giovedì 30 luglio 2009

36. Siamo seri! (parte 2)


Oggigiorno politici, addetti alle relazioni pubbliche, giornalisti, pubblicitari, insomma ogni tipologia di professionisti della comunicazione sembra si sia accorta di come un poco appena di ironia riesca a rendere più graditi ed incisivi i propri messaggi. È incontestabile il fatto che, in questo determinato momento storico, l’ironia sembra esser divenuta un elemento assolutamente desiderabile e ricercato nella pratica odierna della comunicazione.

Il problema è che il fenomeno è, per lo più, spiegato come una moda e quindi, in sostanza, per nulla analizzato ma solo semplicemente accettato: in tanti vedono nell’esprimersi ironicamente uno stile di comunicazione moderno e capace di instillare nuova linfa in messaggi ormai sempre più vuoti e ridondanti, tuttavia è assai sparuto il manipolo di coloro che si chiedono cosa sia l’ironia e come si possa attuarla e perciò sfruttarla al meglio.

In genere la spiegazione che si dà dell’ironia si avvicina molto ad una spiegazione circolare: si dice semplicemente che ironico è tutto ciò che risulta simpatico e gradito. Ma - per insistere - come si fa ad essere simpatici e graditi? E’ sufficiente, ci si sentirà rispondere, essere ironici.

Definire invece l’ironia come ciò che lascia contraddetti e induce al riso, significa avvicinare pericolosamente l’ironia alla comicità, addirittura quasi identificando l’una con l’altra. Questa equiparazione, che molti sembrano accettare, è tuttavia piuttosto ingenua; per dimostrarlo è sufficiente spingersi un solo piccolo passo oltre nell’argomentazione sulla comunicazione ironica.

Se ironia e comicità sono ammesse essere quantomeno simili, allora qual’è il motivo per cui uomini politici, organizzazioni, aziende e professionisti affermano tutti di voler fare dell’ironia e di voler essere ironici, mentre mai confessano di avere il desiderio di fare della comicità e di essere comici?
Crediamo che la sola formulazione della domanda lasci già emergere, come d’improvviso, la risposta: il fatto è che tutti noi percepiamo in maniera implicita una distinzione importante tra ironia e comicità, troppo spesso però, non solo non rendiamo esplicito ciò che comunque soggiace, ma persino tendiamo a sommergerlo ancor di più sino a dimenticarcene.



Dirsi ironici è ben altra cosa che dirsi comici, poiché, sembra ormai chiaro, l’ironia possiede una connotazione assai più nobile e rispettabile che alla comicità invece non appartiene: il ridere ironico è un ridere cui fa seguito sempre una riflessione, mentre la comicità inizia e finisce in una risata leggera e superficiale. Si può affermare che l’ironia è capace di sottolineare un messaggio intelligentemente, quando al contrario la comicità cancella qualsiasi argomento ed ogni meditazione. L’ironia è astuta quanto gradevole e la comicità è stolida quanto grossolana; ecco perché tutti affermano di voler essere ironici e non comici, salvo poi confondersi sul significato di ironia e di comicità.

Ma, ho detto molto ma molto prima, l'ironia gioca sulla falsa ignoranza ed è quel modo di vedere e vivere la realtà che, privandola di tutti i fronzoli e gli orpelli, di tutte le apparenze e le illusioni, la vede e la fa vedere per quello che è: una cazzata!

"L'ironia è l'espressione di una persona che, animata dal senso dell'ordine e della giustizia, si irrita dell'inversione di un rapporto che stima naturale, normale, intelligente, morale, e che, provando il desiderio di ridere a tale manifestazione d'errore o d'impotenza, la stimmatizza in modo vendicativo rovesciando a sua volta il senso delle parole (antifrasi) o descrivendo una situazione diametralmente opposta alla situazione reale (anticatastasi). Il che è una maniera di rimettere le cose per il verso giusto"

Questa definizione di Morier (Dizionario di poetica e di retorica) è interessante in quanto mostra due aspetti fondamentali dell'ironia: il primo, che essa si lega ad uno stato d'animo (secondo lui, un'irritazione di fronte a un rapporto invertito delle cose del mondo); il secondo, che la sua espressione si manifesta attraverso l'antifrasi o l'anticatastasi, cioè attraverso l'uso di figure retoriche.

