Ma vi ricordate fino a qualche anno fa che gioia era, tornando a casa, l’appuntamento con la cassetta delle lettere? Once upon a time, una volta c’erano incredibili sorprese: lettere, biglietti di auguri, persino cartoline.
Poi, quasi d’un tratto, tutto è cambiato. Prima è arrivato internet con le e-mail, ma il colpo di grazia è arrivato con gli essemmesse dei cellulari. Con gli essemmesse tutto è diventato più rapido, più veloce, ma che ne è stato delle lettere, quelle scritte a mano? Scomparse!
Io non amo gli essemmesse, me ne servo, ma non li amo. Detesto quella mania adolescenziale di contrarre tutte le parole, di storpiarle in improbabili codici fiscali. Detesto, anzi, odio, letteralmente odio il t9, non fosse altro perché non esista la metà delle parole che vorrei scrivere, ma ancora di più perché nel suo vocabolario non esiste il congiuntivo. Ed io difendo il congiuntivo, credo fortemente vada tutelato come i panda: se i panda una volta erano una specie a rischio, ora, forse non più, certo non è in via d’estinzione come il congiuntivo.
A dire il vero non amo neppure il cellulare. Va bene per le telefonate d’emergenza, per avvisare che si è in ritardo ad un appuntamento, ma dopo 3 minuti al cellulare mi domando perché non ci si possa vedere e parlare di persona.
Oddio, è vero, mi capita di uscire di casa e tornare indietro perché mi sono accorto una volta arrivato alla fermata del bus di esserne senza. Ma ci sono delle volte, cui non saprei rinunciare, in cui, se me ne accorgo una volta in pulman o in metro, che tiro quasi un respiro di sollievo e mi godo una giornata senza cellulare. E sono giornate impagabili.
In fondo c’è niente di peggio che avere con sé il cellulare e passare giornate intere senza una telefonata che sia una. Se qualcuno sbaglia numero, ho sempre la tentazione di tenerlo in linea, così, per sentirmi meno solo, tanto per fare amicizia.
Almeno, se è a casa, ci si può illudere che qualcuno ci cerchi, ma se è lì con te, hai un bel vedere se la suoneria è bassa, se c’è o non c’è campo: se non ti chiamano, non ti chiamano.
Vabbé, lo ammetto, in questi mesi mi sforzo di non dimenticarlo perché spero sempre che arrivi una tanto attesa telefonata per un possibile colloquio di lavoro.
Eppoi che dire se la donna della mia vita mi dovesse cercare superando la sua diga di timidezza. E’ vero, al momento non c’è nessuna donna della mia vita, ma ammettiamo che arrivi, che riesca ad avere il mio numero di cellulare, che mi chiami: non sarebbe scortese dire che l’avevo dimenticato a casa? In fondo sono un gentiluomo, che lo crediate o no.
Poi, quasi d’un tratto, tutto è cambiato. Prima è arrivato internet con le e-mail, ma il colpo di grazia è arrivato con gli essemmesse dei cellulari. Con gli essemmesse tutto è diventato più rapido, più veloce, ma che ne è stato delle lettere, quelle scritte a mano? Scomparse!
Io non amo gli essemmesse, me ne servo, ma non li amo. Detesto quella mania adolescenziale di contrarre tutte le parole, di storpiarle in improbabili codici fiscali. Detesto, anzi, odio, letteralmente odio il t9, non fosse altro perché non esista la metà delle parole che vorrei scrivere, ma ancora di più perché nel suo vocabolario non esiste il congiuntivo. Ed io difendo il congiuntivo, credo fortemente vada tutelato come i panda: se i panda una volta erano una specie a rischio, ora, forse non più, certo non è in via d’estinzione come il congiuntivo.
A dire il vero non amo neppure il cellulare. Va bene per le telefonate d’emergenza, per avvisare che si è in ritardo ad un appuntamento, ma dopo 3 minuti al cellulare mi domando perché non ci si possa vedere e parlare di persona.
Oddio, è vero, mi capita di uscire di casa e tornare indietro perché mi sono accorto una volta arrivato alla fermata del bus di esserne senza. Ma ci sono delle volte, cui non saprei rinunciare, in cui, se me ne accorgo una volta in pulman o in metro, che tiro quasi un respiro di sollievo e mi godo una giornata senza cellulare. E sono giornate impagabili.
In fondo c’è niente di peggio che avere con sé il cellulare e passare giornate intere senza una telefonata che sia una. Se qualcuno sbaglia numero, ho sempre la tentazione di tenerlo in linea, così, per sentirmi meno solo, tanto per fare amicizia.
