mercoledì 6 maggio 2009

20. Ma se è il mondo che MI viene incontro ... A ME!






Ieri pomeriggio ricevo una telefonata: "Buongiorno, è lei che ha mandato un curriculum alla &%$£§*?".
Non si riesce assolutamente a capire il nome della società. Come già altre volte non ricordo assolutamente, ma so che devo rispondere "Sì!, certo".
"Ecco, leggendo il su curriculum sono rimasto un po' ...". 'Perplesso?",
glielo devo dire io che è 'perplesso', perché a lui proprio non viene l'aggettivo.
"Beh, sì, l'annuncio è per telemarketing e mi sembra che il suo profilo sia sprecato, non capisco perché..."
Capisco che bisogna tirargli fuori le parole, ma sono un buon e gli voglio venire incontro: "Perché? Beh, perché ho bisogno di lavorare!". A volte anche le banalità non sono così banali.
Sta per iniziare a spiegarmi cosa sta cercando ma lo blocco e gli propongo un colloquio.
Andata.

Oggi sono in centro, al solito centro internet per sprucugliare alla ricerca di offerte di lavoro; già che ci sono cerco su www.gtt.it le indicazioni per arrivare via bus in via Cuorgné 5.
Il sito è efficiente, ma la rotta da seguire si rivela impervia: prendere il 18 in via Accademia Albertina, 5 fermate e scendere alla fermata Dora Savona, cambio e, col 50, per 11 fermate arrivare alla fermata 1277, Vercelli. Tempo stimato 38 minuti.
Bene, alle 16.30 sono alla fermata di via A. Albertina, m'imbarco sul 18 fendendo la folla per crearmi uno spazio vitale, diligentemente conto 1-2-3-4-5, scendo, aspetto il 50 e conto pazientemente, diligentemente fino a 11.
Man mano che le fermate si susseguono mi accorgo di inoltrarmi in una parte della città a me sconosciuta e mi sembra di fare una gita.
Arrivo alla fermata Vercelli, giustappunto all'angolo con corso Vercelli e, manco fossi di fronte alla Basilica di Santa Maria Novella, contemplo una chiesa che all'ingresso recita, in caratteri cubitali "Madonna del cammino proteggi il nostro viaggio". L'augurio mi sembra più che appropriato, dal momento che dall'altra parte dell'incrocio si può imboccare l'ingresso per l'autostrada che porta alle valli di Lanzo.
Cerco come un giovane esploratore via Cuorgné, ma non ne trovo traccia.
Come sanno i giovani esploratori, in questi casi la soluzione migliore è entrare in un bar e chiedere informazioni.
Per fortuna lì vicino c'è giustappunto ed io entro.

Tanto per fare il grandioso, il magnifico, ordino un caffé e ne approfitto per leggere su Metro la striscia 'Get fuzzy'. In effetti oggi ero preoccupato, perché, non essendo uscito presto di casa, ero arrivato alla fermata della metropolitana tardi e le copie erano finite. Metro è un giornaletto di informazione rapida; di fatto sbrodola un po' sulle notizie ricavate dal sito dell'Ansa, cercando di correggere qualche errore di ortografia, quando proprio vuole strafare sbaglia qualche congiuntivo.
La vecchietta dietro il banco è un modello arcigno andante.
Un anziano le si avvicina, lamentando che una macchinetta mangiasoldi gli ha rubato un euro (altrimenti perché si chiamerebbe 'mangiasoldi'), ma lei non si scompone e lo liquida quasi come se lui parlasse una lingua a lei sconosciuta "Non capisco, non intendo". Lui, rassegnato, torna alla macchinetta e, già che c'é, si fa fregare un altro euro. Lei ne sembra compiaciuta.
Pago il mio caffé un euro, ''azz, come in centro!'..
L'indicazione della vecchietta per via Cuorgné è facile, la capisco anch'io: "Prenda la prima strada a destra: la prima parallela".
Sento che ce la posso fare.

