Oggigiorno politici, addetti alle relazioni pubbliche, giornalisti, pubblicitari, insomma ogni tipologia di professionisti della comunicazione sembra si sia accorta di come un poco appena di ironia riesca a rendere più graditi ed incisivi i propri messaggi. È incontestabile il fatto che, in questo determinato momento storico, l’ironia sembra esser divenuta un elemento assolutamente desiderabile e ricercato nella pratica odierna della comunicazione.
Il problema è che il fenomeno è, per lo più, spiegato come una moda e quindi, in sostanza, per nulla analizzato ma solo semplicemente accettato: in tanti vedono nell’esprimersi ironicamente uno stile di comunicazione moderno e capace di instillare nuova linfa in messaggi ormai sempre più vuoti e ridondanti, tuttavia è assai sparuto il manipolo di coloro che si chiedono cosa sia l’ironia e come si possa attuarla e perciò sfruttarla al meglio.
In genere la spiegazione che si dà dell’ironia si avvicina molto ad una spiegazione circolare: si dice semplicemente che ironico è tutto ciò che risulta simpatico e gradito. Ma - per insistere - come si fa ad essere simpatici e graditi? E’ sufficiente, ci si sentirà rispondere, essere ironici.
Definire invece l’ironia come ciò che lascia contraddetti e induce al riso, significa avvicinare pericolosamente l’ironia alla comicità, addirittura quasi identificando l’una con l’altra. Questa equiparazione, che molti sembrano accettare, è tuttavia piuttosto ingenua; per dimostrarlo è sufficiente spingersi un solo piccolo passo oltre nell’argomentazione sulla comunicazione ironica.
Se ironia e comicità sono ammesse essere quantomeno simili, allora qual’è il motivo per cui uomini politici, organizzazioni, aziende e professionisti affermano tutti di voler fare dell’ironia e di voler essere ironici, mentre mai confessano di avere il desiderio di fare della comicità e di essere comici?
Crediamo che la sola formulazione della domanda lasci già emergere, come d’improvviso, la risposta: il fatto è che tutti noi percepiamo in maniera implicita una distinzione importante tra ironia e comicità, troppo spesso però, non solo non rendiamo esplicito ciò che comunque soggiace, ma persino tendiamo a sommergerlo ancor di più sino a dimenticarcene.
Dirsi ironici è ben altra cosa che dirsi comici, poiché, sembra ormai chiaro, l’ironia possiede una connotazione assai più nobile e rispettabile che alla comicità invece non appartiene: il ridere ironico è un ridere cui fa seguito sempre una riflessione, mentre la comicità inizia e finisce in una risata leggera e superficiale. Si può affermare che l’ironia è capace di sottolineare un messaggio intelligentemente, quando al contrario la comicità cancella qualsiasi argomento ed ogni meditazione. L’ironia è astuta quanto gradevole e la comicità è stolida quanto grossolana; ecco perché tutti affermano di voler essere ironici e non comici, salvo poi confondersi sul significato di ironia e di comicità.
Ma, ho detto molto ma molto prima, l'ironia gioca sulla falsa ignoranza ed è quel modo di vedere e vivere la realtà che, privandola di tutti i fronzoli e gli orpelli, di tutte le apparenze e le illusioni, la vede e la fa vedere per quello che è: una cazzata!
"L'ironia è l'espressione di una persona che, animata dal senso dell'ordine e della giustizia, si irrita dell'inversione di un rapporto che stima naturale, normale, intelligente, morale, e che, provando il desiderio di ridere a tale manifestazione d'errore o d'impotenza, la stimmatizza in modo vendicativo rovesciando a sua volta il senso delle parole (antifrasi) o descrivendo una situazione diametralmente opposta alla situazione reale (anticatastasi). Il che è una maniera di rimettere le cose per il verso giusto"
Questa definizione di Morier (Dizionario di poetica e di retorica) è interessante in quanto mostra due aspetti fondamentali dell'ironia: il primo, che essa si lega ad uno stato d'animo (secondo lui, un'irritazione di fronte a un rapporto invertito delle cose del mondo); il secondo, che la sua espressione si manifesta attraverso l'antifrasi o l'anticatastasi, cioè attraverso l'uso di figure retoriche.
