Tema
Dopo tanti mesi a fare ogni genere di colloqui peraltro sempre con lo stesso esito) la domanda che un mattino mi sorse spontanea non fu “perché?” (ho imparato ad autogiustificarmi dando ora la colpa al civvì – ora eccessivo e ridondante ora insufficiente e senza precedenti esperienze in analogo ruolo – ora all’età), ma “chi?”.
Introduzione
Durante i primi mesi di disoccupazione venne a me, da sempre amante della lettura, una sorta di rifiuto, di repulsione verso ogni sorta di carta stampata.
Forse preferivo guardarmi intorno alla ricerca di ogni sorta di annuncio di offerta di lavoro.
Forse preferivo guardarmi intorno alla ricerca di ogni sorta di annuncio di offerta di lavoro.
E dire che da sempre ero affascinato dal libro in quanto tale. Mi vanto di avere in casa un paio di librerie a parete cariche e stracolme di libri. Di libri letti, non di quelli comprati a metro: un tot di un certo colore, altri di varia forma e colore tanto per adeguarsi all’ambiente. Nonnò: libri letti.
Ricordo ancora le scorrerie nelle librerie: ogni promozione al 15%-25% era mia. Non dico della sorta di godimento che provavo quando la promo arrivava al 30%.
Lo ammetto, dopo aver comprato un libro ad una promozione del 30% provavo l’irrefrenabile desiderio/bisogno di accendermi una sigaretta!
Un giorno in una delle bancarelle di via Po scoprii una vera miniera. Era morto il gestore (un simpatico vecchietto, decisamente naif, con lunghi capelli bianchi, lunga barba bianca, segaligno, un cappello da pittore sulla tre quarti, sigaretta e sorrisetto beffardo) ed avevano riversato ogni genere di libro libretto, libricino, libraccio. Dai libri di filosofia a interi cataloghi Feltrinelli, Mondatori e della gloriosa Einaudi.
Per rendere omaggio al defunto arrivavo armato di sacchetti di plastica modello supermercato (non quelli piccolini da farmacia, ma quelli grandi, resistenti, con doppifondo, capaci, capaci di tutto), caricavo ogni ben di dio e me ne andavo via trionfante.
Ero un cliente talmente assiduo e munifico, che avevo un conto aperto.
Poi, di colpo, all’improvviso il vuoto.
Un giorno, non ricordo neppure più quando, senza accorgermene, mi ritrovai con un libro in mano e, più per istinto che per altro, ripresi a leggere.
Decisamente la lettura in questi mesi mi è stata di grande conforto.
Per oltre un anno, con qualsiasi tempo (sole, pioggia, vento, grandine, tempesta, neve) ero solito andare e venire, ogni giorno da casa fino in centro a piedi. Un’oretta di sana e spartana camminata tanto per far passare il tempo e per tenermi in forma.
Quando ricominciai a leggere tornai a prendere il pulmann: difficile a credersi, ma è molto più facile leggere comodamente seduti che camminando!
Presi a rileggere libri che neppure ricordavo di avere, altri che erano sopravvissuti alla mia onnivora voglia, bisogno di leggere. Non pago leggevo i giornali nei bar, i quotidiani nella metropolitana, vecchie bollette della luce e del gas, scritte nei bagni, ordini del giorno delle riunioni di condominio. Se in pulman finivo il mio libro e non ero stato abbastanza avveduto da portarmene meco uno di riserva, leggevo il giornale degli altri passeggeri, noncurante del fastidio che potevano mostrare.
Preso dal sacro furore un mio vezzo fu quello di frequentare le librerie. Sceglievo con cura un titolo di mio gradimento e ne leggevo una decina di pagine per volta. Mettevo con cura un segnalibro (a questo fine si possono usare tranquillamente anche scontrini del caffè che dovete avere l’avvedutezza di non buttare via) e riponevo con cura il libro in fondo alla fila del ripiano, in modo da poterlo ritrovare l’indomani.