Peccato che la prima parallela non sia via Cuorgné, e nemmeno la seconda.
Per non perdermi in una zona che viene indicata solo nelle più dettagliate carte militari con l'indicazione 'hic sunt leones', mi affaccio in una pasticceria dove lavorano marito, moglie e figlia. Chiedo indicazioni, ovviamente alla moglie: quando ci sono marito e moglie, chiedere indicazioni a lui sarebbe come un atto di lesa maestà, oltre che del tutto inutile.
Come volevasi dimostrare sarei dovuto andare nella direzione esattamente opposta, cosa che faccio.
Ripasso davanti al bar della vecchietta e sono tentato di darle fuoco. Ma desisto: dannata buona educazione.
Giro intorno ad un monumento dedicato agli alpini con tanto di aquila rampante, anche se non sono del tutto sicuro che un'aquila 'rampi', ma è un dubbio che mi porterò dietro.
Risalgo corso Vercelli e, arrivato all'altezza del bar Luna Rossa (preziosa indicazione della pasticcera) capisco che è il momento di attraversare la strada.


Ora, non dovete pensare che attraversare corso Vercelli sia cosa facile. Per nulla.

Intanto, dove dovrei attraversare io non ci sono semafori, ma soprattutto, nonostante la presenza di strisce pedonali con tanto di cartello che avvisa il possibile attraversamento di poveri pedoni, le auto non sembrano darsene cura, tantomeno gli automobilisti.
Potrei appellarmi al codice della strada, ma non mi sembra il momento e, poi, non vorrei arrivare tardi.
Quando sono sicuro, ma proprio sicuro che non ci siano auto, mi faccio coraggio ed attraverso.
Sopra l'insegna del bar Luna rossa campeggia l'indicazione 'Via Cuorgné' ed io sono sicuro di essere arrivato in via Cuorgné: nella vita bisogna pur fidarsi.

Via Cuorgné è breve, ma che dico breve, brevissima. Ma, almeno, sono arrivato a destinazione.
Tanto per dare un'idea, via Cuorgné ha 5 numeri civici, a voler essere precisi c'é anche un 5/A.
L'edificio più alto raggiunge i due piani, ma spezza in modo inopportuno la sky-line. In fondo una rete metallica lascia intravedere alcuni orticelli lavorati autarchicamente da pensionati.
Io devo presentarmi al numero 5 e ci sono. Capisco subiti che si deve trattare di un vero è proprio cuore pulsante dell'economia; i campanelli indicano la presenza, nell'ordine, di Rari nantes - sport, Limet, sicurezza e segnaletica stradale, Biancardi Contracting che, un po' ambiziosamente, precisa 'consulenza e promozione per l'industria'.
Trillo e titrillo alla voce Edison BP, mi qualifico come da richiesta e, dopo un paio di minuti mi si presenta il Fabio G. che mi stringe cordialmente la mano: ne deduco che gli sono simpa-simpatico e che il colloquio sarà in discesa.
Bene.

Mi accompagna al primo piano e mi fa accomodare in una stanza.


Mi guardo intorno e, come un novello Sherlock Holmes (preciso 'Sherlock' perché i più sprovveduti tra i giovani lettori potrebbero confonderlo con John Holmes, anche se non escludo che i due siano lontani parenti) deduco che l'ufficio sia in via di ristrutturazione: pareti appena ritinteggiate, prese volanti, battiscopa da sostituire, lampadina penzolante dal soffitto coi fili rabberciati e coperti da una biacca di polvere, una lavagna che deve aver fatto la sua bella figura nel serial ispirato al mai troppo compianto 'Cuore', probabilmente utile per le riunioni strategiche dei massimi dirigenti.