Sigmund Freud sostiene che l'ironia "consiste essenzialmente nel dire il contrario di ciò che si vuole suggerire, mentre si evita che gli altri abbiano l'occasione di contraddire: l'inflessione della voce, i gesti significativi, qualche artificio stilistico nella narrazione scritta, indicano chiaramente che si pensa proprio il contrario di ciò che si dice".
Tuttavia, questa definizione sembra riduttiva, nel senso che l'ironia, e soprattutto l'ironia letteraria, non si limita a essere un'antifrasi pura e semplice. Essa può avvalersi di un'infinità di altre situazioni reali o retoriche: può "giocare sulla permutazione di spazi, sull'inversione di rapporti, sulla semplice differenza, sull'evitamento, sul mimetismo del discorso dell'altro, e senza dubbio su numerose altre figure" (P. Hamon, L'ironia letteraria).
C. Kerbrat-Orecchioni, in Problemi dell'ironia, mette in luce l'esistenza di due tipi di ironia: l'ironia referenziale, che esprime una contraddizione tra due fatti contigui, e l'ironia verbale, che esprime una contraddizione tra due livelli semantici legati a una stessa sequenza di significato. La differenza fondamentale tra la prima e la seconda è che mentre l'ironia referenziale si gioca su una relazione duale, tra l'oggetto dell'ironia e l'osservatore che percepisce l'ironia, l'ironia verbale si gioca su una relazione a tre: un locutore, che tiene un discorso ironico rivolto ad un ricevente, a detrimento (o sulle spalle di) un terzo, la vittima dell'ironia.
E, qui, veniamo ad un nodo fondamentale.
Ma, allora, perché talvolta l'ironia diventa irritante, offende, suscita insofferenza?
Facciamo un esempio.
Prendendo una caffè, ironizzo col barista sulla circostanza che i baristi non sono abili in matematica perché col passaggio all'euro un caffè, che prima costava 900 lire, adesso costa 90 centesimi (= 1.800 lire): il doppio!
Normalmente il barista risponderà che dipende dall'aumento dei costi di produzione, dall'esosità dei grossisti/distributori, che, in definitiva, non è colpa loro!
Una cosa è certa e vi consiglio vivamente: cambiate bar la prossima volta.
Perché?
Fondamentalmente perché il barista è messo al centro della situazione ironica.
E' il principio della torta in faccia: non c'è chi non rida quando vede una gag comica che finisce a torte in faccia: ma provate a tirare una torta in faccia a qualcuno. Se vi va bene non ride, ma potrebbe anche incazzarsi!
Ricordate la definizione dalla quale sono partito per definire l'ironia?
Mi cito: "L'ironia dal greco antico eironeía, ovvero: ipocrisia, falsità o ... finta ignoranza)", ovvero far apparire se stessi meno importante di quanto sia.
Quando Ulisse ritornò da Troia, si fece passare per un rozzo mendicante anziché per il re legittimo di Itaca qual'era. Nessuno si accorse di lui finché non si rivelò rimontando il suo arco, cosa che nessuno, né tra i pretendenti alla sua moglie Penelope, né altri hanno avuto la forza di fare.
Così si parla di ironia quando si dice una cosa per intenderne un'altra.
Per esempio, in Huckleberry Finn di Mark Twain, Huck scrive un biglietto al proprietario di Jim, uno schiavo nero fuggitivo, rivelandogli dove questi è nascosto. Ma prima di spedirlo, Huck si trova a pensare a Jim come suo amico; quindi strappa il biglietto e dice: "Bene, allora andrò all'inferno!".