Sigmund Freud sostiene che l'ironia "consiste essenzialmente nel dire il contrario di ciò che si vuole suggerire, mentre si evita che gli altri abbiano l'occasione di contraddire: l'inflessione della voce, i gesti significativi, qualche artificio stilistico nella narrazione scritta, indicano chiaramente che si pensa proprio il contrario di ciò che si dice".
Tuttavia, questa definizione sembra riduttiva, nel senso che l'ironia, e soprattutto l'ironia letteraria, non si limita a essere un'antifrasi pura e semplice. Essa può avvalersi di un'infinità di altre situazioni reali o retoriche: può "giocare sulla permutazione di spazi, sull'inversione di rapporti, sulla semplice differenza, sull'evitamento, sul mimetismo del discorso dell'altro, e senza dubbio su numerose altre figure" (P. Hamon, L'ironia letteraria).
C. Kerbrat-Orecchioni, in Problemi dell'ironia, mette in luce l'esistenza di due tipi di ironia: l'ironia referenziale, che esprime una contraddizione tra due fatti contigui, e l'ironia verbale, che esprime una contraddizione tra due livelli semantici legati a una stessa sequenza di significato. La differenza fondamentale tra la prima e la seconda è che mentre l'ironia referenziale si gioca su una relazione duale, tra l'oggetto dell'ironia e l'osservatore che percepisce l'ironia, l'ironia verbale si gioca su una relazione a tre: un locutore, che tiene un discorso ironico rivolto ad un ricevente, a detrimento (o sulle spalle di) un terzo, la vittima dell'ironia.

E, qui, veniamo ad un nodo fondamentale.

Ma, allora, perché talvolta l'ironia diventa irritante, offende, suscita insofferenza?

Facciamo un esempio.

Prendendo una caffè, ironizzo col barista sulla circostanza che i baristi non sono abili in matematica perché col passaggio all'euro un caffè, che prima costava 900 lire, adesso costa 90 centesimi (= 1.800 lire): il doppio!
Normalmente il barista risponderà che dipende dall'aumento dei costi di produzione, dall'esosità dei grossisti/distributori, che, in definitiva, non è colpa loro!
Una cosa è certa e vi consiglio vivamente: cambiate bar la prossima volta.

Perché?

Fondamentalmente perché il barista è messo al centro della situazione ironica.






E' il principio della torta in faccia: non c'è chi non rida quando vede una gag comica che finisce a torte in faccia: ma provate a tirare una torta in faccia a qualcuno. Se vi va bene non ride, ma potrebbe anche incazzarsi!

Ricordate la definizione dalla quale sono partito per definire l'ironia?

Mi cito: "L'ironia dal greco antico eironeía, ovvero: ipocrisia, falsità o ... finta ignoranza)", ovvero far apparire se stessi meno importante di quanto sia.

Quando Ulisse ritornò da Troia, si fece passare per un rozzo mendicante anziché per il re legittimo di Itaca qual'era. Nessuno si accorse di lui finché non si rivelò rimontando il suo arco, cosa che nessuno, né tra i pretendenti alla sua moglie Penelope, né altri hanno avuto la forza di fare.
Così si parla di ironia quando si dice una cosa per intenderne un'altra.

Per esempio, in Huckleberry Finn di Mark Twain, Huck scrive un biglietto al proprietario di Jim, uno schiavo nero fuggitivo, rivelandogli dove questi è nascosto. Ma prima di spedirlo, Huck si trova a pensare a Jim come suo amico; quindi strappa il biglietto e dice: "Bene, allora andrò all'inferno!".
Dal punto di vista di una società fondata sul possesso di schiavi, Huck ha effettivamente ha commesso un peccato: sta privando un padrone di una proprietà legale. Si vede come una cattiva persona per gli standard del tempo. Come emarginato, Huck è considerato un giovane delinquente dalla maggior parte dei benpensanti. Ma noi vediamo la sua decisione come profondamente morale, anche se lui stesso non se ne rende conto.


Poco più tardi Huck, parlando con una donna, si inventa una storia su se stesso, spiegando che ad un certo punto il suo battello fluviale è scoppiato.
"Santo cielo!", dice la donna, "si è fatto male qualcuno?"
"No signora. E' morto un negro."
"Però, siete stato fortunato; sa, a volte la gente si fa male...".

Se leggiamo questo senza capire l'ironia di Twain, potremmo pensare che avesse simpatie per il razzismo. Twain in realtà mira a condannare il bigottismo della donna e non ad approvarla.





L'ironia presuppone che capiremo che cosa realmente sta provando a dire, ma a volte i lettori non afferrano completamente (per questa ragione Huckleberry Finn viene spesso preso di mira da adulti che lo pensano razzista, quando è uno dei migliori libri antirazzisti in circolazione).

Può perciò risultare pericoloso scherzare con l'ironia. Se non tutti, molti affermano di apprezzare l'ironia, se non altro perché è di moda, perché non vogliono passare per censori, preché vogliono far vedere che sono tanto spiritosi non solo da ridere di se stessi, ma anche da parmettere che gli altri ridano di loro.

L`ironia e` la capacita` di sdrammatizzare - con intelligenza -, di irridere, di vedere il grottesco quando tutti restano seri. di sa[er prendere in giro se stessi e quindi, perche` no?, gli altri.

Ma è altrettanto vero che siamo partiti dall'assunto (vedi parte 1) che l’ "ironia, invece, è più sottile, più logica (della comicità), ancorata a concetti, a riflessione", e nessuno vuole apparire, mostrarsi da meno. Insomma, può capitare che ci cerca di essere ironico venga tollerato (ammesso che ci riesca.