Il Fabio G. di oggi non smentisce il Fabio G. della telefonata di ieri: occorre armarsi di santa pazienza e finire le frasi che lascia sospese a mezz'aria in compagnia delle mosche che nelle giornate più calde sicuramente ronzeranno intorno alla lampadina che tenacemente si aggrappa al soffitto. Mi sembra quasi di giuocare a quel giuoco di società dove goffamente qualcuno cerca di mimare il titolo di films e libri.
Fabio G. cerca di tutto: addetti al telemerketing, agenti, coordinatori agenti, responsabili commerciali, responsabili dei responsabili commerciali.
Ho anche la vaga, ma, lo voglio sottolineare, assolutamente vaga impressione che non abbia le idee del tutto chiare su quello che sta cercando.
Su una cosa ha le idee chiare: il mercato dell'energia è sterminato, tant'é che lui ha uno stuolo di agenti (se 5 o 6 si possono definire 'stuolo') che operano... in tutta Italia.
Opperbacco!

Fatto sta che, dopo aver snocciolato una serie di figure professionali, mi domanda: "Lei a cosa sarebbe interessato?".
La domanda potrebbe essere imbarazzante, ma non mi lascio sorprendere. Sono, è vero, un attimo stupito: come avrete capito ho fatto parecchi colloqui di lavoro, ma è la prima volta che chiedono a me di scegliere cosa vorrei fare.



Ho capito che l'unica figura con un fisso dovrebbe essere quella del telemarketing, dove verrebbero garantiti 500 euro mensili (full time), ma con impressionati provvigioni per gli appuntamenti fissati a favore degli agenti: fino a 1.000-1.200 euro, quello che già l'unico (!) ragazzo che starebbe facendo telemarketing si porterebbe a casa.
L'unico problema potrebbe (uso il condizionale) essere che, come il Fabio G. stesso ha ammesso, non sono ancora state collegate le linee telefoniche.
Quindi, per non essere del tutto sfacciato, rispondo: "Certamente le figure più interessanti mi sembrano essere quelle di agente e, comunque, nell'area commerciale, ma, non essendo del settore, credo che sarebbe corretto iniziare con modestia dal basso, per avere l'occasione di imparare".

Ma il Fabione è un generoso e mi stupisce: mi chiede quale tipo di contratto vorrei. Non sapendo lì per lì cosa rispondere, rigiro la frittata e chiedo, molto sommessamente, cosa lui solitamente proponga.
Biascica qualcosa sul lavoro a progetto, contratto che lui non apprezza, ma rilancia con l'ipotesti della ritenuta d'acconto, della partita I.V.A. o, perché no, di qualcosa di amichevole (ndr. 'in nero').
La risposta deve aver sortito un qualche effetto, perché, nel congedarmi, mi lascia intendere che vorrebbe fissare un nuovo appuntamento, forse anche per iniziare, la prossima settimana.

Quando arrivo alla fermata del 50 trovo seduto un anziano signore con tanto di bastone e sandali modello S. Francesco che sbuffa e si lamenta con invettive contro la sinistra (Una volta era d'uso 'Piove governo ladro, ma i tempi cambiano).
Altri 10 minuti e sono sulla via del ritorno. Mi godo il viaggio.
La ragazza di fronte a me urla al cellulare. Così, un po' perché le sue urla mi impedirebbero di sprofondare nella lettura, un po' perché se sbagliassi fermata non ho la minima idea di dove potrei andare a finire, mi godo la conversazione: "Ah, finisce che ci lasci il cuore, ... il tempo è un gran dottore, però i ricordi non li cancelli completamente, ... ti dico la sincera verità: un po' lo stomaco, non ho voglia di niente: vorrei trovare un buchino ed essere dimenticata, ..."

Certo che qui è tutta un'altra Torino.
Sarà perché sul bus sono probabilmente l'unico italiano, sarà perché le insegne sui negozi che vedo snocciolarsi sono Kebap, con la variante Kebab, per arrivare all'inusuale Kabab. Seguono, nell'ordine, il pronto moda Hog Fu (la 'u' non tragga in inganno, non è moda sarda); i soliti ristoranti cinesi, i meno soliti parrucchieri cinesi, una farmacia con insegna sottotitolata in arabo, e, già che ci siamo, un parrucchiere, una macelleria ed una gastronomia araba.
Sono almeno dieci anni che passo le vacanze a Torino. Si ha un bel da dire che le estati in città non sono più quelle di una volta, che sono animate, che non ci si annoia: anche solo per provare la differenza, non mi sarebbe spiaciuto andare al mare.