Dal punto di vista di una società fondata sul possesso di schiavi, Huck ha effettivamente ha commesso un peccato: sta privando un padrone di una proprietà legale. Si vede come una cattiva persona per gli standard del tempo. Come emarginato, Huck è considerato un giovane delinquente dalla maggior parte dei benpensanti. Ma noi vediamo la sua decisione come profondamente morale, anche se lui stesso non se ne rende conto.
Poco più tardi Huck, parlando con una donna, si inventa una storia su se stesso, spiegando che ad un certo punto il suo battello fluviale è scoppiato.
"Santo cielo!", dice la donna, "si è fatto male qualcuno?"
"No signora. E' morto un negro."
"Però, siete stato fortunato; sa, a volte la gente si fa male...".
Se leggiamo questo senza capire l'ironia di Twain, potremmo pensare che avesse simpatie per il razzismo. Twain in realtà mira a condannare il bigottismo della donna e non ad approvarla.
L'ironia presuppone che capiremo che cosa realmente sta provando a dire, ma a volte i lettori non afferrano completamente (per questa ragione Huckleberry Finn viene spesso preso di mira da adulti che lo pensano razzista, quando è uno dei migliori libri antirazzisti in circolazione).
Può perciò risultare pericoloso scherzare con l'ironia. Se non tutti, molti affermano di apprezzare l'ironia, se non altro perché è di moda, perché non vogliono passare per censori, preché vogliono far vedere che sono tanto spiritosi non solo da ridere di se stessi, ma anche da parmettere che gli altri ridano di loro.
L`ironia e` la capacita` di sdrammatizzare - con intelligenza -, di irridere, di vedere il grottesco quando tutti restano seri. di sa[er prendere in giro se stessi e quindi, perche` no?, gli altri.
Ma è altrettanto vero che siamo partiti dall'assunto (vedi parte 1) che l’ "ironia, invece, è più sottile, più logica (della comicità), ancorata a concetti, a riflessione", e nessuno vuole apparire, mostrarsi da meno. Insomma, può capitare che ci cerca di essere ironico venga tollerato (ammesso che ci riesca.
Il che è, comunque, già qualcosa.
Noi ti ringraziamo nostro buon Protettore per averci dato anche oggi la forza di fare il più bello spettacolo del mondo. Tu che proteggi uomini, animali e baracconi, tu che rendi i leoni docili come gli uomini e gli uomini coraggiosi come i leoni, tu che ogni sera presti agli acrobati le ali degli angeli, fa' che sulla nostra mensa non venga mai a mancare pane ed applausi. Noi ti chiediamo protezione, ma se non ne fossimo degni, se qualche disgrazia dovesse accaderci, fa che avvenga dopo lo spettacolo e, in ogni caso, ricordati di salvare prima le bestie e i bambini. Tu che permetti ai nani e ai giganti di essere ugualmente felici, tu che sei la vera, l'unica rete dei nostri pericolosi esercizi, fa' che in nessun momento della nostra vita venga a mancarci una tenda, una pista e un riflettore. Guardaci dalle unghie delle nostre donne, ché da quelle delle tigri ci guardiamo noi, dacci ancora la forza di far ridere gli uomini, di sopportare serenamente le loro assordanti risate e lascia pure che essi ci credano felici. Più ho voglia di piangere e più gli uomini si divertono, ma non importa, io li perdono, un po’ perché essi non sanno, un po’ per amor Tuo, e un po’ perché hanno pagato il biglietto. Se le mie buffonate servono ad alleviare le loro pene, rendi pure questa mia faccia ancora più ridicola, ma aiutami a portarla in giro con disinvoltura. C'è tanta gente che si diverte a far piangere l'umanità, noi dobbiamo soffrire per divertirla; manda, se puoi, qualcuno su questo mondo capace di far ridere me come io faccio ridere gli altri
(da Il più comico spettacolo del mondo, 1953, diretto da Mario Mattioli, primo ed unico film tridimensionale italiano, manomesso quasi subito con la versione normale bidimensionale. Film parodia de Il più grande spettacolo del mondo di Cecil B. DeMille, 1952)
Il problema è che il fenomeno è, per lo più, spiegato come una moda e quindi, in sostanza, per nulla analizzato ma solo semplicemente accettato: in tanti vedono nell’esprimersi ironicamente uno stile di comunicazione moderno e capace di instillare nuova linfa in messaggi ormai sempre più vuoti e ridondanti, tuttavia è assai sparuto il manipolo di coloro che si chiedono cosa sia l’ironia e come si possa attuarla e perciò sfruttarla al meglio.