Il che è, comunque, già qualcosa.


Conclusione

Noi ti ringraziamo nostro buon Protettore per averci dato anche oggi la forza di fare il più bello spettacolo del mondo. Tu che proteggi uomini, animali e baracconi, tu che rendi i leoni docili come gli uomini e gli uomini coraggiosi come i leoni, tu che ogni sera presti agli acrobati le ali degli angeli, fa' che sulla nostra mensa non venga mai a mancare pane ed applausi. Noi ti chiediamo protezione, ma se non ne fossimo degni, se qualche disgrazia dovesse accaderci, fa che avvenga dopo lo spettacolo e, in ogni caso, ricordati di salvare prima le bestie e i bambini. Tu che permetti ai nani e ai giganti di essere ugualmente felici, tu che sei la vera, l'unica rete dei nostri pericolosi esercizi, fa' che in nessun momento della nostra vita venga a mancarci una tenda, una pista e un riflettore. Guardaci dalle unghie delle nostre donne, ché da quelle delle tigri ci guardiamo noi, dacci ancora la forza di far ridere gli uomini, di sopportare serenamente le loro assordanti risate e lascia pure che essi ci credano felici. Più ho voglia di piangere e più gli uomini si divertono, ma non importa, io li perdono, un po’ perché essi non sanno, un po’ per amor Tuo, e un po’ perché hanno pagato il biglietto. Se le mie buffonate servono ad alleviare le loro pene, rendi pure questa mia faccia ancora più ridicola, ma aiutami a portarla in giro con disinvoltura. C'è tanta gente che si diverte a far piangere l'umanità, noi dobbiamo soffrire per divertirla; manda, se puoi, qualcuno su questo mondo capace di far ridere me come io faccio ridere gli altri

(da Il più comico spettacolo del mondo, 1953, diretto da Mario Mattioli, primo ed unico film tridimensionale italiano, manomesso quasi subito con la versione normale bidimensionale. Film parodia de Il più grande spettacolo del mondo di Cecil B. DeMille, 1952)

lunedì 27 luglio 2009

35. Siamo seri! (parte 1)


Cos'è il teorema di Ruffini? In matematica la regola di Ruffini permette di dividere velocemente un qualunque polinomio per un binomio di primo grado della forma 'x - a'. E' stata descritta da Paolo Ruffini nel 1809. La regola di Ruffini è un caso speciale della divisione polinominale quando il divisore è un fattore lineare. La regola di Ruffini è anche nota come 'divisione sintetica'.

Perché quest'esordio?

Perché, leggendo delle mie varie (dis-)avventure, qualcuno potrebbe avere l'ardire di pensare che il Vostro sia solo una persona faceta, che indulga senza ragione apparente alla battuta facile, mordace e salace, che provi una sorta di gusto perverso nel ridere delle proprie disgrazie, che abbia immeritatamente rubato la votazione alla maturità, che per un altro accidente fortunato e fortunoso meni vanto di una laurea che (secondo alcuni) potrebbe non avere neppure conseguito (il che spiegherebbe molte cose, invero), che ... che ...

Cercherò di stupirvi (magari annoiandovi) spiegandovi perché nello scrivere io ricorra tanto volentieri all'ironia e - già che ci sono - all'autoironia.

Buona lettura.

Premessa

Scriveva il Vasari parlando del genio di Michelangiolo:

La scultura è una arte che levando il superfluo dalla materia suggetta, la riduce a quella forma di corpo che nella idea dello artefice è disegnata. Et è da considerare che tutte le figure, di qualunque sorte si siano, o intagliate ne' marmi o gittate di bronzi o fatte di stucco o di legno, avendo ad essere di tondo rilievo, e che girando intorno si abbino a vedere per ogni verso, è di necessità che a volerle chiamar perfette ell'abbino di molte parti.
La prima è che, quando una simil figura ci si presenta nel primo aspetto alla vista, ella rappresenti e renda somiglianza a quella cosa per la quale ella è fatta, o fiera o umile o bizzarra o allegra o malenconica, secondo chi si figura; e che ella abbia corrispondenza di parità di membra


(Della Scultura, Cap. VIII. Che cosa sia la scultura, e come siano fatte le sculture buone, e che parti elle debbino avere per essere tenute perfette, tratto da LE VITE DE' PIU' ECCELLENTI PITTORI, SCULTORI, E ARCHITETTORI)

Tema

Che cos'è l'ironia?

L'ironia (dal greco antico eironeía, ovvero: ipocrisia, falsità o finta ignoranza) può avere a propria base e scopo il comico, il riso e finire nel sarcasmo.
L'ironia è quel modo di vedere e vivere la realtà che, privandola di tutti i fronzoli e gli orpelli, di tutte le apparenze e le illusioni, la vede e la fa vedere per quello che è: una cazzata!