Ma, in fondo, forse Torino è veramente cambiata: perché dovrei andare il giro per il mondo quando è il mondo che mi viene incontro ... A ME!
Prima di attraversare la Dora scorgo un vespasiano, jun cimelio in via d'estinzione e mi domando se sia decoroso che un nobile imperatore romano d'altri tempi venga ricordato e celebrato con un pur sì nobile monumento. ma io ne memorizzo la posizione, non si sa mai in futuro ne debba avere bisogno.
Appena attraversato il ponte qualche squarcio della vecchia Torino: il bar Ravera (cognome sicuramente piemontese) e, un paio di fermate dopo, la prestigiosa ditta Gianduja.

Sono solo le 19.30 ed il colloquio mi ha lasciato appena appena un'ombra di dubbio che non riesco a dissipare. D'altra parte, come qualcuno disse "A pensare male ci si rode il fegato, ma il più delle volte ci s'azzecca".
Ne approfitto per tornare all'internet point dal quale ero partito qualche ora prima e mi collego con Google.
Digito Fabio G. e, dopo aver ruminato qualche manciata di dati, apro il primo link, manco a dirlo di fessbuk. potrebbe essere lui, come potrebbe non essere lui. Certo che, dalla foto, ci assomiglia al Fabione che ho incontrato e preferisco sorvolare sui link preferito, è fan di, ...
Apro una altro risultato della ricerca: un Fabio G. condannato con tanto di sentenza passata in giudicato per aver simulato dei contratti di lavoro a progetto, che tanto di progetto erano. La sentenza è lunga e articolata, come è giusto che una sentenza sia ed il buon Fabione non ne esce per nulla bene, tutt'altro.

Ah, però. Ed io che quasi mi stavo per convincere di aver fatto tutti i colloqui possibili. E' proprio vero: ogni giorno qualcosa di nuovo!


NON E` una storia di pura invenzione.
Nel racconto SI FA riferimento a fatti e persone REALI.

martedì 5 maggio 2009

19. a.a.a.: cercasi pusher per novembre




La linea 9 taglia Torino in due, l'attraversa tutta, da una parte a quell'altra. Ma io mi accontento del tratto che solca corso Svizzera, affronta corso Potenza, taglia corso Grosseto e, faticosamente, arranca in via Lanzo. Sembra poca cosa, ma provate a farla a piedi.
Questa mattina il mio diario di viaggio mi porta in via Paolo Veronese 202.

Finora ho dragato tutte le offerte di lavoro, ma un bravo disoccupato deve farsi venire idee sempre nuove. Ho cercato ispirazione nella targhe appiccicate vicino ai portoni, nei discorsi nei caffé, nei fogli scarabocchiati nelle bacheche di Informagiovani e dell'Ispettorato provinciale del Lavoro. Ma perché trascurare le cooperative?
Io sono per la raccolta differenziata, ma qualcuno la deve pur raccogliere. Nell'ingresso del mio palazzo, sotto la buca delle lettere vicino all'ascensore troneggia uno scatolone giallo con la scritta cubitale Cartesio.
Il progetto Cartesio, vengo a sapere, fa capo ad una delle cooperative gestite dal gruppo Abele.
Cerco su internet dei riferimenti e scopro che il mondo del gruppo Abele non è un semplice mondo, ma una vera e propria galassia di concorsi, cooperative, consorzi di cooperative e cooperative di consorzi. Peccato non ci sia alcun riferimento tipo 'Lavora con noi', né alcun nominativo di un qualche responsabile cui si possa fare riferimento.
Poco male, mi metto all'opera e scopro che le domande devono essere presentate in via Paolo Veronese, giustappunto al 202. Ecco perché sono qui, ammettete che vi stavate domandando perché il mio peregrinare mi avesse portato in questa landa desolata ai limiti della città.