In genere la spiegazione che si dà dell’ironia si avvicina molto ad una spiegazione circolare: si dice semplicemente che ironico è tutto ciò che risulta simpatico e gradito. Ma - per insistere - come si fa ad essere simpatici e graditi? E’ sufficiente, ci si sentirà rispondere, essere ironici.
Definire invece l’ironia come ciò che lascia contraddetti e induce al riso, significa avvicinare pericolosamente l’ironia alla comicità, addirittura quasi identificando l’una con l’altra. Questa equiparazione, che molti sembrano accettare, è tuttavia piuttosto ingenua; per dimostrarlo è sufficiente spingersi un solo piccolo passo oltre nell’argomentazione sulla comunicazione ironica.
Se ironia e comicità sono ammesse essere quantomeno simili, allora qual’è il motivo per cui uomini politici, organizzazioni, aziende e professionisti affermano tutti di voler fare dell’ironia e di voler essere ironici, mentre mai confessano di avere il desiderio di fare della comicità e di essere comici?
Crediamo che la sola formulazione della domanda lasci già emergere, come d’improvviso, la risposta: il fatto è che tutti noi percepiamo in maniera implicita una distinzione importante tra ironia e comicità, troppo spesso però, non solo non rendiamo esplicito ciò che comunque soggiace, ma persino tendiamo a sommergerlo ancor di più sino a dimenticarcene.
Dirsi ironici è ben altra cosa che dirsi comici, poiché, sembra ormai chiaro, l’ironia possiede una connotazione assai più nobile e rispettabile che alla comicità invece non appartiene: il ridere ironico è un ridere cui fa seguito sempre una riflessione, mentre la comicità inizia e finisce in una risata leggera e superficiale. Si può affermare che l’ironia è capace di sottolineare un messaggio intelligentemente, quando al contrario la comicità cancella qualsiasi argomento ed ogni meditazione. L’ironia è astuta quanto gradevole e la comicità è stolida quanto grossolana; ecco perché tutti affermano di voler essere ironici e non comici, salvo poi confondersi sul significato di ironia e di comicità.
Ma, ho detto molto ma molto prima, l'ironia gioca sulla falsa ignoranza ed è quel modo di vedere e vivere la realtà che, privandola di tutti i fronzoli e gli orpelli, di tutte le apparenze e le illusioni, la vede e la fa vedere per quello che è: una cazzata!
"L'ironia è l'espressione di una persona che, animata dal senso dell'ordine e della giustizia, si irrita dell'inversione di un rapporto che stima naturale, normale, intelligente, morale, e che, provando il desiderio di ridere a tale manifestazione d'errore o d'impotenza, la stimmatizza in modo vendicativo rovesciando a sua volta il senso delle parole (antifrasi) o descrivendo una situazione diametralmente opposta alla situazione reale (anticatastasi). Il che è una maniera di rimettere le cose per il verso giusto"
Questa definizione di Morier (Dizionario di poetica e di retorica) è interessante in quanto mostra due aspetti fondamentali dell'ironia: il primo, che essa si lega ad uno stato d'animo (secondo lui, un'irritazione di fronte a un rapporto invertito delle cose del mondo); il secondo, che la sua espressione si manifesta attraverso l'antifrasi o l'anticatastasi, cioè attraverso l'uso di figure retoriche.