Ecco, le librerie che meglio si prestano a questa lettura a scrocco sono, a mio avviso, la Mondatori e la Feltrinelli di piazza C.L.N. che offrono l’ospitalità di comode poltroncine; per inciso, alla Mondatori di via Viotti di tanto in tanto la Gavazza offre anche degustazioni di caffè in cialda: non è il massimo, ma ci si deve accontentare nella vita); meno accoglienti sono la Feltrinelli di piazza Castello e la Fnac (i cadreghini sono alquanto scomodi).
Assolutamente da evitare sono le librerie di piccole dimensioni: titolari e commessi sono diffidenti e financo sospettosi e continuano ad assillare con domande inopportune tipo: “Posso esserle utile?”
SvolgimentoRicordo ancora le scorrerie nelle librerie: ogni promozione al 15%-25% era mia. Non dico della sorta di godimento che provavo quando la promo arrivava al 30%.
Lo ammetto, dopo aver comprato un libro ad una promozione del 30% provavo l’irrefrenabile desiderio/bisogno di accendermi una sigaretta!
Un giorno in una delle bancarelle di via Po scoprii una vera miniera. Era morto il gestore (un simpatico vecchietto, decisamente naif, con lunghi capelli bianchi, lunga barba bianca, segaligno, un cappello da pittore sulla tre quarti, sigaretta e sorrisetto beffardo) ed avevano riversato ogni genere di libro libretto, libricino, libraccio. Dai libri di filosofia a interi cataloghi Feltrinelli, Mondatori e della gloriosa Einaudi.
Per rendere omaggio al defunto arrivavo armato di sacchetti di plastica modello supermercato (non quelli piccolini da farmacia, ma quelli grandi, resistenti, con doppifondo, capaci, capaci di tutto), caricavo ogni ben di dio e me ne andavo via trionfante.
Ero un cliente talmente assiduo e munifico, che avevo un conto aperto.
Poi, di colpo, all’improvviso il vuoto.
Un giorno, non ricordo neppure più quando, senza accorgermene, mi ritrovai con un libro in mano e, più per istinto che per altro, ripresi a leggere.
Decisamente la lettura in questi mesi mi è stata di grande conforto.
Per oltre un anno, con qualsiasi tempo (sole, pioggia, vento, grandine, tempesta, neve) ero solito andare e venire, ogni giorno da casa fino in centro a piedi. Un’oretta di sana e spartana camminata tanto per far passare il tempo e per tenermi in forma.
Quando ricominciai a leggere tornai a prendere il pulmann: difficile a credersi, ma è molto più facile leggere comodamente seduti che camminando!
Presi a rileggere libri che neppure ricordavo di avere, altri che erano sopravvissuti alla mia onnivora voglia, bisogno di leggere. Non pago leggevo i giornali nei bar, i quotidiani nella metropolitana, vecchie bollette della luce e del gas, scritte nei bagni, ordini del giorno delle riunioni di condominio. Se in pulman finivo il mio libro e non ero stato abbastanza avveduto da portarmene meco uno di riserva, leggevo il giornale degli altri passeggeri, noncurante del fastidio che potevano mostrare.
Preso dal sacro furore un mio vezzo fu quello di frequentare le librerie. Sceglievo con cura un titolo di mio gradimento e ne leggevo una decina di pagine per volta. Mettevo con cura un segnalibro (a questo fine si possono usare tranquillamente anche scontrini del caffè che dovete avere l’avvedutezza di non buttare via) e riponevo con cura il libro in fondo alla fila del ripiano, in modo da poterlo ritrovare l’indomani.
Ecco, le librerie che meglio si prestano a questa lettura a scrocco sono, a mio avviso, la Mondatori e la Feltrinelli di piazza C.L.N. che offrono l’ospitalità di comode poltroncine; per inciso, alla Mondatori di via Viotti di tanto in tanto la Gavazza offre anche degustazioni di caffè in cialda: non è il massimo, ma ci si deve accontentare nella vita); meno accoglienti sono la Feltrinelli di piazza Castello e la Fnac (i cadreghini sono alquanto scomodi).
Assolutamente da evitare sono le librerie di piccole dimensioni: titolari e commessi sono diffidenti e financo sospettosi e continuano ad assillare con domande inopportune tipo: “Posso esserle utile?”
Ovvio che per unire l’utile (la ricerca di un lavoro) al dilettevole (la possibilità di avere tanta abbondanza a disposizione, come per un bambino essere nella fabbrica della Nutella) ho inviato civvì anche alle librerie.
