lunedì 29 giugno 2009

27. ... e io faccio testamento



Premessa


Non so a voi, ma a me, con la bella stagione, piace fare quattro vasche in centro. E non è certo il tempo che mi manca.

L'altro giorno, per esempio, stavo facendo un paio di bracciate in via Roma quando, all'improvviso, vedo dall'altro lato della strada un viso che mi sembra di riconoscere, anzi, ne sono sicuro: lo riconosco: è mia zia!
Dire 'zia', in verità, è una parola grossa, ai limiti dell'improprio: io l'ho sempre chiamata 'la sorella di mia madre'; è il massimo che le posso concedere.

Per me il concetto di parentela è, o dovrebbe essere, qualcosa di più profondo, che va oltre un vago indizio di parentela che pure farebbe la gioia di Mendelson, per coinvolgere un insieme di emozioni di vissuto comune, di ricordi della famiglia.
Ma di cosa sto parlando: questi non sono i parenti: sono gli amici. Vabbé, fate conto che stessi scherzando: sono di spirito faceto ed ilare, io.

E, poi e d'altra parte, chi sono io per parlarne: mi chiamo Romolo e, storicamente parlando, Romolo era fratello di Remo (vi risparmio la battuta che mi accompagna da una vita). Vorrà pure dire qualcosa?!

E, soprattutto ed ancora, di chi parlo: ricordo che sin da piccolo, quando mia madre mi accompagnava in campagna il fine settimana per visitare sua madre e sua sorella, ebbene, sino a quando ebbi 12-15 anni ero talmente a disagio verso quelle due persone che neppure riuscivo a dare loro del 'tu', ma ripiegavo strategicamente su frasi generiche che avevano a che fare, per lo più, col tempo.

Ecco, questo è il mio rapporto coi parenti di mia madre.

E' vero, convenzionalmente ci lega il cognome, ma lei 'indossa' quello del marito e ne mena vanto, quindi non me ne faccio un cruccio.

Svolgimento

Novembre 2008

E' una giornata uggiosa, come direbbe il Battisti. Non intendo il Cesare B. e nemmeno quello che si fa le vacanze in Brasile per non rientrare in Italia. Intendo Lucio B., quello che, se solo ne avessi conosciuto le canzoni da adolescente, mi avrebbe potuto aiutare per 'rimorchiare' (si dice ancora così?) nelle interminabili serate passate a gorgheggiare in riva al mare alla luce dei falò). Ma io ascoltavo Guccini, i Deep Purple, i più melodici erano i Genesis: poche chances, poche ciancie: un vero autolesionista!
Per sfuggire alla noia della mia ultima esperienza nella galassia assicurativa che volgeva inesorabilmente al termine, mi ritrovavo a fare due passi in p.za s. Carlo e, già che c'ero, me ne facevo quattro e, tanto per esagerare, persino otto.

Cercavo di trovare un qualche pertugio per tornare nel mondo del lavoro (non quello che si fa per gloria, ma quello pagato, intendo) quando, in compagnia dei miei pensieri, venni travolto, investito da una signora che usciva da un negozio di vestiti. Come potrete immaginare si trattava della sorella di mia madre.

Il suo esordio non fu dei più brillanti: "Cosa ci fai qui?", ma lei non è mai stata famosa per essere brillante e, certo, non voleva perdere occasione per consolidare la sua fama.
Restando impeccabile, appena un po' sorpreso, mi permisi di ricordarle che IO sono di Torino, mentre LEI abita, vive, dimora, è residente (non posso dire 'lavora', per la semplice ragione che ha mai lavorato) fuori città, quindi, ad onor di logica, io avrei dovuto dire la sua battuta. Ma tant'é, si sa che a volte le battute nei copioni vengono messe alla bell'e meglio.

Cercai di approfittarne per dirle che il lavoro era inconcludente, una vera perdita di tempo e che le mie finanze iniziavano a dare gravi segni di allarme (e parlo di una decina di mesi fa, immaginatevi adesso). Saltando di palla in frasca le domandai se Andrea, il marito, non avrebbe potuto darmi una mano.
Intendiamoci, non parlo di allungare la mano al portafoglio, parlo di lavoro; e neppure di un lavoro da dirigente, ma di un qualsiasi lavoro.

Occorre premettere - ma, dal momento che non l'ho premesso, lo aggiungo adesso - che il marito è mega-dirigente (DG) di una multinazionale USA, circostanza della quale lei si è sempre vantata con amici, parente e sconosciuti (per lo più commesse di negozi).

Chiedere un aiuto proprio a loro era in parte contrario ai miei princippi, ma non certo a quelli dell'amministratore di condominio che, prima o poi, mi avrebbe presentato un preventivo delle spese. Come se non bastasse ho il vezzo di mangiare (sono pieno di vizi).
In fondo, si trattava di uno scambio alla pari: offrivo loro l'occasione di dimostrare la loro magnanimità e potenza, mentre io avrei potuto trovare un lavoro.

La sua risposta non fu diversa dalle alle tre che mi diede nell'arco dell'ultimo anno (ero, quindo, preparato al 4° diniego), intendo da quando persi il lavoro per seguire mia madre: "Andrea non può: per principio non aiuta i parenti" (credo di aver già parlato in altre occasioni dell'etica del lavoro) cui volle, - come sanno essere fantasiose le donne, a volte e se solo s'impegnano - aggiungere una variante: "Ma adesso scusa, devo fare una commissione urgentiiiiiiiiissima...ti chiamo per sapere come va...".
Ora, credo che i più intuitivi tra voi abbiano capito che non ho sue notizie negli ultimi 10mesi10, ma vi stupirò rivelandovi che la commissione urgente era andare a girare tra gli scaffali della Feltrinelli di p.zza CLN.
E dire che ho sempre pensato che lei ed i libri siano incompatibili come l'acqua e l'olio.

La cosa non mi sorprese più di tanto: ve l'ho detto, se lei non può definirsi originale, certo è coerente con se stessa da almeno 42 anni (ovvero da quando la conosco): quindi, in questi tempi di incoerenza, m'inchino, chapeau, e - già che ci siamo - onore al merito!.

Il fatto è che, mentre sotto i portici stavo per rimettermi sui miei passi, venni colto da una strana riflessione: se mai mi dovesse succedere qualcosa (investito da un'auto, ovvero da un jet in fase di atterraggio - variante, decollo -, colpito da un fulmine/folgore/saetta/infarto/ciclone/tzunami, investito da un pianoforte a coda che precipita dal 24° piano, sbranato da un branco di leoni fuggiti da un circo, ....) beh, di fatto, in via successoria e, quindi, di diritto, LEI sarebbe la mia unica erede!
Il semplice pensiero mi stordì più dell'idea di essere investito, copito, investito, sbranato: come si suol dire, oltre l'inganno, la beffa.
E non penso solo a come si è comportata in tutti questi anni nei miei confronti (ignorare le persone può essere un toccasana), ma anche, e soprattutto, a come si è sempre comportata nei confronti di mia madre.

Insomma, dovevo fare qualcosa, dovevo porre rimedio a questa eventualità, al destino beffardo. E' vero: sono in un'isola pedonale, sono lontano dall'aeroporto, sono sotto i portici e - che io sappia - non ci sono circhi in città: ma è altrettanto vero che, con la fortuna che mi trovo (si rinvia per approfondimenti a "31. Piove (sempre) sul bagnato"), beh, meglio essere prudenti.

Risalii via Roma, imboccai c.so Matteotti e, in una tabaccheria, comprai un foglio A4 con una busta (per fortuna adesso le fanno con la strip e non si deve più leccare il bordo).
Entrai in un bar e, ordinato che ebbi un caffé, mi accomodai ad un tavolino e presi a comporre il mio testamento.
Lo so, me ne rendo conto, la cosa aveva un che di lugubre e di macabro, ma come si suol dire "pensare al meglio, essere pronti al peggio".
Decisi di lasciare quello che mi rimaneva a qualche persona che ne avrebbe avuto bisogno; non si trattava di grandi cose, tant'è che mi bastò una facciata del foglio, ma avevo in cambio la quasi-certezza che qualcuno mi avrebbe ricordato benevolmente.