Via P. Veronese inizia, anzi, finisce all'angolo con via Lanzo: lo deduco dal fatto che il primo numero civico nel quale mi imbatto è il 340 e rotti. Ad occio e croce, per arrivare al 202 ho di fronte a me almeno un paio di chilometri. Ma ho molto tempo di fronte a me, nessuno mi corre dietro e, soprattutto, la giornata - per quanto sia solo mattina - promette di essere di quelle calde.
Attraverso la strada e raggiungo la prima fermata utile. Con un certo disappunto scopro che a fare servizio è la linea 62, forse, anzi, senza forse, una delle linee più infami: neppure passa quando vuole, passa quando capita, quando se ne ricorda, quando non ha di meglio da fare. A dire il vero, sono o non sono una persona sincera, in breve tempo ne passano addirittura tre, peccato siano nella direzione opposta. Sarei persino pensato di mettermi a leggere, ma con la malasorte che mi perseguita rischierei di perdere l'unico bus in arrivo.
Infatti, una quindicina di minuti dopo, per essere sicuro di non passare inosservato, quando ne vedo arrivare uno mi butto in mezzo alla strada e mi metto a sbracciare a più non posso.
Occhei, andata: sono a bordo.
Il pulman fa un prima fermata ed io tengo d'occhio la numerazione.
Con un misto di stupore misto a sgomento, appena ripartito mi accorgo, per fortuna mi accorgo che la strada, impercettibilmente, si divide ed il 62 imbocca via Reiss Romoli.
Inizio a scampanellare e scendo. Mi riporto su via Veronese e, pazientemente, mi incammino.

La zona è di quelle industriali che più industriali non si potrebbe. Inutile sperare di chiedere una qualunque indicazione, Perché qui non passa nessuno.
Mentre cammino, già che ci sono, mi metto a pensare tra me e me - anche perché sono da solo e così mi tengo compagnia - che questa parte suburbana della metropoli al tramonto potrebbe avere il suo fascino. Forse.

Mi fido del mio innato senso dell'orientamento e proseguo con passo veloce e cuor leggero.
Tra strade sterrate, buche nell'asfalto trasformate - date le dimensioni - in piscine, finalmente arrivo al 202.
Lunga cancellata, campanelli: Abele, gruppo Abele, Abele Lavoro, Cooperativa Lavoro, Cartesio.
Sono in imbarazzo: e se sbagliassi e mi facessero ripartire dal punto di partenza? o sempre odiato il giuoco dell'oca e neppure il monopoli mi è mai stato molto simpa-simpatico.

Per fortuna, dal citofono mi giunge una voce inquisitoria che m'inquisisce (per questo è deta 'voce inquisitoria'): "Cosa cerca?".
La prendo alla larga: "Devo presentare un curriculum". Senza altre domande mi fanno entrare, dal che deduco che non sia una cosa inusuale presentare curriculum o che, comunque, ho indovinato la parola d'ordine.
Arrivato all'altezza della guardiola vengo garbatamente fermato e mi viene consegnato un numero, l'804, e vengo invitato ad aspettare nella zona bar. Verrò chiamato.
Il posto è gradevole, una sorta di piccola oasi con tanto di giardino con panchine e tavoli che fanno tanto pic-nic con braciolata.
Entro e mi accomodo nell'ampio loft trasformato in sala d'attesa, che è così chiamata perché ivi si attende.

Dopo una decina di minuti il piccolo gregge di persone che si erano qua e là sparpagliate nell'ampio locale vengono richiamate e veniamo introdotti in una piccola stanzina dove un ragazzotto dall'aria simpatica ci illustra il da farsi.
Deve essere abituato perché se la sbriga egregiamente in un paio di minuti e senza bisogno di prender fiato.
Insomma, si deve compilate un foglio di fronte/retro, i più previdenti armati di civvì lo possono allegare (il che semplifica di molto), si firma un foglio a parte per la praivasi, ma particolare attenzione deve essere prestata alla parte del modulo dove si dovrebbe indicare se si è tossico-dipendenti, ex tossico, affetti da malattie mentali: il tutto doverosamente e diligentemente certificato.
Questa circostanza, che in una serata rotariana sarebbe deprecabile e causa di immediata espulsione con ignominia, oggi è un punto a favore, un enorme punto a favore.
Alla notizia un ragazzo in fondo al tavolo inizia a gongolarsi, il sorriso si allarga da orecchio ad orecchio, ... mentre io mi deprimo.

