ora di anticipo mi permette di fare una puntata in un supermarket di corso Traiano. Tra i vari scaffali individuo delle magliette in offerta speciale, circostanza – l’offerta speciale – che giunge opportuna.

Un dubbio: M o XL. Chiedo consiglio ad una commessa che mi suggerisce la M: “va bene – le dico – se, poi, non dovesse andare bene torno e me la prendo con lei”. Lo sguardo le sprofonda in una maschera di sconforto e sento il bisogno di rassicurarla, dicendole che stavo scherzando.
La tentazione di lasciarla col dubbio era forte, ma, andando ad un colloquio è bene non rischiare con la buona sorte.

Arrivo all’agenzia puntuale, ma che dico puntuale, puntualissimo.

Mi fanno accomodare, prendo in mano il libro che prudentemente mi ero portato dietro ed inizio a leggere con la convinzione di calarmi nella parte del postulante impegnato.
L’agenzia dell’assicurazione è un perfetto open speis (si può anche scrivere space), luce diffusa calda ed accogliente; il personale alle scrivanie è composto di giovani impiegate.
Dopo mezz’ora mi complimento con me stesso per essermi portato da leggere, dato che il sig. F. arriva alle 12.15, scusandosi per il ritardo.

“Niente, niente” rispondo con un sorriso, e, solo per un momento mi viene da domandarmi cosa avrebbe pensato lui se io fossi arrivato con 45minuti45 di ritardo; ma è un pensiero che tengo per me.
Avendo il F. notato che durante l’attesa ingannavo la stessa leggendo, un po’ per cortesia un po’ per ingannare l’attesa di fronte alla porta dell’ascensore, mi domanda cosa io legga in genere.
Non sapendo cosa lui legga e per restare sul vago, rispondo un generico “Un po’ di tutto”, risposta assolutamente generica che va bene in qualsiasi situazione.
Visto che gli ascensori hanno la spiacevole abitudine di essere drammaticamente lenti e dato che esiste niente di peggio del silenzio che accompagna il rito dell’ascensore (per la serie ‘come dare un senso al concetto di eternità’), ricambio la cortesi chiedendo cosa lui legga.
Il F. mi ricorda di essersi convertito in tarda età alla Chiesa Valdese (ama ricordarlo, non ho ancora capito se a se stesso o agli altri) e che in questo momento sta leggendo un libro di Kung: “Lo conosce?”.
Come direbbe il mai dimenticato Dino (ndr. Meneghin) le palle vanno colte al balzo, ed io rimbalzo (dentro di me, perché saltare in ascensore dicono essere pericoloso ed io non ho voglia di smentire questa leggenda urbana) e, con falsa modestia: “Mah, so solo che Hans Kung, nato in Svizzera nel 1928, venne nominato da Giovanni XXIII consulente teologico al Consiglio Vaticano II, ma, per le sue posizioni, gli venne interdetto l’insegnamento all’Università di Tubinga”. E, poi, per ridimensionare la situazione, “Ho letto solo ‘L’infallibilità’ del 1977, ‘Dio esiste?’ (1980), ’24 tesi sul problema di Dio1 (1980), ‘Vita eterna’ (1983), ‘Cristianesimo e religione cinese’ (1989). Attualmente interdetto a divinis dall'insegnamento presso l'Università cattolica di Tubinga”.
Il F. si dice favorevolmente impressionato, anche perché, mi ricorda, la persona che stanno cercando, dovrà gestire una clientela di alto profilo ed avere una buona cultura.
Occhi, fino a questo punto ci siamo. Mi sento come in quella pubblicità di qualche anno fa il protagonista vedeva aumentare il proprio punteggio per ogni mossa azzeccata nel primo appuntamento con la ragazza.
Arriviamo al 4° piano, una rampa di scala, ma quello che mi aspetta non è il sottotetto che, dati i precedenti colloqui, mi sarei aspettato.
L’ambiente è elegante, le vetrate si affacciano sul un balcone con piante vere, anche le piante nella sala dove mi chiede di attendere un attimo sono vere.
Equimicasischerza.

