E' buffo (quasi buffo): diplomato quasi col massimo dei voti, laureato persino col massimo dei voti, un più che decoroso civvì, un sorriso smagliante, da due anni cerco lavoro consultando tutti i giorni (con la sola esclusione della domenica, ma anche il buon Dio si dovette concedere un giorno di riposo), rispondo praticamente ad ogni tipo di offerta di lavoro, ma sembra che gli unici colloqui che riesco a spuntare sono adesso per i call center.
Meglio non pensarci e vado al mio appuntamento: via Valperga Caluso 18, società Ellison.
Questa volta, a scanso di equivoci, mi sono portato dietro il prezioso Tuttocittà, non si sa mai.
Con la metro scendo a Porta Nuova e, avendo un buon margine di tempo, decido di continuare a piedi.
Nel ventre dei portici di via Nizza contemplo ammirato i lavori per la metropolitana e sono tentato di fare come quegli anziani che si mettono vicini vicini agli operai per cercare di capire quello che fanno e, se del caso anche senza richiesta, dare consigli.
Corso Marconi, via Campana, via Morgari, via V. Caluso. Ecco: ci sono.
Risalgo via Caluso, individuo il n.18, una palazzina fatiscente, al limite dell'anomino, una decina di campanelli senza nome. Per fortuna c'é un'etichetta di traverso che recita Allison.
Sono talmente in anticipo che decido di concedermi il lusso di un caffé. Dico lusso perché di questi tempi autarchici anche un caffé per chi è da tanto tempo disoccupato un caffé diventa un lusso.
Soprattutto in zone che non conosco. Intorno a casa o in centro ho oramai una perimetria perfetta dei bar, delle condizioni delle toilettes e del costo dei caffé: ce ne sono da 90 cent, la maggior parte a 85 cent, qualcuno ad 80 cent, un paio azzardano, osano, l'euro, cifra tonda. Un bar di corso Vittorio si svende a 70 cent, a patto che la consumazione avvenga al banco ed in piedi.
Il caffé da Maicol a 50 cent è un lontano ricordo.
Da perfetto italiano medio al bar butto un'occhiata alla Gazzetta dello Sport che snocciala le solite inquietanti notizie sulla Giuventus.
Confesso che lo faccio più per riflesso condizionato che come tifoso: da quando arrivò la triade tutti sapevamo come sarebbe finita ed io decisi di non appassionarmi più alla Vecchia.
Ma sono quasi le 9.30 e ritorno sui miei passi e trillo il campanello.
Una voce stridula ed intermittente (il citofono è quantomeno approssimato, provvisorio) mi domanda cosa voglio.
Non faccio neppure a tempo a chiedere a che piano devo andare perché la comunicazione s'interrompe. Sarei tentato di risuonare, ma desisto; oramai quasi tutte le offerte richiedono la capacità di 'problem solving' e questa ben potrebbe essere una prova, la prima prova per l'ignaro candidato: si viene scartati se neppure si riesce a risolvere un problema tanto banale come capire a che piano a che porta si deve andare.
Me ne faccio una ragione (tanto ho visto quasi tutte le puntate del tenente Colombo), tiro un sospiro, mi faccio coraggio, mi armo di pazienza, insomma, salgo.
L'ingresso del palazzo non tradisce le attese: è fatiscente almeno quanto il campanello.
In effetti la cosa è abbastanza semplice o, comunque, più semplice del previsto. Rinuncio a prendere l'ascensore date le pessime condizioni dello stesso e salgo al primo piano.
La fortuna mi assiste (che voglia dire qualcosa) e si apre una porta. Sul campanello riesco persino a leggere il nome della società e, radioso come il sole, mi presento.
Cristina, la ragazza che mi apre, è una extra-extra large e, prima che abbia tempo di dire qualunque altra cosa (non che ne avessi), prende a scusarsi perché Elisabetta, con la quale dovrò sostenere il colloquio è in ritardo.
Poco male: uno dei vantaggi impagabili della disoccupazione è di avere molto, ma davvero molto tempo a disposizione.
Se l'ufficio-appartamento della MCM di via A. da Brescia aveva del provvisorio, qui mi aspetto di vedere uscire da qualche porta il proprietario dell'appartamento in ciabatte e vestaglia. Qui non solo gli infissi delle porte, ma tutto gioca sulle sfumature grigio topo.
Vengo fatto accomodare in una stanza sulla sinistra. Alle pareti un poster pubblicitario di Vodafone, sul tavolo è abbandonato qualcosa simile ad un piccì, non nuovo, questo no, ma neppure abbastanza vecchio da giocarsela come antiquariato.
Ad una sedia è seduta (per questo si chiama sedia) una ragazza che abbozza ad un saluto e la Cristina torna a scusarsi per il ritardo di Elisabetta.
Sono tentato di dirle che sono solo le 9.20, quindi, tecnicamente, l'Elisabetta non è ancora in ritardo, ma ho anche imparato che un bravo candidato non deve sollevare questioni inutili.
Capisco che la ragazza arrivata prima di me non deve essere molto loquace, quanto meno non a parole, visto che invia e riceve essemmesse ora sorridendo compiaciuta ora con espressione interrogativa.
Non ci sono riviste, alle pareti o fuori dalle finestre poco per non dire nulla, anzi, diciamo pure nulla con cui distrarsi per ingannare l'attesa. Per fortuna mi viene incontro un cane, una bastardone , un misto di qualcosa con qualcos'altro, ma dal muso simpatico che, scodinzolando, prende ad annusarmi. Spero solo che non mi scambi per un albero e, dal moneto che la ragazza continua a chattare, decido di grattugiare il cane.