Risalii qualche portone (non senza prima aver pagato il caffè mica me n'ero dimenticato, che vi credete?) ed andai presso lo studio di un mio amico avvocato poco lontano dove lasciai la busta nella buca delle lettere.

Immancabile un paio di giorni dopo il mio amico S., l'avvocato, mi telefonò con voce appena appena preoccupata ed esordì, lui sì, in modo originale: "Romolo,... che intenzioni hai?".
Con la dovuta calma - da parte mia - cercai di tranquillizzarlo e gli spiegai le ragioni del mio gesto, che non era insano come lui temeva.
Giustifica

Epilogo


L'altro giorno, quando sull'altro lato della strada vidi la sorella di mia madre, tirai dritto, contento di quello che non ho, ma anche di quello (anche se poco) che ho.

...e scusate se è poco

NON e` una storia di pura invenzione.
Nel racconto SI FA riferimento a fatti e persone REALI.

26. Angeli e demoni




Tema

Il bravo disoccupato deve fare particolare attenzione a 1. non lasciarsi scoraggiare 2. non rinunciare ai momenti di socializzazione.

Ci sono dei momenti in cui il bravo disoccupato è tentato di lasciarsi prendere ed arrendersi allo sconforto, ma è proprio in quei momenti in cui occorre essere vigili e guardarsi intorno, perché, prestando la dovuta attenzione, qualcosa succede sempre. Ed il bravo disoccupato deve saper cogliere le occasioni che si presentano (per tale ragione egli non è un semplice ‘disoccupato’, ma un ‘bravo disoccupato’).


Svolgimento


Quante volte ci si pone la domanda "A che santo votarsi?".

Ricordate la famosa barzelletta di Tizio che ogni settimana si prostra di fronte all'immagine di san Gennaro chiedendogli la grazia di vincere alla lotteria? La scena si ripete, immancabile, settimana dopo settimana, fino a quando san Gennaro dice al tapino: "Ma, almeno, compralo un biglietto della lotteria...".

Ecco, qualcosa del genere.

Io non sono cattolico. Sì, è vero, sono cresciuto in uno spicchio di mondo fortemente cattolico, ho persino frequentato per la bellezza di otto anni una scuola cattolica, ma non sono cattolico. Rispettando il luogo comune che vuole che dalle scuole religiose escano o dei baciapile o chi si distacca dalle morbide cosce di mamma chiesa, beh, io appartengo alla seconda specie. Non per nulla sugli stessi banchi della scuola che frequentai si affaticò e sudò Marco Donat Cattin (e, forse, per sconfiggere la noia ed il tedio dell’ennesima lezione di latino o italiano, maturò malsane idee: anche i cattivi insegnanti hanno le loro colpe!), mentre don Cafasso e don Bosco sono andati da un'altra parte. Vorrà pur dire qualcosa.

E, poi, credo che per essere cristiano-cattolici richieda quale presupposto irrinunciabile, la fede. Come ebbe a dire Indro (ndr. Montanelli) se esiste un Dio, quando morirò non sarò io dovermi giustificare perché non ho avuto fede, ma sarò io a domandargli "Perché non mi hai dato la fede?".

Ma veniamo al dunque e diamo una spiegazione, una giustificazione a questa premessa.

In quella giornata di aprile ricevo una telefonata dal mio già compagno di superiori, Antonello, che mi invita alla presentazione di un libro.
Lavoravo, a quei tempi, al bar di via XX settembre, la presentazione del libro era presso la libreria Dehoniana poco lontana; non posso che dire di sì, non fosse altro perché è bene tenersi cara la cultura: una patina di cultura C’ha sempre il suo fascino, nevvero?

La libreria Dehoniana è sita in via San Quintino. Io vi arrivo con adeguato anticipo e mi ingegno a perder tempo, indugiando ad occhieggiare le vetrine.
Arrivo dal lato di corso Matteotti, risalendo per via M.Gioia.

La prima vetrina della libreria che incrocio è abbastanza curiosa: una serie di manuali dedicati a cani e gatti, forse su ispirazione di un negozio di animali poco lontano.
In una seconda vetrina fanno bella mostra di sé una serie di videocassette (nemmeno dvd) per bambini, ottime per un nido d’infanzia, meno se avete in mente una serata di fuoco con il/la vostro partner: per quello mi permetto di suggerire degli shop che vendono solo questo genere di audiovisivi: un mercato che, anche in questo periodo di crisi, ‘tira’ sempre.
La terza vetrina alterna, sapientemente, ma con un filo logico che mi sfugge, libri dedicati alla montagna con una serie di titoli curiosi: ‘Piemonte magico’, ‘Le masche’, ‘Il piano delle streghe’ e ‘Presepe – i personaggi della tradizione’. E’ aprile inoltrato e quest’ultimo titolo potrebbe sembrare un saldo fuori stagione, ma vero è che esso anticipa il lit motiv cui si ispira la libreria, libreria Dehoniana, appunto.
Svolto, infatti, su via San Quintino, non fosse altro perché è lì che è incorniciata la porta d’ingresso, e resto un attimo, come dire,... interdetto.

Cito rigorosamente, nell’ordine, i primi titoli che mi saltano agli occhi: ‘Foibe’, ‘I giorni di Salò’, ‘La presa del potere di Benito Mussolini’, ‘Mussolini e Franco’, ‘Le prigioni di Hitler’, ‘Dagli Asburgo a Mussolini’ (non chiedetemi quale nesso vi sia perché non ho letto il libro), ‘Rommel’, ‘L’impero fascista’, ‘L’ultimo fronte d’Africa’, ‘La patria e la libertà’; in un angolo qualcosa è concesso ai romanzi rosa: ‘Un amore fascista’ e ‘Edda e il comunista’.
Ad onor del vero, si possono trovare anche ‘I gulag’, ‘Togliatti e Stalin – il PCI e la politica estera staliniana’ e ‘Il revisionista’ di Pansa: che nessuno dica che non viene rispettata la par condicio!

Siamo in Piemonte, indi ragion per cui si strizza l’occhio alla gloriosa tradizione sabauda. Per chi fosse interessato e cercasse un libro su Amedeo I (c’è!), Emanuele Filiberto – detto Testa di ferro – (c’è!), Vittorio Amedeo I, II e III (ci sono!), Umberto I e II (ci sono!); c’è persino un Umberto III, ma trattasi - evidentemente - di apocrifo.

Ma è facendo ingresso nei locali della libreria che vengo preso, assalito, pervaso, intimorito, intimidito, che trasalgo e - già che ci sono - sussulto. E’ come entrare nella cripta di una basilica romanica con tanto di canti gregoriani in sottofondo. Sento persino un brivido di freddo che mi scorre lungo la schiena e mi viene da tossicchiare per un formicolio alla gola per le ondate, le vampate di incenso che mi avvolgono.
E’ come entrare in un’altra dimensione, una dimensione trascendente, una dimensione che lega direttamente a qualcosa di superiore.

Sulle librerie che tenacemente si aggrappano alle pareti sino al soffitto e sui tre tavolacci (tutto è molto austero e spartano) campeggiano libri dedicati ai santi: a tutti i santi!
Avete mai scorso un calendario e leggendo i nomi di s. Omobono, s. Saba, s. Prisca liberata, s. Eulalia, s. Mansueto, s. Eleuterio, s. Eulalia, s. Mamiliano (badate, Mamiliano, non Massimiliano), s.i Sotero e Caio, s.Zita, s.i Nereo e Achilleo, vi siete mai manzonianamente chiesti “Chi era costui?”.
Magari il vostro nome non è gratificato da uno spazio sul calendario, ma loro ci sono. Il mio, per esempio, manca su quasi tutti i calendari, usurpato il più delle volte da un certo s. Gabriele; ma me ne sono fatto una ragione oltre ad offrire il pretesto ai pipù per non farmi gli auguri di buon onomastico.
Ebbene, volete sapere chi sono tutti questi santi? Alla libreria Dehoniana per ciascuno di loro potete trovare un’esauriente biografia ufficiale, con tanto di foto-ritratto autografa: 1 s. Paolo viene scambiato per 4 s. Firmino!