Svolgimento

Alcuni, i più, pensano che l'ironia ed il riso che essa suscita siano cose sciocche, effimere. Ma vero è che il riso è tutt’altro che stupido. E’ un mistero che affonda le radici in complessi meccanismi inconsci.
E’ noto il potere liberatorio di una risata, sia sotto forma di umorismo che d’ironia benevola.

Il suo primo effetto positivo è quello di facilitare le relazioni. In un momento di difficoltà, quando il rapporto diventa conflittuale, chi riesce a ridere, ha vinto la partita.
Ridere insieme poi, sdrammatizza, crea complicità e senso di appartenenza.
Ridere, inoltre, genera distanziamento, grazie al quale riusciamo a guardare i problemi dall’esterno, come se non ci appartenessero, a sgonfiare i mostri, a ridimensionare le paure.

Ridendo, osserva Hermann Hesse, noi riusciamo a trasferirci in una realtà parallela, a “vivere nel mondo come non fosse il mondo”.

Con l’umorismo, infatti, secondo Kierkegaard, noi riconquistiamo la libertà che possedevamo all’inizio di un’esperienza, quando non ne eravamo ancora troppo coinvolti. Ecco, mi permetto di attirare la vostra gentile e cortese attenzione sulla circostanza che il buon Kierke va preso a piccole dosi: questa volta mi pare averla azzeccata, ma è un filosofo - forse perché danese e la Danimarca, lo si sa, è terra piatta e piovosa assai - particolarmente triste e più volte sospettato di induzione al suicidio (fors'anche col sorriso sulle labbra) per la sua non particolare allegria.




Altro effetto positivo del ridere è quello di liberare il subconscio dai contenuti comunemente e convenzionalmente censurati, attraverso fulminee illuminazioni.
Se il sorriso è la serena constatazione di quanto già si conosce, il ridere, invece, è l’improvvisa rivelazione di ciò che si ignora.

L’umorismo è comunque catartico, sostiene Freud. “L’uomo ridendo – egli scrive – si libera da inibizioni e rimozioni, mette temporaneamente a tacere l’istanza della censura, offre una valvola di sfogo all’aggressività”.
Ma c’è qualcosa ancora più efficace dell’umorismo. E’ l’ironia.

Si possono distinguere 5 figure di ironia:

1. L'ironia interpersonale o sociale, il modo di ironizzare tipico dello stare in società o in gruppo sta nel rapporto di un soggetto che ironizza con degli ascoltatori o degli interlocutori, per cui il significato, il valore e l'efficacia dell'ironia è in funzione del contesto in cui la si fa e dell'argomento che viene considerato.
È sempre una "etero-ironia", generalmente contingente e situazionale, per cui si ironizza su qualcosa o su qualcuno nel momento in cui se ne parla.
Per questo tipo di ironia si tratta contemporaneamente di un tema, di una struttura discorsiva e di una figura retorica.

2. L'ironia psicologica, che implica una tipo di indagine sul comportamento umano, per la quale si fa riferimento a Sigmund Freud, il primo che ne ha fatto oggetto di studio sistematico. È già in parte "auto-ironia" nel senso che i fenomeni di cui si occupa e i problemi che pone riguardano la mente umana in generale e quindi anche la psicoanalisi.
È autoironica perché coinvolge chi la fa ed è concettuale perché pone temi e problemi che concernono il rapporto dell'uomo col mondo, dove la realtà antropica si confronta con quella cosmica e solleva un problema relazionale uomo-mondo che interessa lo stesso esistere dell'uomo.
In senso freudiano l'ironia consiste nell'esprimere idee che violano la censura dei tabù.



In alcuni casi consiste nel far intendere una cosa mediante una frase di senso esattamente opposto.. Ne è un classico esempio l'affermazione: "Hai avuto proprio un'idea geniale!" nel caso in cui una decisione abbia avuto effetti disastrosi.
In effetti Freud ha dato al suo concetto di ironia uno spessore ben maggiore che la avvicina a quella filosofica.
Numerosissimi sono gli utilizzi a cui questa figura retorica e le sue derivazioni si prestano nel mondo della comicità e ancor più specificatamente nella satira.
In questo caso l'analisi dei modi e delle circostanze per cui un soggetto diventa comico o può essere visto come tale, in quanto scientifica, non ha come fine di indurre al riso, ma piuttosto di sensibilizzare alle problematiche connesse alla psiche, alla sua normalità e alle sue anormalità.

3. L'ironia filosofica, che concerne il rapporto dell'uomo con la realtà extra-umana. È spesso "auto-ironia" perché il soggetto ironizzante è anche direttamente l'oggetto dell'ironia che fa.
Ma anche l'autoironia non è sempre la stessa. L'ironia di Socrate è un'autoironia finta, perché egli si finge ignorante per meglio mettere poi in difficoltà il dialogante, mentre nel caso di Diderot nel Il nipote di Rameau il filosofo nel confrontarsi con l'ignorante opportunista e senza scrupoli è realmente autoironico. Se questi due casi sono gli estremi di un'ironia filosofica astuta in Socrate e sofferta in Diderot, tra essi si pone una gamma molto vasta di atteggiamenti ironici filosofici, che si caratterizzano sempre per una messa in discussione di ciò che si è o si può essere. Da un lato l'ironia come strumento e dall'altro lato come risultato di una sofferenza esistenziale.