Solo allora, Eleonora (la ragazza con tanto di cellulare) parla e, con tono appena appena freddo e con quel tanto di rancore che non si preoccupa di nascondere, dice: "prima che lei arrivasse faceva le feste a me!".
Il fatto che mi dia del 'Lei' un piccolopoco mi irrita, ma, già che ci sono mi viene da pensare "Ecchisenefrega?", ma sono un gentiluomo e abbozzo un sorriso.
Eleonora riprende a chattare.
Alle 9.30 si sente un'auto che arriva nel cortile interno, il cane va sul balcone a ballatoio e prende a guaire, abbaiare, ululare.
Dopo un paio di minuti fa il suo ingresso trionfale l'Elisabetta, che si distingue dalla Cristina perché è una extra large, ma il parrucchiere, lo deduco dalla improbabile tinta dei capelli che si va scrostando lungo il bulbo, deve essere lo stesso dell'Elisabetta.
Anche lei si scusa per il ritardo ed io mi accuccio per non aprire inutili ed oziose discussioni se due minuti si possano considerare un ritardo.
"Bene - esordisce l'Elisabetta - visto che siete qui tutti è due, faremo un colloquio di gruppo".
Mi sembra un'ottima idea, non originale, ma ottima questo sì!
Non so se l'Elisabetta avesse altro da fare, ma l'Eleonora ed io le rispondiamo affermativamente e, quindi, il colloquio può, deve andare avanti.
L'Elisabetta sembra quasi contrariata, ma, fatto buon viso a cattivo giuoco, cerca una posizione comoda sulla sedia e prosegue.
"Dunque, avevamo come cliente Vodafone ('avevamo', quindi non l'hanno più) ma adesso stiamo cercando qualcuno per un altro cliente: conoscete Vitalift?".
Se lo conosco? Certo che lo conosco: basta girare, fare zapping, zappare sulle televisioni private e guardare el telepromozioni. Quando non si è ancora del tutto avvinti dalla noia, immancabile arriva Ettore Andenna. A quel punto uno si aspetta che presenti Giochi senza frontiere (c'é qualche altro motivo per ricordarsi di Ettore Ardenna? un mito dei nostri tempi) anche perché è a bordo di una vasca da bagno (magari qualche squadra ha deciso di giuocare il fil rouge) ed invece lui ti sorprende e presenta Vitalift.
Cos'é Vitalift? Cos'é Vityalift? Vitalift è il sollevatore da bagno, una comoda panchetta che si mette nella vasca da bagno (ecco perché c'é la vasca da bagno), aiuta ad alzarsi e sedersi, un nastro trasportatore che accompagna delicatamente sul fondo della vasca, con tanto di telecomando per facilitare la salita e la discesa, con tanto di consulenti per studiare la soluzione migliore, con tanto di agevolazioni per anziani e disabili. 'Vitalift: ti solleva la vita!'. Uno slogan tanto stupido, quanto efficace!
Mi limito ad un più generico e meno impegnativo: "Sì, lo conosco!".
Eleonora annuisce, ma è abbastanza chiaro che non ha la benché minima idea di cosa sia questo prodigio della scienza.
Continua l'Elisabetta: "Si tratta di gestire le telefonate in entrata per richieste di informazioni; il compenso è, per un full time di 6 ore al giorno, 6 giorni alla settimana, di 600 euro. Il periodo di formazione è di un paio d'ore il primo giorno. Domande?".
Incredibile: in e-care il periodo di formazione era di una decina di giorni, alla MCM si passava a 2 giorni. Qui sono sufficienti due ore!
E' evidente che cercano dei geni ed io non sono più tanto sicuro che mi possano prendere.
L'Eleonora la butta sul tecnico: se il lavoro si svolge lì, perché lei ha già lavorato lì vicino (mi sfugge il nesso tra le due cose), se si può lavorare anche solo 4 ora al giorno, perché lei ha lavorato lì vicino (il nesso prende a giuocare a nascondino), se si possono prendere permessi, perché lei ha lavorato lì vicino (machissene…), ... perché lei ha lavorato lì vicino (occhei, occhei, ho capito il concetto).
Io vado più sull'essenziale (noi maschi siamo per le cose essenziali): "Scusi, ma i 600 euro sono lordi o netti?".
L'Elisabetta, quasi come se la cosa fosse scontata, dà la risposta giusta: "Netti!".
Risposta esatta, perfetto, tanto mi basta.
Il colloquio è durato meno di un quarto d'ora: non meno di dieci minuti, ma certamente meno di 15. Lo affermo con una sicurezza per me quasi insolita perché ho controllato l'orologio.
Quando usciamo, lungo le scale, l'Eleonora è perplessa: è abbastanza facile capire quando una ragazza è perplessa, non me ne vogliano le gentili lettrici.
Cerco di parlare del più e del meno: "Beh, pensavo peggio: è vero che l'orario di lavoro è lungo per 600 euri (sissì, 'euri': 600 è plurale di 1), ma dovendo gestire solo telefonate in entrata per un prodotto così, così, beh, così il vero rischio che vedo è vincere la noia".
Non credo fosse l'osservazione che l'Eleonora si sarebbe aspettata, ma, ragazzi, parliamo di 600 euri, ... netti!
Insomma, meno di 15 minuti per un colloquio: una sveltina!
Ho, comunque, la sensazione che la mia Odissea nei call center non sia finita.
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