Potete, scartabellando appena appena, trovare le biografie di s. Pellegrino, s. Sicario, s. Vittore, e s. Bitter. Una biografia pensata per gli sportivi: s. Siro. Una dedicata a s. Vito: un manuale per imparare a ballare, credo. Se, poi, volete fare un presente gradito alla vostra compagna (vi sconsiglio vivamente e vivacemente di usare tale appellativo in codesta libreria, ma un cartello vicino alla cassa vi mette sull’avviso), mi permetto di suggerirvi s. Pietro Chanel sacerdote e martire, da abbinare ovviamente – ma non sono io a dovervelo suggerire – all’omonimo profumo che potete acquistare nella profumeria a fianco avvalendovi del coupon che vi viene consegnato al momento dell’acquisto del libro.

Poco dopo, tra la folla, (scarsa parecchio per non dire assai) riconosco il buon Antonello al fianco di un robusto – e, per questo solo, affidabile – prete con tanto di abito talare, proprio come i preti di una volta!
Antonello, da buon padrone di casa mi presenta ed io, preso dall’atmosfera mistica, stringo la mano enorme e m’inchino, indeciso se genuflettermi, e non mi viene di meglio da dire che “Kirieleison”.

Antonello ed il prete, col suo abito talare, si aggirano per la libreria: don M. vuole sincerarsi che vi siano tutti, ma proprio tutti i libri che lui ha scritto e che compongono la sua bibliografia dedicata agli angeli.

I quattro o cinque clienti presenti confabulano tra loro ed io mi sento escluso.

Un’anziana signora, ma dal piglio arzillo, lamenta dolore alle gambe e si accascia su una sedia.
Come i predatori minori (tipo jene, sciacalli e condor pasa), che approfittano degli animali di taglia minore o in difficoltà io mi faccio vicino alla signora e cerco di intavolare qualche argomento di discussione: confido che anni di scuola catto-cattolica mi vengano in aiuto. Saranno ben serviti a qualcosa?!
Ma il mio tentativo si rivela tanto generoso quanto vano: vengo trascinato in una discussione sulle sorti del Torino F.C., sul suo pessimo campionato, sulle prospettive che potrebbero aprirsi col cambio di allenatore.
Niente da fare.
Attirato dall’argomento, interviene Antonello, fiero ed indomito cuore granata. Si unisce anche don M., si uniscono il titolare della libreria ed il gentile commesso (penso timoroso di perdere il posto) e il confronto sulle sorti granata si conclude con l’intonazione di un rosario che dovrebbe essere di buon auspicio per la permanenza dei granata nella massima divisione.

Verso le 18.50 don. M detta i tempi: alle 19 inizierà la presentazione della sua ultima fatica.


Alle 18.55 arriva un ragazzo dall’aria tanto per bene, giacca e cravatta, un viso incorniciato da un pizzetto alla moschettiere, col capello lungo ma ben curato (come ci aspetta da un degno moschettiere della corona).





Don M. gli si avvicina e gli chiede se sia sempre così elegante.
Io, visto l’approccio, sono indeciso se domandarmi se sia giusto dar credito alle tante malevoli voci che girano sui seminari, se convenire che il clero sia attratto dalla borghesia, ma non trovo di meglio che considerare che forse don M. non mi ha considerato perché sono nella mia classica tenuta da cuoco/aiuto-cuoco/lavapiatti: scarpe da ginna e stica, jeans e polo.
Tutto sommato, mi viene da pensare, sono vestito come molte altre persone che incrocio ogni giorno e non ci trovo nulla di strano.
Mi dico (dico a me stesso, tanto non trovo con chi parlare) che l’abito non fa il monaco e, penso, che dovrebbe essere giusto così.

Alle 19 ci siamo tutti: Antonello, il moschettiere, la signora con gli acciacchi alle gambe, il titolare della libreria ed il gentile commesso. Ed io.
Non siamo in tanti, ma “Poca brigata, vita beata!”.

Don M. inizia la presentazione con una breve preghiera che mormora a voce bassa, bassissima. Cercando conforto, indicazioni, forse anche un suggerimento guardo gli altri presenti per capire quale preghiera si debba recitare. Gli altri, occhi bassi e mani giunte, mormorano parole che non riesco a cogliere; io cerco di conformarmi al contesto e biascico, ispirato dal principe de Curtis, “Cave canem, cave canem, pater noster, telefunken, alleluja, jingle bells…”.

Alla fine della breve preghiera don M. introduce il suo “San Pio da Petralcina e l’arcangelo san Michele”, con dei gustosi retroscena sulla vocazione che l’ha chiamato nell’improba impresa di ripercorrere le vite degli angeli: la sua ambizione è dedicare una biografia non ai santi, ma agli angeli, queste figure celesti tanto spesso ingiustamente trascurate.
La scelta di marketing – ve lo dice uno che per un decennio si è occupato di marketing (non lasciatevi trarre in inganno dall’iscrizione alle liste di disoccupazione) – ha del geniale: un nuovo mercato buono per tutti!

Don M., da uomo, pardon, prete uso alle conferenze (con pochi partecipanti, forse, ma pur sempre conferenze), alterna momenti ispirati agli inganni ed al pericolo delle lusinghe del demonio con sapidi aneddoti nei quali mette in ridicolo il proprio vescovo che non credeva nella sua missione salvifica.
Questi episodi sono gustosi e suscitano l’ilarità e la complicità dei presenti e si chiudono con risatine compiaciute a stento (stento?) trattenute del buon din don.
Forse solo a me viene da domandarmi se sia molto ecumenico prendersi beffe di qualcuno che (può aver avuto i suoi torti, ma) non è presente.

La presentazione è tanto affabile quanto breve, forse un pubblico maggiore avrebbe meritato e sarebbe stata gratificata da una prolusione più lunga, ma tant’è.
In chiusura, una nuova preghiera che culmina con una benedizione urbi et orbi con le enormi mani di din don M. (ve l’avevo detto che le mani erano enormi) che fendono ed offendono l’aria. L’effetto è quanto mai scenografico, perché il mulinare del benedicente fende ed offende l’aria: le copertine e le pagine dei libri vorticano ed alcuni libri che non riescono a restare aggrappati agli scaffali cadono rovinosamente e rumorosamente per terra.

Proprio mentre stiamo per intonare l'osanna, sento trillare allegramente il jingle della suoneria di un cellulare che gorgheggia l'inno, nostalgico, della 10.ma MAS. Non ci si può sbagliare: è arrivato il fratellone di Antonello!

All’uscita don M. mi omaggia di una copia del libro con tanto di dedica a padre Pio ed io ringrazio: mi rendo conto di aver bisogno di un santo in paradiso!

Io, adeguandomi allo spirito che pervade la serata, per non essere da meno e per cercare di recuperare qualche punto sul mio personalissimo cartellino (san Rino Tomasi docet), chiedo, uscendo, al gentile commesso se esista un libro dedicato a s. Romolo.
Il gentile commesso viene preso in contropiede, si concentra e, fiutando una domanda trabocchetto, sbotta in un risolutivo: “O bella, ma non esiste nessun s. Romolo!”.
Ecco, sono arrivato ad una conclusione, la serata non è andata persa: “Io non esisto!”, e mi risolvo ad un atto rivoluzionario per affermare la mia esistenza: su tutti i calendari che troverò d’ora in avanti s-cancellerò s. Gabriele (l’usurpatore in nome del quale viene negata la mia esistenza) sostituendolo col meno conosciuto - ma non meno nobile d'animo - s. Romolo.