Almeno, se è a casa, ci si può illudere che qualcuno ci cerchi, ma se è lì con te, hai un bel vedere se la suoneria è bassa, se c’è o non c’è campo: se non ti chiamano, non ti chiamano.
Vabbé, lo ammetto, in questi mesi mi sforzo di non dimenticarlo perché spero sempre che arrivi una tanto attesa telefonata per un possibile colloquio di lavoro.
Eppoi che dire se la donna della mia vita mi dovesse cercare superando la sua diga di timidezza. E’ vero, al momento non c’è nessuna donna della mia vita, ma ammettiamo che arrivi, che riesca ad avere il mio numero di cellulare, che mi chiami: non sarebbe scortese dire che l’avevo dimenticato a casa? In fondo sono un gentiluomo, che lo crediate o no.
Insomma, pian piano le buche delle lettere si sono svuotate, per diventare il regno incontrastato della pubblicità e … delle bollette.
Io ho iniziato ad amare la pubblicità in buca, quando la trovo tiro un sollievo di sospiro, pardon, un sospiro di sollievo. Sento di averla fatta franca, che anche questa volta mi è andata bene. Me la guardo, vedo se, caso mai, c’è qualcosa d’interessante, qualche sconto e la butto, rispettosamente, nella scatola gialla di Cartesio: sono per la raccolta differenziata, anche se sono praticamente, sinceramente convinto che noi dividiamo, ma nella discarica tutta la spazzatura arrivi non separata. Poco male, è già una bella cosa, di questi tempi, sentirsi con la coscienza pulita.
Quando arrivo a casa la scena si ripete sempre uguale.
arrivo la portone, mi frugo in tasca e/o nello zaino alla ricerca delle chiavi, apro il portone, salgo le scale e, con malcelata noncuranza, solo con un'occhiata sfuggente, di tre quarti, allungo lo sguardo nella direzione della cassetta. quando la scorgo vuota entro nell'ascensore con un sospiro di sollievo. Ci sono delle volte in cui mi dimentico di guardare chiamatelo subconscio, chiamatelo come volete, ma non me ne sento in colpa: in fondo, se c'é qualcosa, poco male, la ritroverò; se, poi, qualcuno la volesse rubare, che ci potrei fare?
Il postino che serve la mia zona è da sempre lo stesso. Negli anni si deve essere fatto i soldi, perché ha persino cambiato bicicletta. E' piccolino, un accenno di pinguedine, sempre sorridente. Da quando lo conosco ha sempre una cinquantina d'anni.
Qualche mese fa l'ho bloccato per strada: "Senta - gli ho detto - me lo vuole fare un grande favore, un enorme regalo? Non mi metta più corrispondenza nella buca. Le prometto che a fine anno le regalerò comunque un panettone, il prossimo anno non più uno riciclato dal Natale precedente: uno nuovo, con data di scadenza a venire. Mi dirà lei se lo vuole glassato, con o senza uvetta, con o senza canditi. Un pandoro: preferisce un pandore? Solo, per favore, non più corrispondenza!".
Avevo anche pensato di togliere la targhetta col cognome, di bloccare la fessura col nastro adesivo.
Ma una cosa è il dire, l'altra è il fare. Chi di noi, dopo tutto, non preferisce rinviare a domani quello che dovrebbe e potrebbe fare oggi?
Per farla breve, lunedì 27 si ripete, la solita scena: arrivo a casa, apro il portoncino, salgo le scale e....ahi, ahi, ahi, dalla buca delle lettere mi occhieggia ammiccante una busta bianca. La cosa che mi preoccupa è che anche in altre cassette giacciano altre buste, ugualmente bianche, tutte sghignazzanti, infide, sinistre.
Fossero colorate sarebbero reclame, fossero cellophanate sarebbero bollettini postali di qualche opera missionaria, fosse un ciclostile battuto a macchina sarebbe la solita lettera della parrocchia, fosse, fosse: il fatto è che non è.
Anzi: è bianca!
Senza guardare il mittente, la tiro molto ma molto malvolentieri fuori dalla cassetta delle lettere.
Penso che potrei ancora essere in tempo per bruciarla e negare, anche contro ogni evidenza, di averla ricevuta, ma la donna delle pulizie è lì sulle scale. E mi saluta persino.
Sono in ascensore e mi sembra possa non essere una buona idea bruciarla mentre sono in ascensore. Non mi chiedete perché.
Arrivo all'ottavo piano, entro in casa.
Occhei, un lungo respiro, e apro la busta.
La carta intestata non lascia dubbio: l'amministratore del condominio.
Insomma, questo benedetto amministratore (non mi vengono in mente altri aggettivi) non trova niente di meglio che fare il conteggio degli arretrati delle rate di riscaldamento e mandarle agli inquilini: col bel tempo che fa in questi giorni!