Dopo un paio di minuti mi fa entrare nella sala riunioni, dove mi presenta, nell’ordine, i 3 soci, il direttore commerciale, l’account.
Sorridono tutti e. già che ci sono, sorrido anch’io.
C’è anche un elegante tavolo col piano di vetro, vero anche quello.
Dopo le strette di mano di tiro di rito, tutti propongono di scendere a prendere un caffè, e chi sono io per oppormi?
Rampa di scale, ascensore, bar, caffè, sigaretta.
Sulla sigaretta ci avrei giurato, dato che già in un incontro precedente il F. era stato assalito da un attacco per astinenza da nicotina e, incurante del freddo, era uscito sul balcone per superare la crisi. Io, per inciso, avevo appena avuto il tempo di rollarmi la mia di sigaretta (e che vi era venuto in mente, dopo tutto era un colloquio) mentre lui aveva già finito la sua.

Questa volta, comunque, ho il tempo di fumare, anche se, per prudenza, avevo rollato poco tabacco.
Ascensore, quattro piani, rampa di scale.
Io ne approfitto per fare conoscenza con uno dei soci e dimostro tutta la mia affabilità.
Sento come lo scampanellio del flipper mentre la pallina rimbalza ed il punteggio sale.

Sala riunioni.

Uno contro sei.




Decido di non guardare l’orologio, sapendo già che arriverò al bar col dovuto ritardo.
Non mi spavento certo per dover affrontare un prevedibile fuoco incrociato e ringrazio i tanti colloqui affrontati, considerandoli un’ottima palestra.
Il F. mi fa una presentazione di tutto rispetto e me ne sento quasi lusingato.
Il direttore commerciale prende in mano la situazione e, sfoderando un sorriso come silo un direttore commerciale sa fare, mi invita ad illustrare il mio curriculum.
Come prima domanda mi sembra abbastanza facile, quasi facile.
Alla fine mi sembra di essermela cavata abbastanza egregiamente, niente boria né spocchia per i miei precedenti, ma nemmeno indulgo nello svilirmi: insomma, quella che alcuni chiamerebbero la via di mezzo.
Il F. riprende in mano la situazione e illustra i tre progetti sui quali stanno lavorando e conclude nel ritenere che la mia figura potrebbe corrispondere a quello che stanno cercando.
Inizia la prevedibile girandola di domande.
Il solo che resta in silenzio giochicchiando col cellulare è l’account. Ma, mi dico, è prevedibile: per lui queste riunioni sono tempo sottratto ai mille contratti che nel frattempo potrebbe concludere.
Pian piano le domande si concentro sull’ambito assicurativo: in fondo sono sei assicuratori.

Sono quasi le 13 ed anche gli assicuratori sentono i morsi della fame.