PS: Per quanti fossero interessati esiste anche un paesino dedicato a s. Romolo (non è segnato su tutte le mappe, ma se avete la fortuna di trovare una cartina militare c’é: giusto alle spalle del più noto s. Remo. E’ un paesino piccolo piccolo: ma esiste! Almeno lui.


Forse ho ancora qualche speranza!

(in fondo, la speranza è l'ultima a morire: muore anche lei,... alla fine, ma muore)

NON E` una storia di pura invenzione.
Nel racconto SI FA riferimento a fatti e persone REALI


venerdì 26 giugno 2009

25. Maria Giovanna

Nella mia impetuosa ed incontinente ricerca di un lavoro posso confidare su una rete di amici.

Spesso mi dico che, forse ma forse, potrei essere altrettanto sereno e sperare di farcela anche fossi da solo, ma con gli amici è più facile.

Alcuni di questi amici mi sono vicini ospitandomi per consultare gli annunci delle offerte su internette, altri invitandomi ad uscire, altri con una telefonata, altri offrendomi degli spiragli per dei colloqui di lavoro.

Gli amici mi presentano loro amici e, si sa, “gli amici dei miei amici sono miei amici”.

Per farla breve e venire al dunque, una mia amica mi presenta un suo amico che potrebbe aiutarmi a far venire qualche idea.

Ci incontriamo, prendiamo un caffè ed eccolo illuminarsi “Ci sono: ma perché non provi con Herbalife?”.


Gli dico “Sissì, certo, perché non ci ho pensato prima?”, ma, lo giuro, non ho la minima idea di che cosa si tratti. Però esiste Google: fortuna che esiste Google.


Guarda caso a fine settimana c’è un incontro: m'invita ed io, non avendo niente di meglio da fare (ed anche perché, mi dico, non si sa mai), vado.


L’incontro è in un hotel in strada del Fortino.

Arrivo e, pratico come sono di convegni, mi dirigo subito verso la sala riunioni.

Ci sono piccoli capannelli di persone che confabulano ed io cerco di avvicinarmi per origliare e farmi un’idea di quello che mi aspetta.

Una signora dice di aver tratto enormi benefici da Hl dopo che si è rotta una gamba in tre punti. Mi sfugge appena appena il concetto, il nesso di causalità, ma sussurro un convinto “Certo, certo!”.

Poco dopo inizia l’incontro ed un signore sulla quarantina, molto in forma come deve essere calato nel suo ruolo, inizia a decantare i prodigi del sistema Hl.

Hl si basa su un sistema multilevel, il che non mi scompone minimamente (tant’è che resto impassibile) dopo le mie tragicomiche esperienze nella galassia assicurativa.

La rete commerciale in Italia si basa su 50.000 persone (mi sembra un piccolopoco troppo: spero solo non vogliano fare un colpo di Stato o che non decidano di fare tutti un salto nello stesso momento; ma resto impassibile e compiaciuto.

Di queste 50.000 perone, 1.500 si occupano della gestione della rete e, di questi 1.500 ,8 guadagnano 20.000 euro l’anno


O caspiterina, il discorso inizia a farsi interessante e desta tutta la mia attenzione: voglio essere il 9°!

Dopo gli aspetti più esaltanti, vengono, immancabili, quelli truculenti: la seconda causa di morte al mondo è il tabacco (io cerco di nascondere il mio pacchetto di Marlboro, rosse come se non bastasse), ma la prima è l’alimentazione.

Cerco di farmi coraggio e penso che parli di gente che muore di fame (vedi Africa, Asia), ma no, il 50% di queste muore per sbagliata alimentazione!

Opperbacco!

Certo di aver gettato il panico nel pubblico, cerca la battuta spiritosa “Certo, un medico al giorno leva il medico di torno”, mi pareva, volevo ben dire, penso, ma ecco la stoccata “Ma, per avere lo stesso contenuto di vitamina C di una volta, oggi ci vogliono 10 mele!”.

Sento lo sconforto strisciarmi su per i calzini.

“Nonostante la crisi economica (non si trascura l’attualità) il fatturato delle vendite in farmacia è aumentato dell’8%, mentre quello della vendita diretta e della consulenza (consulenza, consulenza, perché questa parola non mi è nuova?) addirittura del 22%”.


Alla faccia del bicarbonato di sodio!


Il sistema Hl è in continua espansione geometrica: esiste da 29 anni, in Italia dal ’93, è diffuso in 70nazioni70.

Lui stesso segue 10 Paesi: il tipo è simpatico, affabile, ma non mi sembra molto portato per le lingue; non mi sembra, comunque, il momento per approfondire.

Si tratta di un sistema di vendita diretta, come Folletto, Stanhome ed Avon: quindi possibilità di conoscere casalinghe trascurate a gogò! Il discorso si fa sempre più interessante: forse non si guadagna un granché, ma ci si diverte un casino! Tant’è che, aggiunge, c’è piena libertà di gestione del proprio tempo: credo voglia dire che alle clienti carine si dedica più tempo che a quelle brutte: ha una sua logica!

“30 anni fa – aggiunge con un fil di voce complice, portandosi l’indice ed il medio alla bocca in modo allusivo – le erbe si fumavano (credo di averlo sentito dire, anche se non ho mai capito come si possano fumare il rosmarino, l'alloro o il basilico): oggi si mangiano”, beh, se è solo per questo le mucche lo fanno da migliaia di anni…

“Il presidente di Hl, Mark Huges, nel 1985 è stato nominato Man of the Year”, hai detto niente.

“L’attuale presidente, Michael Johnson (ho motivo di credere che non sia il giocatore di basket) ha lasciato un posto da mega dirigente alla Walt Disney”, forse perché non si adeguava ai cartoon in 3D, mi viene da domandare, ma, come si dice, “Un bel tacer non fu mai scritto” ed io taccio: non sapendo è meglio tacere e dare l’impressione di essere idiota, piuttosto che parlare e togliere ogni dubbio

“Dal 2003 Hl è quotata al Nasdaq, dal 2004 al NYSE”, bella forza, anche la Parmalat e la Cirio erano quotate in piazza Affari.

A questo punto il simpa-simpatico torna a bomba sulla recessione: “Da settembre 2008 è iniziata la crisi, a marzo abbiamo toccato il fondo (non so perché, ma a me sembra si continui a scavare sul fondo) : NOI siamo qui per questo!”. Ecco, lo sapevo: sono in un covo di golpisti; ci manca solo il principe Borghese e ci siamo tutti. Niente niente sono previste anche simpatiche gite a Roma.

“L’obiettivo è quello di creare una rete di clienti: ne bastano una ventina, ed è assicurato un reddito di 1.500 euro al mese” non mi è chiaro se netti o lordi, ma mi sto perdendo nelle cifre.


Probabilmente vede il mio smarrimento perché con fare rassicurante dice, rivolto proprio a me medesimo: “Dopo 6 mesi il 60% dei clienti continua”.

Non ho bisogno di essere rassicurato: sono semplicemente confuso!

“Hl non crede nella pubblicità convenzionale: in questo modo contiene i prezzi. Crede nei canali alternativi: sponsorizza la squadra di calcio LA GALAXY e, quindi Becham (ma mr B. non è al Milan? uè, non confondiamo le carte ché sono stanco), sponsorizza carte di credito (manco più mi ricordo come sono fatte né a cosa servano), sponsorizza Nadal (ma io non giuoco a tennis…) e, udite, udite: sponsorizza l’Inter”.

Ho capito che sponsorizza un po’ di tutto, ma io sono della Giuvendus (da quando è venuta la triade sono un tiepidissimo sostenitore, ma pur sempre della Giuvendus) e noi della Giuvendus sappiamo com’è finita cogli strani infusi preparatore atletico, tale dr. Ventrone, Ventresca, non ricordo bene.