Lo avessi saputo prima o anche solo immaginato, mi sarei organizzato: avrei trovato un pusher, di quelli belli spessi con una fedina penale chilometrica e lo avrei inserito tra le referenze come una medaglia al valore sul petto il 25 aprile, come un cappello d'alpino macchiato di polenta taragna ad un raduno d'alpini.
Poco male, la domanda è a termine, può anzi deve essere ripresentata dopo 6 mesi.
Vorrei solo capire se il cocainomane è privilegiato rispetto a chi fuma spini e svantaggiato rispetto all'eroinomane: basta saperlo prima, poi uno si organizza.

All'uscita non mi sento né ottimista, né pessimista: è una di quelle cose che andava fatta, come la varicella o il morbillo. E, poi, non si sa mai, è come chiedere ad una bella ragazza di uscire: se non lo chiedi, non saprai mai cosa avrebbe risposto. Tanto vale provarci!
Prima di uscire chiedo alla ragazza seduta sul trespolo nel gabbiotto delle informazioni che direzione devo prendere per raggiungere un pulman, un qualsiasi pulman che mi porti in una zona civilizzata. Le indicazioni sono vaghe: dice di andare a destra, ma con la mano indica la sinistra, poi di girare a destra, ma no, di tornare indietro perché forse si sbaglia, di prendere la prima strada, ma potrebbe anche essere la seconda. Ho le idee abbastanza confuse, su molte cose; la ringrazio ed esco.

All'uscita mi accendo una sigaretta, cosa che fa anche un ragazzo ad un paio di metri. Per fortuna tra tabagisti si crea subito un'incredibile solidarietà, molto più profonda di quella che offre la massoneria o un locale di scambisti.
Ha sentito le vaghe indicazioni che mi aveva offerto e si offre di accompagnarmi in corso Giulio. Lo ammetto: sono diffidente. Non è che il soggetto mi ispiri particolare fiducia, ma non ho la minima idea per andare dove devo andare, da che parte devo andare.
Quindi, accetto.

Al primo tentativo l'auto non parte, a dire il vero neppure al secondo.
Inizio a sospettare che mi abbia offerto un passaggio per aiutarlo a spingere la vettura, ma, per fortuna, al terzo tentativo si sente il rombo del motore truccato, truccatissimo, molto più della Marini. E' bastato abbassare i finestrini, non troppo, mi spiega che è per una strana combinazione di contatti elettrici "Eh, ... da quando l'ho fatta riparare..."): non chiedetemi perché sia ripartita, cosa volete che ne sappia: d'altra parte di donne e motori io ho mai capito nulla!



Nei cinque minuti che ci separano dalla fermata mi snocciala tutta la sua vita, o, comunque gli ultimi cinque anni. In breve, era carpentiere specializzato, guadagnava 2mila2 euro al mese (è lì ho capito, se mai ne avessi ancora avuto bisogno, di aver sbagliato se non tutto almeno molto nella mia vita), finora è andato avanti col sussidio di 900 euro; moglie e un figlio. Visto che il sussidio sta per scadere, la moglie l'ha convinto a cercare un lavoro. Non chiedetemi come la moglie l'abbia convinto, ma mi sembra che l'idea di cercarsi un lavoro non sia poi così peregrina.
Lui non ha molta voglia di lavorare, ma almeno la moglie lo lascia stare in pace.

Fermata del 4 ed in una ventina di minuti sono in via Garibaldi. Ho ancora abbastanza tempo per cercare nuove offerte su internette e per trovarmi un pusher da mettere nelle prossime referenze: novembre non è poi così lontano!

NON E` una storia di pura invenzione.
Nel racconto SI FA riferimento a fatti e persone REALI.



(The pusher, da Easy Rider)