Sigmund Freud sostiene che l'ironia "consiste essenzialmente nel dire il contrario di ciò che si vuole suggerire, mentre si evita che gli altri abbiano l'occasione di contraddire: l'inflessione della voce, i gesti significativi, qualche artificio stilistico nella narrazione scritta, indicano chiaramente che si pensa proprio il contrario di ciò che si dice".
Tuttavia, questa definizione sembra riduttiva, nel senso che l'ironia, e soprattutto l'ironia letteraria, non si limita a essere un'antifrasi pura e semplice. Essa può avvalersi di un'infinità di altre situazioni reali o retoriche: può "giocare sulla permutazione di spazi, sull'inversione di rapporti, sulla semplice differenza, sull'evitamento, sul mimetismo del discorso dell'altro, e senza dubbio su numerose altre figure" (P. Hamon, L'ironia letteraria).
C. Kerbrat-Orecchioni, in Problemi dell'ironia, mette in luce l'esistenza di due tipi di ironia: l'ironia referenziale, che esprime una contraddizione tra due fatti contigui, e l'ironia verbale, che esprime una contraddizione tra due livelli semantici legati a una stessa sequenza di significato. La differenza fondamentale tra la prima e la seconda è che mentre l'ironia referenziale si gioca su una relazione duale, tra l'oggetto dell'ironia e l'osservatore che percepisce l'ironia, l'ironia verbale si gioca su una relazione a tre: un locutore, che tiene un discorso ironico rivolto ad un ricevente, a detrimento (o sulle spalle di) un terzo, la vittima dell'ironia.
E, qui, veniamo ad un nodo fondamentale.
Ma, allora, perché talvolta l'ironia diventa irritante, offende, suscita insofferenza?
Facciamo un esempio.
Prendendo una caffè, ironizzo col barista sulla circostanza che i baristi non sono abili in matematica perché col passaggio all'euro un caffè, che prima costava 900 lire, adesso costa 90 centesimi (= 1.800 lire): il doppio!
Normalmente il barista risponderà che dipende dall'aumento dei costi di produzione, dall'esosità dei grossisti/distributori, che, in definitiva, non è colpa loro!
Una cosa è certa e vi consiglio vivamente: cambiate bar la prossima volta.
Perché?
Fondamentalmente perché il barista è messo al centro della situazione ironica.
E' il principio della torta in faccia: non c'è chi non rida quando vede una gag comica che finisce a torte in faccia: ma provate a tirare una torta in faccia a qualcuno. Se vi va bene non ride, ma potrebbe anche incazzarsi!
Ricordate la definizione dalla quale sono partito per definire l'ironia?
Mi cito: "L'ironia dal greco antico eironeía, ovvero: ipocrisia, falsità o ... finta ignoranza)", ovvero far apparire se stessi meno importante di quanto sia.
Quando Ulisse ritornò da Troia, si fece passare per un rozzo mendicante anziché per il re legittimo di Itaca qual'era. Nessuno si accorse di lui finché non si rivelò rimontando il suo arco, cosa che nessuno, né tra i pretendenti alla sua moglie Penelope, né altri hanno avuto la forza di fare.
Così si parla di ironia quando si dice una cosa per intenderne un'altra.
Per esempio, in Huckleberry Finn di Mark Twain, Huck scrive un biglietto al proprietario di Jim, uno schiavo nero fuggitivo, rivelandogli dove questi è nascosto. Ma prima di spedirlo, Huck si trova a pensare a Jim come suo amico; quindi strappa il biglietto e dice: "Bene, allora andrò all'inferno!".
Dal punto di vista di una società fondata sul possesso di schiavi, Huck ha effettivamente ha commesso un peccato: sta privando un padrone di una proprietà legale. Si vede come una cattiva persona per gli standard del tempo. Come emarginato, Huck è considerato un giovane delinquente dalla maggior parte dei benpensanti. Ma noi vediamo la sua decisione come profondamente morale, anche se lui stesso non se ne rende conto.