Non è meglio lasciar perdere? Qui ci arrestano!

“Del comitato scientifico fa parte il dr. Luis Ignaro” ah, beh, buono a sapersi, "bella storia, ma chi è l dr. Ignaro? Ignoro chi sia il dr. Ignaro..." direte voi; ma non voglio immaginarvi mentre leggete con l’espressione persa che avevo io e, quindi, vi vengo in aiuto: avete presente il Viagra (non dite di no, ve ne prego: voi no, ma qualche vostro amico – non si dice sempre così – ve ne avrà sicuramente parlato) ed il Precox Blue (come il Viagra, ma, prendete nota, senza controindicazioni)? Il dr Luis Ignaro è il creatore di questa simpatica pillola blu della felicità.

Non che io ne abbia bisogno, non fosse altro perché mi mancherebbe la materia prima, ma sento, o è la mia fantasia, un mormorio crescente dal fondo della sala che mormora (se no che mormorio sarebbe?) “biznezz, biznezz, biznezz, biznezz, biznezz” ed i miei occhi si illuminano di $$$$$$


Esco e sono confuso, ma un idea me la sono fatta: è l’ideale per le madri casalinghe che frequentano palestre o circoli parrocchiali e che spettegolano aspettando i figli fuori dalla scuola.


Dunque, penso:

  • Casalingo, sono casalingo
  • Palestre, posso frequentare una palestra
  • Parrocchie, non ci sono mai andato, ma c’è sempre una prima volta
  • Madri, questo potrebbe sì che potrebbe essere un problema (non ho figli o, almeno, credo di non averne, ma tant'é: nessuna ragazza che ha avuto l'avventura di conoscermi se ne è mai lamentata), ma, soprattutto: QUALCUNO HA UN FIGLIO DA PRESTARMI che io possa andare a prendere all'uscita dalla scuola, portare al parco e darmi così modo di familiarizzare con le altre madri per far loro conoscere - con tale subdolo inganno - i prodigi di HL?
La riunione volge al termine …. ed è festa grande!

NON e` una storia di pura invenzione.

Nel racconto SI FA riferimento a fatti e persone REALI.

giovedì 25 giugno 2009

24. “Scusi, signoriiiina, … che ore sono?”


"Le gambe delle donne sono dei compassi che misurano il globo terrestre in tutte le direzioni, donandogli il suo equilibrio e la sua armonia" (Bertrand)


Da qualche tempo alcuni amici mi domandano come io faccia ad essere così sereno.

La mia situazione economica è sempre più un vicolo cieco: appartengo anch’io alla generazione 1.000 euro, ma non nel senso che guadagno 1.000 euro al mese, ma nel senso che sul conto in banca mi restano poco più di 1.000 euro.

Eppure riesco ancora a sorridere, ad affrontare le varie avversità con una calma che, a volte, sorprende anche me.

Certo, ci sono dei momenti in cui mi lascio prendere da attimi di sconforto, ma sono attimi, appunto.

Ho imparato, a mie spese, che alcune situazioni drammatiche, possono essere d’aiuto per affrontare le avverse fortune cui la vita ci mette di fronte.

Nell’aprile di diversi anni fa, per esempio, venni assunto da una società che aveva grandi mire: niente di meno che quotarsi in borsa. A luglio dello stesso anno ricevemmo persino la visita della Borsa Italiana che voleva vedere coi propri occhi questo gioiello della new economy. Eravamo tutti tirati a festa, come per la prima comunione; ci venne consigliato di tenere un eloquio che non indulgesse a volgarità ed i bagni erano profumati da aromi naturali.

A dicembre ci venne detto che la società era sull’orlo del fallimento e che avremmo fatto meglio a cercarci un nuovo lavor.

Era la fine della gloriosa new economy.

Seguirono 8mes8 di disoccupazione cui non ero preparato (è una materia che non viene insegnata all’università) e l’affrontai non male: malissimo.

Quando due anni fa mi ritrovai a rivivere un’esperienza analoga, mi ripromisi di non commettere gli stessi errori.

Mi imposi una disciplina spartana, militare (io, riformato), eremitica.

Sveglia alle 7.30 dal lunedì al sabato (anche Lui si è riposato il settimo ed io non voglio essere accusato di lesa maestà), fuori casa alle 9.00 qualsiasi tempo faccia, due ore al giorno per cercare lavoro (sui giornali in biblioteca, su internet, frequentando gli amici, …), adesso anche un po’ di palestra (aggratis, e che vi credete?), dieta equilibrata, controlli medici (il buon disoccupato non può permettersi il lusso di ammalarsi), letture e studio.



Ecco, da qualche mese coltivo lo studio del buddismo.

Credo che alcuni si siano avvicinati al buddhismo per il gusto dell’esotico, altri perché arrivati in ritardo alla chiamata della moda new age: molti perché trovano delle risposte che avrebbero potuto trovare nella religione cattolico-cristiana se solo avessero avuto un parroco più accorto.

Insomma, concetti come amore, compassione, pazienza e tolleranza, persino le quattro nobili verità (esistenza, nascita e cessazione della sofferenza e via che porta alle cessazione della sofferenza) sono concetti che si ritrovano in ogni religione, potrei azzardare a dire che – mi si passi il termine – possono essere accolti col comune buon senso.

Potrei spingermi a dire, confidando di non essere colpito da un fulmine (perché, come direbbe Giorgio G. "Dio è violento! e gli schiaffi di Dio appiccicano al muro!"), che anche un laico ammette tali principi come base per un proprio comportamento etico.

Ma la verità è che il buddhismo è qualcosa di più complesso che richiede studio, applicazione.

Tanto per cominciare bisogna comprendere il principio di causalità e quello di impermanenza: e siamo solo all’A-B-C.

Considerate che il fine ultimo è quello di cogliere la vacuità, vacuità sospesa tra realismo e nichilismo.

E che dire del fatto, non trascurabile, che nella scuola buddista, non esiste Dio?

Se Dio è l’essere supremo e perfetto (autogeneratosi, altro concetto non di poco conto) allora non può essere né bianco né nero, né giovane né vecchio, né alto né basso, sino ad arrivare a dire che non può essere né maschio né femmina.

Se non sbaglio un Papa arrivò a parlare di un concetto simile, ma mi pare di ricordare che fece una brutta fine, ancora circondata da un’aurea di mistero. Circostanza che potrebbe avvalorare l’esistenza di Dio, un Dio certo severo, iracondo, iroso e facile all’ira, ma pur sempre un Dio.

C’è, poi, la trasmigrazione, il samsara, quella che in occidente – in modo inappropriato – si confonde con la reincarnazione che non può prescindere dalla comprensione del karma.

Ecco, io confido molto anzi parecchio nella rinascita.

Da una parte spero che la prossima vita, scontato gran parte del mio karma negativo in questa, non possa che essere migliore; dall’altra, mi dolgo di non ricordare le ‘malefatte’ delle vite precedenti: devo essere stato certamente un grande peccatore e, spero, un gaudente libertino incallito: vorrei ogni tanto potermene ricordare, non fosse altro per potermi dire “Ora è difficile andare avanti, ma quanto mi sono divertito?!”.

Insomma, la faccio in soldoni, il processo di ‘purificazione’ per raggiungere l’illuminazione (la buddhità) è così complesso che mentre alcune scuole ammettano che sia sufficiente una vita, la scuola mahayana parla di 3trasmigrazioni3, il che mi sembra anche più ragionevole.

Da mesi, dunque, dicevo, coltivo lo studio della filosofia buddhista e credo che questo mi sia stato di grande giovamento per affrontare questo periodo non certo facile.

Ecco, ci sono delle volte in cui mi sembra di capire, di intuire o, almeno, di iniziare a capire il senso di questa filosofia. E’ un’intuizione, un flash, un lampo, tant’è che la meditazione deve essere coltivata per rendere permanente questa calma dimorante.