Non guardo i ratei scaduti, mi concentro sulla cifra in grassetto, d'altra parte è la somma che fa il totale!
Per fortuna che mi sono seduto per leggerla.
Lo ammetto, la matematica non è mai stata il mio forte, potrei persino arrivare a dire che tutto il mio civvì scolastico è stato costruito per evitare, scansare, dribblare il numero, inteso proprio come un concetto ontologicamente a se stante. Anche quando nei negozi mi danno il resto, io vado sulla fiducia. ancora adesso io ragiono in lire, non ho mai avuto il tempo di adeguare il chip da lire in euro, quindi immaginatevi la doppia fatica di calcolare il resto e convertirlo in lire. Io, che ancora non capisco come funziona una macchinetta per il caffé, come posso sperare di capire qualcosa di misterioso, alchemico, mistico, iniziatico come la matematica?
Ma vero è che per fare la differenza tra il saldo delle rate per il riscaldamento e quello che ho in banca e, voglio esagerare, quello che ho nel portafoglio, beh, resta veramente ma veramente poco.
Lo so, lo so, avete un'idea del vostro eroe come associato ad aggettivi quale indistruttibile, ottimista, che getta il cuore oltre l'ostacolo (lo so che non è un aggettivo, ma rende l'idea); le lettrici potrebbero aggiungere simpatico e carino, ma chi sono io per dare loro torto?
Eppure, per un pur breve momento sono preso da un attimo di sconforto: sapevo che trovare lavoro, un qualunque lavoro sarebbe stato difficile, ma non credevo così difficile.
Il buon Froid (per i germanofili sarebbe più corretto scrivere Freud, ma io diffido profondamente del tedesco, una lingua per me ostica; lo credo che i tedeschi sono incazzati col mondo: immaginatevi voi se, appena nati, qualcuno vi parlasse come se leggesse dei codici fiscali, lo credo che si finirebbe per odiare tutto e tutti; come disse W.A.: "dopo 5 minuti che ascolto Wagner, ho l'impulso irrefrenabile ad occupare la Polonia", e come dargli torto?) direbbe che è stato il mio subconscio a rimuovere l'idea di pagare tutte le rate di riscaldamento: ma le prime due le ho pagate, poi me ne sono dimenticato (che ci crediate o no, o, almeno, speravo che l'amministratore si dimenticasse di me. Ma, probabilmente, non ha troppi condomini cui badare, o è un sadico: ecco, un sadico che parla in tedesco con pochi condomini cui stare dietro.
Io ho iniziato ad amare la pubblicità in buca, quando la trovo tiro un sollievo di sospiro, pardon, un sospiro di sollievo. Sento di averla fatta franca, che anche questa volta mi è andata bene. Me la guardo, vedo se, caso mai, c’è qualcosa d’interessante, qualche sconto e la butto, rispettosamente, nella scatola gialla di Cartesio: sono per la raccolta differenziata, anche se sono praticamente, sinceramente convinto che noi dividiamo, ma nella discarica tutta la spazzatura arrivi non separata. Poco male, è già una bella cosa, di questi tempi, sentirsi con la coscienza pulita.
Quando arrivo a casa la scena si ripete sempre uguale.
arrivo la portone, mi frugo in tasca e/o nello zaino alla ricerca delle chiavi, apro il portone, salgo le scale e, con malcelata noncuranza, solo con un'occhiata sfuggente, di tre quarti, allungo lo sguardo nella direzione della cassetta. quando la scorgo vuota entro nell'ascensore con un sospiro di sollievo. Ci sono delle volte in cui mi dimentico di guardare chiamatelo subconscio, chiamatelo come volete, ma non me ne sento in colpa: in fondo, se c'é qualcosa, poco male, la ritroverò; se, poi, qualcuno la volesse rubare, che ci potrei fare?
Il postino che serve la mia zona è da sempre lo stesso. Negli anni si deve essere fatto i soldi, perché ha persino cambiato bicicletta. E' piccolino, un accenno di pinguedine, sempre sorridente. Da quando lo conosco ha sempre una cinquantina d'anni.
Qualche mese fa l'ho bloccato per strada: "Senta - gli ho detto - me lo vuole fare un grande favore, un enorme regalo? Non mi metta più corrispondenza nella buca. Le prometto che a fine anno le regalerò comunque un panettone, il prossimo anno non più uno riciclato dal Natale precedente: uno nuovo, con data di scadenza a venire. Mi dirà lei se lo vuole glassato, con o senza uvetta, con o senza canditi. Un pandoro: preferisce un pandore? Solo, per favore, non più corrispondenza!".
Avevo anche pensato di togliere la targhetta col cognome, di bloccare la fessura col nastro adesivo.