Altrettanto ovvio che neppure ho ricevuto risposta.
Un giorno, tuttavia, ho visto tra i commessi della Feltrinelli alcuni volti nuovi. Quindi nuovi commessi.
Non fui preso tanto dallo sconforto, quanto dalla curiosità: volevo capire cosa loro avessero che io non avevo.
E’ vero, conosco da anni un paio di commessi che già lavoravano alla Feltrinelli di via Roma prima che questa venisse chiusa, ma non potevo far conto sulle loro referenze perché già non sono visti di buon occhio.
Un paio di quelle che avevo individuato come nuove commesse erano giovani ragazze e, per di più, come se non bastasse, carine. Non ci vuole un’aquila per capire perché possano essere state selezionate (considerate che in questi supermercati del libri al commesso non è richiesto avere una qual certa cultura letteraria, circostanza che, anzi, il più delle volte è vista come una circostanza sfavorevole), ma ne avevo puntato uno – in piazza Castello (vicino al bar Mulassano) che suscitava la mia curiosità.
Poco più alto di me, ma non molto, goffo, impacciato, occhiali che scivolavano sul naso lucido, sempre al fianco qualcuno che in un primo tempo pensavo fosse un accompagnatore del comune, poi ho capito essere un commesso anziano che gli insegnava il mestiere.
Cosa aveva lui che io non avevo?
Passavo decine di minuti facendo finta di cercare libri che non trovavo, compulsando libri che rimettevo al loro posto con l’aria di chi non aveva trovato quello che andava cercando con la sola scusa di capire perché avessero preso lui mentre io neppure ero stato convocato per un colloquio.
Misi, allora, da parte, qualche euro risparmiato sui caffè e mi risolsi per un approccio diretto. Cosa avete capito? Scelsi un libro (edizione rigorosamente economica) per poterlo incontrare faccia a faccia, face to face, cheek to cheek, chicken to chicken alla cassa.
La coda era lunga, ma non è certo il tempo che mi manca. Piano piano i clienti davanti a me se ne scivolavano via fino a quando non arrivo il mio turno.
“Buongiorno”, mi disse impacciato, ma di buon garbo.
“Buongiorno”, risposi compunto, con tono di sfida, ma tanto per non essere da meno.
Gli porsi il libro. Lui, ovviamente, lo prese, ma – eccolo lì – stava per caricare il prezzo quando, fermo ma deciso, garbato ma severo, con un appena vago tono di rimprovero, lo bloccai “Scusi: non mi chiede se ho la tessera soci? Perché IO ho la tessera soci!”.
Il libro costava 8.60 euro, per non metterlo in difficoltà gliene sporsi 10 in taglio unico, neppure in monetine.
Ma rieccolo armeggiare col neurone – l’unico - che si sentiva sbattere ora contro le tempie ora contro l’occipitale.
Buono e comprensivo come sono gli volli venire incontro e gli dissi “1.40, il resto è di un euro e 40 centesimi…”. Lo ammetto, avevo fatto il conto molto prima di arrivare alla cassa.
“Ah, già, grazie!”.
Ed eccolo che, come se non bastasse, mi cade anche quando tutto sembra esser finito.
Mi restituisce la tessera ed afferra una busta per imbustare, appunto, il libro.
Gravissimo errore, tutti i librai, almeno quelli del centro e quelli vicino a casa sanno che io non incarto i libri e non già – come alcuni potrebbero pensare, sbagliando – perché il libro potrebbe soffocare -, ma perché dette buste non possono essere riutilizzate per la spazzatura.
Un po’ goffamente, con le tempie rigate di sudore, mi restituisce anche il libro.
Che pazienza ci vuole.
Solo, in mezzo alla folla, col mio nuovo libro nello zainetto, resto col mio dubbio: insomma, la domanda non è “chi?”, ma “pecche`?”.
Come un moderno e redivivo Ulisse, il nostro eroe si aggira fra i meandri della torinesità più spinta, fra raccomandati, aspiranti veline ansiose di dire "Papiiii!" e ingiustizie di bassa lega... Magistrale!
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