Ma la meditazione, si dice, è, in fin dei conti, la parte più facile: occorre riuscire a mantenere questo stato di ‘calma’ anche una volta terminata la meditazione, quando si esce di casa e si affronta la vita di tutti i giorni.

Ed io mi metto alla prova.

Inizio a capire quelli che chiamavo ‘miei nemici’ come miei maestri ed a ringraziarli perché mi permettono di far maturare in me la tolleranza per le offese che mi recano, la pazienza, la compassione nei loro confronti e, raramente (ma è pur sempre un inizio), l’amore nei loro confronti.

A volte oso di più.

Tutti noi siamo peccatori e subiamo le tentazioni: in fondo siamo uomini!

L’altro giorno ero seduto su una panchina quando vedo arrivare una ragazza, una ragazza decisamente, veramente, sfrontatamente carina, come direbbe Francesco, “bella di una sua bellezza acerba, bionda senza averne l’aria”.

La ragazza si avvicina ed io cerco di entrare in uno stato meditativo: penso che, in fondo è fatta solo di carne, ma che questa è destinata ad invecchiare, a sfiorire come la sua bellezza (un abbozzo di impermanenza). Per il resto è ossa, sangue.

Ma è anche vero, che, senza arrivare a queste tristi e macabre elucubrazioni, nella mia situazione attuale una femmina è fonte di problemi: non potrei invitarla a cena, non ho un futuro da offrirle, se, poi, dovessimo litigare (e, si sa, nelle coppie litigi ed incomprensioni sono all’ordine del giorno) … addio mio equilibrio!


Ecco, ci sono: sento farsi la mia calma dimorante sempre più stabile, sono un passo oltre il semplice flash. Sono molto orgoglioso e fiero di me, quindi, prima che sia troppo tardi, mi alzo compiaciuto, mi stiracchio e, ad alta voce in direzione della ragazza, dico: “Scusi, signoriiiina, … che ore sono?” ed ho già pronta l’immancabile frase che viene dietro “Ma…. non ci siamo già visti da qualche parte?. (*)


Scherzi a parte, credo che tutti abbiamo bisogno di un loro equilibrio ed io, forse, pur tra tante difficoltà (vi terrò aggiornati sugli sviluppi), credo di aver trovato un mio equilibrio. Non dico che sia l’Equilibrio, un equilibrio valido per tutti, l’equilibrio universale, il centro di gravità permanente ma il MIO equilibrio, almeno per adesso (e ridagli con l’impermanenza).

Indi ragion per cui, se anche qualcuno pensasse che sto andando nella direzione sbagliata, beh, lasciatemi andare.

(*) Dopo un periodo di costretta astinenza (anche se mi vanto di dire “sono io che non voglio”) dovesse mai ripresentarsi un’occasione spero sia come andare dopo tanto tempo in bicicletta: magari si cade all’inizio, ma poi…

NON e` una storia di pura invenzione.
Nel racconto SI FA riferimento a fatti e persone REALI.

venerdì 12 giugno 2009

23. La domanda non è “chi?” ma “perché?”

Tema

Dopo tanti mesi a fare ogni genere di colloqui peraltro sempre con lo stesso esito) la domanda che un mattino mi sorse spontanea non fu “perché?” (ho imparato ad autogiustificarmi dando ora la colpa al civvì – ora eccessivo e ridondante ora insufficiente e senza precedenti esperienze in analogo ruolo – ora all’età), ma “chi?”.

Introduzione

Durante i primi mesi di disoccupazione venne a me, da sempre amante della lettura, una sorta di rifiuto, di repulsione verso ogni sorta di carta stampata.

Forse preferivo guardarmi intorno alla ricerca di ogni sorta di annuncio di offerta di lavoro.

E dire che da sempre ero affascinato dal libro in quanto tale. Mi vanto di avere in casa un paio di librerie a parete cariche e stracolme di libri. Di libri letti, non di quelli comprati a metro: un tot di un certo colore, altri di varia forma e colore tanto per adeguarsi all’ambiente. Nonnò: libri letti.

Ricordo ancora le scorrerie nelle librerie: ogni promozione al 15%-25% era mia. Non dico della sorta di godimento che provavo quando la promo arrivava al 30%.

Lo ammetto, dopo aver comprato un libro ad una promozione del 30% provavo l’irrefrenabile desiderio/bisogno di accendermi una sigaretta!

Un giorno in una delle bancarelle di via Po scoprii una vera miniera. Era morto il gestore (un simpatico vecchietto, decisamente naif, con lunghi capelli bianchi, lunga barba bianca, segaligno, un cappello da pittore sulla tre quarti, sigaretta e sorrisetto beffardo) ed avevano riversato ogni genere di libro libretto, libricino, libraccio. Dai libri di filosofia a interi cataloghi Feltrinelli, Mondatori e della gloriosa Einaudi.

Per rendere omaggio al defunto arrivavo armato di sacchetti di plastica modello supermercato (non quelli piccolini da farmacia, ma quelli grandi, resistenti, con doppifondo, capaci, capaci di tutto), caricavo ogni ben di dio e me ne andavo via trionfante.

Ero un cliente talmente assiduo e munifico, che avevo un conto aperto.

Poi, di colpo, all’improvviso il vuoto.

Un giorno, non ricordo neppure più quando, senza accorgermene, mi ritrovai con un libro in mano e, più per istinto che per altro, ripresi a leggere.

Decisamente la lettura in questi mesi mi è stata di grande conforto.

Per oltre un anno, con qualsiasi tempo (sole, pioggia, vento, grandine, tempesta, neve) ero solito andare e venire, ogni giorno da casa fino in centro a piedi. Un’oretta di sana e spartana camminata tanto per far passare il tempo e per tenermi in forma.

Quando ricominciai a leggere tornai a prendere il pulmann: difficile a credersi, ma è molto più facile leggere comodamente seduti che camminando!

Presi a rileggere libri che neppure ricordavo di avere, altri che erano sopravvissuti alla mia onnivora voglia, bisogno di leggere. Non pago leggevo i giornali nei bar, i quotidiani nella metropolitana, vecchie bollette della luce e del gas, scritte nei bagni, ordini del giorno delle riunioni di condominio. Se in pulman finivo il mio libro e non ero stato abbastanza avveduto da portarmene meco uno di riserva, leggevo il giornale degli altri passeggeri, noncurante del fastidio che potevano mostrare.

Preso dal sacro furore un mio vezzo fu quello di frequentare le librerie. Sceglievo con cura un titolo di mio gradimento e ne leggevo una decina di pagine per volta. Mettevo con cura un segnalibro (a questo fine si possono usare tranquillamente anche scontrini del caffè che dovete avere l’avvedutezza di non buttare via) e riponevo con cura il libro in fondo alla fila del ripiano, in modo da poterlo ritrovare l’indomani.

Ecco, le librerie che meglio si prestano a questa lettura a scrocco sono, a mio avviso, la Mondatori e la Feltrinelli di piazza C.L.N. che offrono l’ospitalità di comode poltroncine; per inciso, alla Mondatori di via Viotti di tanto in tanto la Gavazza offre anche degustazioni di caffè in cialda: non è il massimo, ma ci si deve accontentare nella vita); meno accoglienti sono la Feltrinelli di piazza Castello e la Fnac (i cadreghini sono alquanto scomodi).

Assolutamente da evitare sono le librerie di piccole dimensioni: titolari e commessi sono diffidenti e financo sospettosi e continuano ad assillare con domande inopportune tipo: “Posso esserle utile?”

Svolgimento

Ovvio che per unire l’utile (la ricerca di un lavoro) al dilettevole (la possibilità di avere tanta abbondanza a disposizione, come per un bambino essere nella fabbrica della Nutella) ho inviato civvì anche alle librerie.

Altrettanto ovvio che neppure ho ricevuto risposta.

Un giorno, tuttavia, ho visto tra i commessi della Feltrinelli alcuni volti nuovi. Quindi nuovi commessi.