4. L' ironia romantica: Friedrich Schlegel considerava processo ironico la rinuncia del soggetto a prestare attenzione alla realtà materiale, quindi il non prenderla sul serio, a favore di un "altro mondo" fatto di spiritualità di tipo panico. Nei Fragmente del 1798 (§ 121) egli la vede come un "trasferirsi arbitrariamente ora in questa ora in quella sfera come in un altro mondo".

5. L' ironia culturale: nel romanzo Il nome della rosa di Umberto Eco viene affrontato il tema dell'ironia definendola "figura di pensiero", che "si deve sempre usare facendola procedere dalla pronunciatio, che ne costituisce il segnale e la giustificazione". Pe: la premessa di alcune nius

A questo punto, però, occorre fare una distinzione, una precisazione fondamentale, perché ironia e comicità vengono solitamente confuse. Vero è, però, che l'ironia è ben diversa dalla comicità.

La comicità è legata alla gestualità, all’imitazione, ai contrattempi, a situazioni imbarazzanti, all’immediatezza, agli istinti.
L’ironia, invece, è più sottile, più logica, ancorata a concetti, a riflessione.
Pirandello, il grande Pirandello, spiega la distinzione fra comicità ed ironia con un esempio famoso: “Vedo una vecchia signora… tutta goffamente imbellettata e parata d’abiti giovanili. Mi metto a ridere”.
In questo caso, la prima reazione è di comicità, basata sul “sentimento dei contrari”, cioè sul contrasto tra gli atteggiamenti giovanili della vecchia signora e la sua età senile. La seconda reazione è, invece, ironica e riguarda l’amara considerazione dei disagi della vecchiaia, della contraddizione tra la realtà degli anni che passano e l’aspirazione a restare giovani.

Solo l’ironia ha il potere di cogliere la profonda connessione tra comico e tragico, tipica della condizione umana. “Tutto ciò che è umano è patetico. – scrive Mark Twain – La segreta fonte dell’umorismo non è gioia ma dolore”.
L’ironia è liberante e liberatoria proprio perché attinge ai fondali segreti della psiche.

Altro esempio di ironia è la barzelletta, elaborazione mentale basata sul paradosso. Si pensi alla banale barzelletta della suocera e della vipera che risolve, appunto, la tipica tensione relazionale moglie-suocera attraverso il concetto, in sé drammatico, dell’avvelenamento: “Sai che è successo? Una vipera ha morso mia suocera. Ed è morta? Lei no, ma la vipera sì”.

Gli studiosi hanno messo in luce che la barzelletta corrisponde a meccanismi psicologici precisi e consente di affrontare tabù censurati quali il sesso, le difficoltà relazionali, i rapporti di coppia, il pregiudizio verso persone d’altra cultura…
Così, ad esempio, le barzellette sui carabinieri e preti umanizzano le istituzioni, quelle su ebrei, scozzesi, americani, tedeschi, meridionali…, razionalizzano le differenze culturali.


mercoledì 22 luglio 2009

34. Superstizioso? Chi: ... io? Ma figuriamoci!


Arrivato che fui al 17.mo lettore iscritto al blog, un amico ebbe a dirmi: “ Non sarai mica superstizioso?”
Ed io, prontamente, gli risposi: “ Superstizioso? Chi: io? Ma figuriamoci!”.

Ma, anzitutto, cos'è la superstizione?

Vi sono molte versioni, del concetto di superstizione.

Cicerone riteneva che `superstizione` derivasse da "superstites" (superstiti), cioè invocazioni agli Dei affinché risparmiassero i figli dalle loro ire funeste; in modo simile S. Agostino le faceva risalire al verbo arcaico "superstito", cioè preservare, far durare, sopravvivere. E' evidente la comune origine di scongiurare una morte (propria o altrui), come già accadeva in tutti gli antichi riti pagani della tradizione pre-cristiana.

Oggi in pochi saprebbero dire perché il numero 17, essere in 13 a tavola, il colore viola o il fatto di passare sotto una scala sono ritenuti portatori di sfortuna, eppure quasi tutti, se possono, li evitano automaticamente o almeno li esorcizzano con qualche gesto scaramantico, come il fatto di toccare ferro, legno, o determinate parti del corpo (più precisamente, `una` parte del corpo, possibilmente, preferibilmente la propria).

Ma anche in questo caso pochi sanno perché quei gesti avrebbero un effetto protettivo contro la sfortuna. Anche il cibo, visto che nel passato i periodi di carestia erano frequenti e mietevano moltissimi morti, è stato oggetto di innumerevoli riti scaramantici, superstizioni e tabù. Di qualcuno si conosce l'origine ed il significato.