Poco più tardi Huck, parlando con una donna, si inventa una storia su se stesso, spiegando che ad un certo punto il suo battello fluviale è scoppiato.
"Santo cielo!", dice la donna, "si è fatto male qualcuno?"
"No signora. E' morto un negro."
"Però, siete stato fortunato; sa, a volte la gente si fa male...".
Se leggiamo questo senza capire l'ironia di Twain, potremmo pensare che avesse simpatie per il razzismo. Twain in realtà mira a condannare il bigottismo della donna e non ad approvarla.
L'ironia presuppone che capiremo che cosa realmente sta provando a dire, ma a volte i lettori non afferrano completamente (per questa ragione Huckleberry Finn viene spesso preso di mira da adulti che lo pensano razzista, quando è uno dei migliori libri antirazzisti in circolazione).
Può perciò risultare pericoloso scherzare con l'ironia. Se non tutti, molti affermano di apprezzare l'ironia, se non altro perché è di moda, perché non vogliono passare per censori, preché vogliono far vedere che sono tanto spiritosi non solo da ridere di se stessi, ma anche da parmettere che gli altri ridano di loro.
L`ironia e` la capacita` di sdrammatizzare - con intelligenza -, di irridere, di vedere il grottesco quando tutti restano seri. di sa[er prendere in giro se stessi e quindi, perche` no?, gli altri.
Ma è altrettanto vero che siamo partiti dall'assunto (vedi parte 1) che l’ "ironia, invece, è più sottile, più logica (della comicità), ancorata a concetti, a riflessione", e nessuno vuole apparire, mostrarsi da meno. Insomma, può capitare che ci cerca di essere ironico venga tollerato (ammesso che ci riesca.
Il che è, comunque, già qualcosa.
Conclusione
Noi ti ringraziamo nostro buon Protettore per averci dato anche oggi la forza di fare il più bello spettacolo del mondo. Tu che proteggi uomini, animali e baracconi, tu che rendi i leoni docili come gli uomini e gli uomini coraggiosi come i leoni, tu che ogni sera presti agli acrobati le ali degli angeli, fa' che sulla nostra mensa non venga mai a mancare pane ed applausi. Noi ti chiediamo protezione, ma se non ne fossimo degni, se qualche disgrazia dovesse accaderci, fa che avvenga dopo lo spettacolo e, in ogni caso, ricordati di salvare prima le bestie e i bambini. Tu che permetti ai nani e ai giganti di essere ugualmente felici, tu che sei la vera, l'unica rete dei nostri pericolosi esercizi, fa' che in nessun momento della nostra vita venga a mancarci una tenda, una pista e un riflettore. Guardaci dalle unghie delle nostre donne, ché da quelle delle tigri ci guardiamo noi, dacci ancora la forza di far ridere gli uomini, di sopportare serenamente le loro assordanti risate e lascia pure che essi ci credano felici. Più ho voglia di piangere e più gli uomini si divertono, ma non importa, io li perdono, un po’ perché essi non sanno, un po’ per amor Tuo, e un po’ perché hanno pagato il biglietto. Se le mie buffonate servono ad alleviare le loro pene, rendi pure questa mia faccia ancora più ridicola, ma aiutami a portarla in giro con disinvoltura. C'è tanta gente che si diverte a far piangere l'umanità, noi dobbiamo soffrire per divertirla; manda, se puoi, qualcuno su questo mondo capace di far ridere me come io faccio ridere gli altri
(da Il più comico spettacolo del mondo, 1953, diretto da Mario Mattioli, primo ed unico film tridimensionale italiano, manomesso quasi subito con la versione normale bidimensionale. Film parodia de Il più grande spettacolo del mondo di Cecil B. DeMille, 1952)
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