Non fui preso tanto dallo sconforto, quanto dalla curiosità: volevo capire cosa loro avessero che io non avevo.

E’ vero, conosco da anni un paio di commessi che già lavoravano alla Feltrinelli di via Roma prima che questa venisse chiusa, ma non potevo far conto sulle loro referenze perché già non sono visti di buon occhio.

Un paio di quelle che avevo individuato come nuove commesse erano giovani ragazze e, per di più, come se non bastasse, carine. Non ci vuole un’aquila per capire perché possano essere state selezionate (considerate che in questi supermercati del libri al commesso non è richiesto avere una qual certa cultura letteraria, circostanza che, anzi, il più delle volte è vista come una circostanza sfavorevole), ma ne avevo puntato uno – in piazza Castello (vicino al bar Mulassano) che suscitava la mia curiosità.

Poco più alto di me, ma non molto, goffo, impacciato, occhiali che scivolavano sul naso lucido, sempre al fianco qualcuno che in un primo tempo pensavo fosse un accompagnatore del comune, poi ho capito essere un commesso anziano che gli insegnava il mestiere.

Cosa aveva lui che io non avevo?

Passavo decine di minuti facendo finta di cercare libri che non trovavo, compulsando libri che rimettevo al loro posto con l’aria di chi non aveva trovato quello che andava cercando con la sola scusa di capire perché avessero preso lui mentre io neppure ero stato convocato per un colloquio.

Misi, allora, da parte, qualche euro risparmiato sui caffè e mi risolsi per un approccio diretto. Cosa avete capito? Scelsi un libro (edizione rigorosamente economica) per poterlo incontrare faccia a faccia, face to face, cheek to cheek, chicken to chicken alla cassa.



La coda era lunga, ma non è certo il tempo che mi manca. Piano piano i clienti davanti a me se ne scivolavano via fino a quando non arrivo il mio turno.

“Buongiorno”, mi disse impacciato, ma di buon garbo.

“Buongiorno”, risposi compunto, con tono di sfida, ma tanto per non essere da meno.

Gli porsi il libro. Lui, ovviamente, lo prese, ma – eccolo lì – stava per caricare il prezzo quando, fermo ma deciso, garbato ma severo, con un appena vago tono di rimprovero, lo bloccai “Scusi: non mi chiede se ho la tessera soci? Perché IO ho la tessera soci!”.

Il libro costava 8.60 euro, per non metterlo in difficoltà gliene sporsi 10 in taglio unico, neppure in monetine.

Ma rieccolo armeggiare col neurone – l’unico - che si sentiva sbattere ora contro le tempie ora contro l’occipitale.

Buono e comprensivo come sono gli volli venire incontro e gli dissi “1.40, il resto è di un euro e 40 centesimi…”. Lo ammetto, avevo fatto il conto molto prima di arrivare alla cassa.

“Ah, già, grazie!”.

Ed eccolo che, come se non bastasse, mi cade anche quando tutto sembra esser finito.

Mi restituisce la tessera ed afferra una busta per imbustare, appunto, il libro.

Gravissimo errore, tutti i librai, almeno quelli del centro e quelli vicino a casa sanno che io non incarto i libri e non già – come alcuni potrebbero pensare, sbagliando – perché il libro potrebbe soffocare -, ma perché dette buste non possono essere riutilizzate per la spazzatura.

Un po’ goffamente, con le tempie rigate di sudore, mi restituisce anche il libro.

Che pazienza ci vuole.

Solo, in mezzo alla folla, col mio nuovo libro nello zainetto, resto col mio dubbio: insomma, la domanda non è “chi?”, ma “pecche`?”.

NON e` una storia di pura invenzione.
Nel racconto SI FA riferimento a fatti e persone REALI.


giovedì 11 giugno 2009

22. Una risata ci seppellira (senza accento, pliz!)


Gennaro: Teh… Pigliate nu surzo è cafè (Le offre la tazzina. Amalia accetta volentieri e guarda il marito con occhi interrogativi nei quali si legge una domanda angosciosa: “Come ci risaneremo? Come potremo ritornare quelli di una volta? Quando?” Gennaro intuisce e risponde col suo tono di pronta saggezza) S’ha da aspettà, Amà. Ha da passà ‘a nuttata (E dicendo quest’ultima battuta, riprende posto accanto al tavolo come in attesa, ma fiducioso).

"Napoli milionaria!" (E.d.F.)

ps: e non dite che in queste nius non c’è un tocco di cultura!



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20 maggio 2009, Torino, Cuneo e provincia passano al digitale.

La domanda che mi sorge spontanea è: “Posso io essere da meno?”. Certo, non ho reti televisive a disposizione, non posso vantare nel mio civvì di aver suonato sulle navi da crociera, le diciottenni non mi invitano alle loro feste di compleanno, non ho ville in Sardegna … anche perché forse uno straccio di lavoro lo avrei trovato, e, forse, nemmeno un lavoro qualunque.
Ma qualcosa devo pur fare.
L’occasione mi viene offerta dalla imeil di un amico che mi scrive:

Caro Romolo,perché tutte le tue gustose mail non le pubblichi direttamente su internet, ovvero su un blog ? Ce ne sono tanti gratuiti, es. https://www.blogger.com/start?hl=it (che è quello di google, ma ce ne sono molti altri, hai solamente l'imbarazzo della scelta).Sicuramente amplierai l'audience rispetto a una lista di indirizzi email, che per quanto ampia sarà sempre pur sempre limitata.Se posso aiutarti o consigliarti, fammi sapere.Con i migliori auguri per la tua ricerca, mi raccomando persevera anche con questa tua (novella?) vena letteraria. Saluti, Marco

Forse perché ho poco da fare, a parte cercare lavoro (e scusate se è poco!), la cosa mi incuriosisce, mi solletica, mi titilla, mi incuriosisce.
Si tratta di accettare la sfida e rilanciare.
Certo, io diffido dei potenti mezzi tecnologici: ho ancora difficoltà a capire come funzioni la macchinetta del caffè; so che funziona e tanto mi basta.
Sono abbastanza diffidente verso feissbuk e tutte le chat, ma probabilmente perché sto diventando vecchio. Ma, se è vero che la vita comincia a 40 anni, sono un giovincello e tanto vale provarci.

Lo ammetto, non avevo la minima idea di come si potesse fare, ma per fortuna un paio di baldi elementi della redazione mi hanno dato un più che valido aiuto, quindi ... ci provo.

Scelto il lay out, il colore di sfondo (ma non ne sono del tutto convinto: carta da zucchero per uno che non un zucchera il caffè? Il caffè ha da essere amaro, come la vita!), caricate le vecchie niusletter, lo scoglio che mi restava da superare era la scelta del titolo.
In effetti, a conti fatti, la cosa più semplice, ovvia e persino scontata. Almeno per me.

Anzitutto “Caro Diario”, per due ragioni.
La prima è che la narrazione delle mie (dis-)avventure nella perigliosa ricerca di un lavoro ha assunto la forma di un diario, quindi una scelta tanto logica quanto forzata. La seconda vuole essere un devoto omaggio al Nanni (ndr. Moretti), un regista che si ama o si odia, non ci sono vie di mezzo. Ed io non ho ambizioni maggiori.

Per quanto riguarda il sottotitolo ( “Ha da passà a nuttata” ), beh, è una frase che mi sono ripetuto spesso da due anni a questa parte, una frase che sembra sconsolata, ma che pure è venata di ottimismo. Certo, il genio di Edo(ardo) risolve tutto in tre atti, mentre nel mio caso a settembre festeggerò i due anni (siete tutti invitati), per cui mi sembrava logico far seguire la considerazione “Ma è lunga assai”.