Per evitare di iniziare a sentire gorgoglii di stomaco stile ruggito di leone nella savana, decido di dare risposte precise, ma brevi.
Capisco che stiamo arrivando al termine dell’incontro.
“Bene – dice con la dovuta enfasi il direttore commerciale col sorriso che nel frattempo non ha avuto il minimo cedimento (qualcuno potrebbe sospettare che si tratti di una paresi, ma, se non altro, è funzionale al ruolo) – ci parli dell’esperienza in Alleanza che, sicuramente, è quella che più potrebbe interessarci”.
“Ahi, ahi”, penso tra me e me.
E’ bene, nei colloqui di lavoro, non parlare mai male delle precedenti esperienze, potrebbe dare una brutta impressione, come dire “Se l’esperienza è finita non è colpa mia, ma degli altri che erano brutti e cattivi”.
Ma come spiegare loro che il mio responsabile ‘fregava’ i clienti ai suoi sub-agenti? La cosa potrebbe anche essere trascurabile, ma in quell’occasione io ero uno dei sub-agenti.
Prendo le cose alla larga, larghissima. Evito di fare riferimento a nomi ed a situazioni particolari, alludo alla sottrazione di clientela e cerco di riparare in corner, parlando anche di una diversa etica del rapporto con la clientela, che, per certo, il mio ex responsabile non aveva. Anzi, il semplice accenno gli faceva venire attacchi di orticaria, blocco della deglutizione, attacchi di ansia e di panico, sudorazione, visini mistiche.
L’idea del richiamo all’etica mi sembrava geniale, anche considerando che il buon F. ama ricordare in ogni occasione la sua conversione religiosa: “Almeno lui, mi dico, sarà dalla mia parte”.
E, se i soci sono suoi soci, applicando un banale sillogismo, anche loro saranno (chi più chi meno) in un’ottica simile.
D’altra parte anche il Alleanza l’Agente supremo, l’agente degli agenti, mi aveva più volte illustrato l’importanza di non ‘gabbare’ i clienti: ti porti a casa un contratto (e la provvigione), ma ti farai in breve terra bruciata: fai l’interesse del cliente e, non solo lui sarà più disponibile per nuove polizze, ma ti presenterà amici, parenti, amanti.
Ach, devo aver sbagliato qualcosa. Non sempre i sillogismi sono corretti. D’altra parte, 1. se Socrate è un uomo 2. se Socrate è omosessuale 3. tutti gli uomini sono omosessuali.
All’improvviso mi sento fissato da 12 occhi 12 che mi guardano, mi fissano, mi trapassano, come se in un raduno del ku klux klan si accorgessero che, una volta scappucciati, un di loro è un nero; di più, un nero, omosessuale, ebreo e comunista.
Sento di aver detto qualcosa di sbagliato.
Per cercare un minimo di comprensione mi volgo verso il F., ma il F. ha abbassato lo sguardo e ciondola mestamente il capo e par che dico “io non lo conosco”.



E mi accorgo che le cose mi sono sfuggite di mano quando uno dei soci conclude l’incontro dicendo: “F: ci ha detto che, data la sua situazione, lei (cioè io) preferirebbe un fisso; ma se le porponessimo solo provvigioni?”.
Poco ci manca che il sig. F. mostri tutta la sua disapprovazione per la mia presenza, mi rinneghi e si alzi in piedi tuonando: "Ma chi ha osato portare costui al nostro cospetto?".

Come disse non mi ricordo più chi “Tutto è perduto fuorché l’onore” e cerco di uscirne con eleganza: “I progetto che mi avete illustrato sono sicuramente di mio interesse ed apprezzo la serietà della vostra società e la vostra; certo un anno fa avrei potuto affrontare anche un lavoro con sole provvigioni, ma, in questo momento, non potrei”.
Poi, per rigirare la frittata (ho o non ho fatto il cuoco nell’ultimo mese? Sarà colo nella cucina di un bar, ma pur sempre cuoco): “D’altra parte non credo che un commerciale lavorerebbe tranquillamente senza avere una minima tranquillità economica. Credo ci sia niente di peggio per un potenziale cliente del trovarsi di fronte un commerciale agitato con l’ansia da prestazione”.

Insomma, cadere sì, ma in piedi.

Esco. Ha quasi smesso di piovere.

Risalgo corso Traiano e, prima di arrivare alla fermata del 4 in corso Unione, entro in un bar.
Ordino un caffè e cerco la toilette. Sulla porta del bagno campeggia un minaccioso cartello con scritto a caratteri cubitali GUASTO.
Scambio col barista l’occhiata segreta di chi lavora al bar (occhiata che nulla ha da invidiare alla stretta di mano massonica né alla strizzatine d’occhio dei frequentatori di un locale per scambisti) e mi fiondo nel bagno che, scopro, ha nulla di guasto.
Come Superman nella cabina telefonica, con altrettanta capacità, velocità, rapidità, destrezza, combinazione di movimenti, insacco (proprio nel senso di ‘metto nella sacca’) abito, cravatta, scarpe ed indosso il mio completo da perfetto addetto cuoco.
All’uscita sento il barista che dice alla giovane cameriera “equestochè?vavvedèchefinehafattoquelaltro”.

Arrivo alla fermata ed eccolo avvicinarsi, il 4.

Beh, ho neppure fatto troppo tardi.

NON E` una storia di pura invenzione.
Nel racconto SI FA riferimento a fatti e persone REALI.

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