Ma una cosa è il dire, l'altra è il fare. Chi di noi, dopo tutto, non preferisce rinviare a domani quello che dovrebbe e potrebbe fare oggi?
Per farla breve, lunedì 27 si ripete, la solita scena: arrivo a casa, apro il portoncino, salgo le scale e....ahi, ahi, ahi, dalla buca delle lettere mi occhieggia ammiccante una busta bianca. La cosa che mi preoccupa è che anche in altre cassette giacciano altre buste, ugualmente bianche, tutte sghignazzanti, infide, sinistre.
Fossero colorate sarebbero reclame, fossero cellophanate sarebbero bollettini postali di qualche opera missionaria, fosse un ciclostile battuto a macchina sarebbe la solita lettera della parrocchia, fosse, fosse: il fatto è che non è.
Anzi: è bianca!
Senza guardare il mittente, la tiro molto ma molto malvolentieri fuori dalla cassetta delle lettere.
Penso che potrei ancora essere in tempo per bruciarla e negare, anche contro ogni evidenza, di averla ricevuta, ma la donna delle pulizie è lì sulle scale. E mi saluta persino.
Sono in ascensore e mi sembra possa non essere una buona idea bruciarla mentre sono in ascensore. Non mi chiedete perché.
Arrivo all'ottavo piano, entro in casa.
Occhei, un lungo respiro, e apro la busta.
La carta intestata non lascia dubbio: l'amministratore del condominio.
Insomma, questo benedetto amministratore (non mi vengono in mente altri aggettivi) non trova niente di meglio che fare il conteggio degli arretrati delle rate di riscaldamento e mandarle agli inquilini: col bel tempo che fa in questi giorni!
Non guardo i ratei scaduti, mi concentro sulla cifra in grassetto, d'altra parte è la somma che fa il totale!
Per fortuna che mi sono seduto per leggerla.
Lo ammetto, la matematica non è mai stata il mio forte, potrei persino arrivare a dire che tutto il mio civvì scolastico è stato costruito per evitare, scansare, dribblare il numero, inteso proprio come un concetto ontologicamente a se stante. Anche quando nei negozi mi danno il resto, io vado sulla fiducia. ancora adesso io ragiono in lire, non ho mai avuto il tempo di adeguare il chip da lire in euro, quindi immaginatevi la doppia fatica di calcolare il resto e convertirlo in lire. Io, che ancora non capisco come funziona una macchinetta per il caffé, come posso sperare di capire qualcosa di misterioso, alchemico, mistico, iniziatico come la matematica?
Ma vero è che per fare la differenza tra il saldo delle rate per il riscaldamento e quello che ho in banca e, voglio esagerare, quello che ho nel portafoglio, beh, resta veramente ma veramente poco.
Lo so, lo so, avete un'idea del vostro eroe come associato ad aggettivi quale indistruttibile, ottimista, che getta il cuore oltre l'ostacolo (lo so che non è un aggettivo, ma rende l'idea); le lettrici potrebbero aggiungere simpatico e carino, ma chi sono io per dare loro torto?
Eppure, per un pur breve momento sono preso da un attimo di sconforto: sapevo che trovare lavoro, un qualunque lavoro sarebbe stato difficile, ma non credevo così difficile.
Il buon Froid (per i germanofili sarebbe più corretto scrivere Freud, ma io diffido profondamente del tedesco, una lingua per me ostica; lo credo che i tedeschi sono incazzati col mondo: immaginatevi voi se, appena nati, qualcuno vi parlasse come se leggesse dei codici fiscali, lo credo che si finirebbe per odiare tutto e tutti; come disse W.A.: "dopo 5 minuti che ascolto Wagner, ho l'impulso irrefrenabile ad occupare la Polonia", e come dargli torto?) direbbe che è stato il mio subconscio a rimuovere l'idea di pagare tutte le rate di riscaldamento: ma le prime due le ho pagate, poi me ne sono dimenticato (che ci crediate o no, o, almeno, speravo che l'amministratore si dimenticasse di me. Ma, probabilmente, non ha troppi condomini cui badare, o è un sadico: ecco, un sadico che parla in tedesco con pochi condomini cui stare dietro.
Insomma, la sensazione è quella di nuotare sotto la linea di galleggiamento in una piscina di letame (chiamiamola 'letame'): fino a che si riesce a trattenere il respiro non è male, o, comunque, ci si abitua.
Il fatto è che non so ancora per quanto riuscirò a trattenere il respiro.
"Che ti avevo detto? dannato postino! Il prossimo Natale niente panettone!"
Il fatto è che non so ancora per quanto riuscirò a trattenere il respiro.
"Che ti avevo detto? dannato postino! Il prossimo Natale niente panettone!"
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