Per esempio, il numero 17 è ritenuto sfortunato perché la tradizione vuole che il giorno della crocifissione di Gesù Cristo, fosse caduto nel giorno 17 . Il colore viola è detestato originariamente solo dagli artisti, perché nel medioevo, durante la pasqua (il cui colore religioso è il viola), venivano apposti dei drappi di colore viola sulle finestre delle chiese, e in quei giorni venivano vietate tutte le forme di rappresentazioni teatrali pubbliche nelle piazze e nelle strade delle città, per rispetto della passione di Gesù, così che gli artisti di strada, non lavorando, facevano la fame.



Anche essere in 13 a tavola riguarda Gesù, perché durante l'ultima cena a tavola erano appunto in 13, e poco dopo Gesù fu tradito e ucciso. Essere in 13 a tavola è considerato da allora un presagio di tradimento e di morte. Per la stessa ragione è ben possibile che negli Stati Uniti non troviate un 13.mo piano.

Per quanto riguarda il fatto di passare sotto una scala, questo è dovuto al fatto che una scala appoggiata a un muro forma un triangolo (muro, pavimento, scala inclinata), ed il triangolo è il simbolo di Dio, e dunque passare dentro al triangolo porterebbe sfortuna perché significherebbe entrare presuntuosamente nello spazio di Dio e quindi riceverne punizione divina: di che natura non si sa!
Nel dubbio, sapendo quanto facile all`ira possa essere il Dio cristiano (basta scorrere qualche pagina dell'Antico Testamento) sembra ragionevole tenersi alla larga dalle scale.

Si veda, per tutti, Samuele 5 : 9 - “Così trasportarono a Gat l'arca del Dio d'Israele. E quando l'ebbero trasportata, la mano del SIGNORE fu contro la città che si fece prendere da un grande panico. Il SIGNORE colpì gli uomini della città, piccoli e grandi, e un flagello d'emorroidi scoppiò in mezzo a loro”.

Ma vero è che ogni scaramanzia non è altro che un retaggio di antiche credenze popolari, spesso di derivazione religiosa, che sono però fondate su un senso logico e spiegabile.

Ecco, in questo senso io mi sento degno (talvolta indegno) erede del pensiero razionalista e mi appello a Montesquieu e Voltaire, a J.P. Le Rond d'Alembert e Diderot i quali, se è vero che non avevano idea di cosa fosse un tubo catodico, certamente facevano un ottimo caffè (quando non erano strafatti di assenzio).

Infatti, secondo l`illuminismo, la ragione si contrappone alle credenze immaginarie ed a quelle legate alle superstizioni ed all`irrazionalità.

Ci sono voluti quei 3-4 secoli, ma - alla fine - anche la Repubblica italiana si e` dovuta arrendere al prevalere della ragione.

Lo sottolinea la Corte di Cassazione (scusate se e` poco) in una sentenza del 13 novembre 2006 della V Sezione penale con la quale afferma che non e' passibile di condanna penale l' 'auspicio' o la 'previsione' che qualcosa non andrà a buon fine. In questo modo la V Sezione penale ha cancellato la condanna per minaccia inflitta ad un 30enne, Alex R., per aver inviato sms attraverso il telefono cellulare ad un'amica nei quali diceva appunto che la sua attività di barista non sarebbe andata bene. Per avere appunto 'messaggiato' l'amica con il testo di un sms che recitava ''Ignorante farai la fine di tuo padre, tanto non vai avanti con il tuo baretto, perderai tutto illusa'', Alex R. era stato condannato dal giudice di pace di Genzano, marzo 2005, a 350 euro di multa per il reato di ingiurie e minacce continuate all'amica Luana C.. La giovane ha presentato ricorso in Cassazione chiedendo clemenza. E piazza Cavour, almeno in parte, ha cancellato la condanna sottolineando che il portare jella non costituisce reato.

Alessandro R., appellandosi alla clemenza della Corte, se la cavò pagando una multa di 337 euro invece dei 350 inflitti in primo grado.

A distanza di neppure due anni, sempre la Suprema (Corte), trae la logica conseguenza di tale premessa: non esistendo, non avendo ragion d`essere la jella ne consegue che non hanno motivo di esistere quegli atti tradizionalmente e secolarmente destinati a respingere il malocchio.

A volte la realtà supera la fantasia.

Vi sarà capitato innumerevoli volte, cari lettori, di compiere un'ispezione, diciamo così cautelativa, per controllare che i gioielli della corona (`lunga vita alla Regina`) fossero proprio al loro posto e non avessero subìto una momentanea trasmigrazione. E chissà quante volte sarà capitato a voi, care lettrici, di cogliere in fallo (perdonate il gioco di parole...) mariti, fidanzati o qualsiasi altro essere umano di genere maschile (o simile) compiere il "vile" e "proditorio" gesto davanti ai vostri occhi esterrefatti da cotanto oltraggio.