Un ultimo ostacolo: quale titolo dare all’http. Beh, c’è sicuramente un atteggiamento che mi ha aiutato in questi mesi: accettare tutto con ironia. L’ironia, anche e forse soprattutto nelle situazioni che paiono essere più disperate è – o, comunque, può essere – di grande aiuto: non risolve, ma aiuta. E non è ancora tassata, almeno per il momento. La scelta era, quindi, quasi scontata: http://unarisataciseppellira.blogspot.com/ , ovviamente seppellirà senza accento.

Ma parlavo, pardon, scrivevo di ‘ironia’. Ed allora eccomi qui a svelarvi come tutto cominciò, ovvero come iniziò l’idea di tenere un diario.

A novembre dell’anno scorso si stava chiudendo la mia esperienza tragicomica nel mondo, nella galassia delle assicurazioni. Non ve ne dico adesso un po’ per non appesantire questa nius, un po’ per non privarmi dello spunto per un’altra nius.

Comunque, grazie ad un amico ottengo un colloquio presso una società di derattizzazione (proprio così, derattizzazione: avete presente scarafaggi, topi, ratti, pantegane, pulci e simili? Ecco, proprio quelle).
Prudentemente abbandono la divisa da lavoro del perfetto agente assicurativo (tristissime giacca e cravatta, ripiegando su jeans, scarpe da ginnastica, maglioncino (ancora non reso di tendenza dal Marchionne). Ancor più avvedutamente non mi faccio anticipare dal civvì che porto a mano.
Ero, però ancora giovane ed inesperto, e, senza dare alla circostanza troppa importanza, non solo cito il mio curriculum scolastico, ma pure (come se non bastasse) il mio percorso scolastico.

La persona che mi accoglie è gentile, mi fa persino accomodare, tanto che mi sento non solo fiducioso, ma persino ottimista.
Finito che ebbe di leggere le due paginette due, rialzò lo sguardo e, fissandomi negli occhi a dir poco perplesso mi domandò: “Ma perché col suo curriculum cerca lavoro qui?”.

Io, in fondo sono una persona ovvia, al limite del banale, per cui, sicuro di me stesso, rispondo: “Perché sto cercando lavoro!”.


Lui si mostra ancora più in imbarazzo ed io cerco di venirgli incontro, aggiungendo: “Eppoi adoro i ratti e le blatte!".
Riesco a strappargli un sorriso, persino una sonora risata. Poi, una volta ricomposto, sibillino mi ribatte: “Veramente noi le blatte le uccidiamo!”.


Cerco di salvarmi in corner e di rimettermi in corsa: “Beh, le adoro nel senso che adoro ucciderle…”.
Niente da fare. Lui si mostra paterno, comprensivo e cerca di spiegarmi: “Vede, noi impieghiamo un paio di mesi per formare una persona appena arrivata: col suo curriculum se trova un lavoro (e sicuramente lo trova) ci lascia e noi dobbiamo cominciare con una persona nuova”.
In fondo è più che gentile, tanto che ne convengo e non saprei come dargli torto.

Per inciso, sono passato almeno 18mesi18 e non ho ancora trovato lavoro: siate benevoli: non girate il coltello nella piaga!

Uscito ricordo che la giornata minacciava pioggia, non quella pioggia insistente e dannatamente bagnata ed umida, ma quella pioggerellina infingarda, che a tirare fuori un ombrello ti senti anche ridicolo, ma intanto ti inzuppi.
La prima tentazione fu quella di prendere la rincorsa, attraversare a spron battuto la strada e schiantare la mia preziosa testa (preziosa perché altrimenti non saprei dove mettere gli occhiali) contro il muro dall’altra parte della strada.

Invece mi venne un sorriso, appena appena amaro, ma pur sempre un sorriso. E fu in quel momento che io, diplomato col quasi massimo dei voti, laureato questa volta sì col massimo dei voti scartato da una società di derattizzazione, colsi tutta l’ironia della situazione.
Tornato a casa pensai di relazionare l’amico che mi aveva segnalato l’offerta di lavoro con una imeil che, mi disse in seguito, lo fece sorridere.


Insomma, quel giorno imparai addirittura tre cose: il sorriso può essere contagioso, l’ironia può aiutare, armarsi di diversi civvì adeguati alle offerte di lavoro cui si risponde. Oggi ne ho la bellezza di quattro: uno formale, dove meno vanto delle esperienze maturate, uno più generico, uno formato europeo (che oggi va tanto di moda) ed uno assolutamente generico (dove millanto un diploma senza specificare se di istituto tecnico o di liceo classico e, soprattutto, mi guardo bene dal menzionare la laurea).


Nel tempo feci altri colloqui, puntualmente scartato un po’ per l’età un po’ perché proprio alla fine, quando pensavo di avercela fatta, mi scappava un congiuntivo ed allora venivo gelato da un: “Ma, allora, lei è laureato?!”.
Maledetto congiuntivo, ma io spavaldo me ne uscivo con enfasi retorica e slogan del tipo “Salvate il congiuntivo”, “Il congiuntivo è in via di estinzione: va protetto come il panda!”.



Ad ogni buon conto non persi l’abitudine di aggiornare il diario per varie motivazioni.

- Anzitutto, relazionare chi mi aveva segnalato: una norma di normale educazione.
- Appellarsi all’ironia ha un valore profondamente terapeutico. Io, forse ma forse sono troppo ironico, ma di certo diffido di chi non lo è.
- Far sapere a chi legge le niusletter che sto ancora cercando lavoro: non è che se trovassi lavoro non condividerei la mia gioia.
- Di più: far sapere che sto cercando un qualunque lavoro. E’ vero che mi piacerebbe trovare il lavoro della mia vita, ma, intanto, si tratta di mangiare ed ho lasciato in arretrato un paio di rate del riscaldamento: qui si parla di sopravvivenza.
- Di tanto in tanto qualcuno si complimenta per le niusletter, arrivando a suggerirmi sbocchi editoriali: io dissimulo indifferenza, dico ‘ma no, ma no’; il fatto è che fa piacere. Che volete farci: a 40 anni, anzi 42 mi scopro narcisista. Non è molto, ma è pur sempre qualcosa.
- Quando, negli utlimi 4anni4 chi incontravo mi chiedeva come mi andasse, ero solito dire "di merd" (scusi la volgarità, ma è francese).
Mi accorsi che non era il miglior modo per iniziare una conversazione (meglio sarebbe stata all'inglese, dove all' "how do you do?" si risponde "how do you do?", ovvero a nessuno dei due ne importa una cippa di come sta l'altro).
Per ovviare a tale inoppurtuno approccio, mi risolsi (spero abbia notato e le sia garbato il passato remoto) a rispondere "è tutto nel blog, ci si va a prendere un caffé?"

E questi sono le motivazioni, come dire, egoistiche. Ma è vero che nel tempo mi sono accorto che queste nius possono avere anche una valenza altruistica. Me ne vengono in mente un paio:
- una volta un amico mi ha detto che sino ad allora aveva considerato il suo lavoro ed il rapporto coi colleghi uno schifo, ma che leggendo le mie (dis-)avventure gli veniva più facile accettare il proprio lavoro;
- so che qualcuno gira le nius ad altri amici. Ebbene, è possibile che tra loro ci sia qualcuno che si dibatte a vuoto come il Vostro (è scritto con la ‘V’ maiuscola, quindi sono io) ed, allora, forse sapere che forse che forse un po’ di ironia aiuta, beh, se servisse…

Insomma, e volgo al termine, da oggi proverò il brivido del blog, se non riuscite o non potete aprire il blog (pe. sul posto di lavoro), fatemelo sapere; se avete suggerimenti, fatemelo sapere; se avete perso delle puntate, le potete recuperare (come il maiale: non si butta via nulla); se avete buon cuore, fate girare l’indirizzo del blog.

ps: sarei tentato di dire “Chi mi ama mi segua”, ma non vorrei, girandomi, trovare il vuoto.

NON E` una storia di pura invenzione.
Nel racconto SI FA riferimento a fatti e persone REALI.