Ebbene... finalmente questa terribile piaga sociale sarà debellata.

A suon di multe, si intende, grazie ad una lungimirante sentenza della Terza sezione penale della Corte di Cassazione. Già, perché grattarsi i genitali (anche se solo a fine scaramantico!!) è reato in quanto il gesto è "un atto contrario al decoro e alla decenza pubblica".

Tutto è partito da un povero operaio di Como, reo confesso di aver dato "una sistematina" ai reali gioielli di famiglia, e condannato al pagamento di una multa di 200 euro e ad un'ammenda di 1000 euro. I giudici hanno sentenziato che "il palpeggiamento dei genitali alla presenza di terze persone sia una manifestazione di mancanza di costumanza e di educazione in quel complesso concetto di regole comportamentali etico-sociali". Pertanto, passibile di condanna (Cass.sent. n.8389 del 25 febbraio 2008).

Ecco, a questo punto, care lettrici e cari lettori, vi sarete pienamente convinti che il Vostro rifugga, aborra tali riprovevoli speculazioni pagane che aggiogherebbero alla (mala-)sorte le nostre vite.

Ebbene, chi sono io per deludervi? Potrei mai – oramai mi conoscete – peccare d`orgoglio? Certo che no.

Vedete, dovreste sapere – e, se non lo sapete, ve lo dico io – che anche il Vostro indulge ad un atto scaramantico: uno solo, ma indulge.

Io, ebbene si`, cerco di capire come andra` la giornata che mi accingo ad affrontare, basandomi sulla... taglia del guidatore del bus.

Da anni sono un fiero utilizzatore dei mezzi pubblici. Prima per il problema del parcheggio, poi per risparmiare la benzina, ora perche` - a fondo di soldi – non ho rinnovato l`assicurazione.

Nel tempo, razionalista osservatore ed osservatore razionalista come sono, ho notato che sovente la sorte delle mie giornate – in un senso, ma anche in quell`altro – e` inevitabilmente segnato dalla taglia del guidatore.

Dovete considerare che io intendo il viaggio in pullman (o in tram, in metro, o quello che volete voi) come una metafora della vita: di certo ci sono la partenza e l`arrivo, la nascita e la morte (AAAAHAH: lo vedete che anche voi state controllando se i gioielli della corona sono al loro posto?) ed allora non vi sembra piu` che logico, piu` che umano, piu` che quello che volete voi volersi affidare a qualcuno che vi faccia sentire tranquilli, che vi infonda fiducia, che vi culli?



Dunque, mettetevi comodi, allacciate le vostre cinture di sicurezza, spegnete il cellulare e seguite il mio ragionamento.

Vi affidereste voi ad “un vecchio parvo, bianco per antico pelo” che aprendovi le porte del bus vi gridi: “ Guai a voi, anime prave!” (III, 82-84)? Certo che no! Beh, nemmeno io!

Ed ancora, vorreste voi che il vostro autista abbia “occhi di bragia” e che col remo batta “qualunque s`adagia” (III, 109-111)? certo che no! Beh, nemmeno io!

Ecco, per fortuna il Gruppo Torinese Trasporti (GTT, per gli intimi) opera un minimo di selezione, che e` si` selezione, ma pur sempre minima, per l`appunto.
Insomma ed in buona sostanza, e` pur vero che di fatto siete voi, siamo noi i passeggeri a dover distinguere il buon guidatore da cattivo guidatore.

Ed io sono qui per aiutarvi.

Ora, dovete sapere che esiste una profonda e fondamentale differenza tra l`autista magro e quello grasso.

Quello magro e` ligio al dovere, coscienzioso, rispettoso del codice della strada, persino gentile ed ossequioso.

Se vede una signora anziana che tarda ad arrivare alla fermata l`aspetta paziente; non corre indisciplinatamente mettendo in periglio la vita dei passeggeri (se necessario mette le luci di posizione, tira il freno a mano e scende per aiutare il poverino); prende le curve con la dovuta calma onde evitare che i passeggeri in piedi perdano l`equilibrio (e Dio solo sa quanto bisogno c`e` d`equilibrio); quando vede, ma anche solo avverte, immagina che arrivi il giallo, prudentemente e giudiziosamente rallenta e sosta un cinque metri (non un centimetro in piu`, ma, per certo, neppure uno in meno) delle strisce pedonali: e` ben possibile che egli si fermi prima che sia scattato impietosamente il rosso, ma, questo e` sicuro, giammai dopo che l`imperioso semaforo imponga a qualunque cosa sbuffi (persona o veicolo) di bloccarsi.

I peggiori, poi, sono quelli magri magri, quelli segaligni: pur avendo la precedenza, sono disponibili a cederla, sia a destra che a sinistra. Qualcosa non solo di illogico, ma che vi fara` arrivare in ritardo ovunque dobbiate andare.

Di tutt`altro stampo e` il guidatore grasso.

Il guidatore grasso e` allo stesso tempo arrogante e svogliato, guida perche` deve guidare, ma avrebbe mille altre cose da fare (prima fra tutte prendersi un caffe` corretto a colazione per trovare l`ispirazione e giuocare la schedina).
La sua divisa e` in assoluto disordine: cravatta stazzonata e coperta di macchie di sugo rappreso, immancabilmente sbottonata in modo da mettere in bella mostra la canotta traforata, il petto generosamente villoso e la chincaglieria ciondolante e tintinnante in rigoroso finto oro 18.cappa. Il bordo dei pantaloni eternamente rimboccato per far vedere il calzino corto. L`ascella pezzata di sudore.



Quando vede arrivare il giallo, anche lui rallenta, ma solo per sgranare la quarta, lasciare un solco sull`asfalto, pigiare fieramente sull`acceleratore ed attraversare l`incrocio tra grasse risate (le sue).

Quando vede qualche vecchietto in ritardo alla fermata, anche lui rallenta, indugiando aspetta che il tapino abbia alzato la gamba gonfia di vene varicose, ma solo per richiudere le porte e sgommare via. Il tutto condito dalle immancabili grasse (risate).

Le curve sono, per lui, una sfida, una provocazione, un insulto alla sua intelligenze: non vi e` - o, comunque, per lui non vi e` alcuna ragione ragionevole per rallentare, scalare la marcia ed assicurarsi che nessuno si faccia male. Anzi!

Se vede salire qualche passeggera carina si abbandona a lazzi e schiamazzi e battute di indubbia (grassa) volgarita`.

Ora, non si pensi che arrivato il capolinea il grasso guidatore indulga oltre il tempo massimo di sosta che gli e` concesso per fumare: nooooo, lui fieramente e spavaldamente (persino irridente-mente ed arrogante-mente), alternando una prepotente arroganza ad un'arrogante prepotenza, fuma al suo posto di guida!


Ora, siate sinceri (non tanto con me, quanto con voi stessi): se e` vero che il viaggio e` una metafora della vita, a chi vi affidareste?

Io, per quel che conta, non ho dubbi: al secondo, al guidatore grasso!

Suvvia, se la vita e` una sola, preferiste veramente annoiarvi o non vi garberebbe, piuttosto, il brivido dell`imprevisto e qualche pazzia?

Fate un po` voi....

PS: dovete sapere, cari lettori e care lettrici, che anni addietro mi trovai a svolgere codesto sottile ragionamento ad un mio amico all`aeroporto di Roma.

Al termine egli mi guardo, sospiro` e mi disse che ero un pazzo.

Nel dirlo si volto`, ci voltammo perche` la nostra attenzione venne attratta da un signore veramente grasso dall`aria d`autista che stava bellamente fumando un toscano, un enorme toscano (in aeroporto!) proprio sotto un mega cartello che in caratteri cubitali recitava: VIETATO FUMARE

L`amico non pote` fare a meno di guardarmi ed ammettere (ma credete ce ne fosse bisogno?) che avevo ragione).

NON e` una storia di pura invenzione.
Nel racconto SI FA riferimento a fatti e persone REALI.


martedì 21 luglio 2009

33. Sono ceneri ... non forfora!



Tema

Nella ricerca del lavoro bisogna confidare negli amici: è una politica che dà i suoi frutti, anche se si deve imparare a distinguere gli ‘amici’ dagli ‘amici’.

Svolgimento

Non se alcuni di voi ricorderanno Droopy.
Droopy era un curioso personaggio dei cartoni animati di quando eravamo piccoli, di quando alcuni di noi erano piccoli, per quelli che sono stati piccoli.

Era uno strano personaggio che, qualsiasi cosa gli succedesse, restava perfettamente impassibile: attraversava ogni sorta di avventura, disavventura, gioia, dolore assolutissimamente imperturbabile. Sempre a spalle basse, occhiaie sotto gli occhi che avrebbero meritato una targa per ‘carichi sporgenti’, sempre flemmatico.

Anni fa ho avuto l’avventura (nella sua accezione latina) di lavorare per una casa editrice, come si dice… come si dice, ah, sì, per una `primaria’ casa editrice universitaria (non chiedetemi di fare nomi, avrete notato che cerco di difendere l’anonimato di tutti – protagonisti e comparse – delle mie nius e, certo, anche questa volta non voglio e non posso essere da meno).

Dicevo, ah, sì, ebbene, lavoravo in codesta casa editrice dove, l’ho imparato solo dopo due anni (avrete già capito che il Vostro non è esattamente un fulmine a ciel sereno, quello che si direbbe un ‘lampo di genio’), la cosa migliore da fare era non fare: l’unico modo di andare avanti era restare immobili, perfettamente immobili.
Chi aveva un qualsivoglia idea veniva severamente punito: chi aveva la dabbenaggine di proporre una qualunque idea – giusta o sbagliata – era costretto a confrontarsi con la – chiamiamola – dirigenza col risultato di rimpiangere di non aver subìto, precedentemente, una lobotomia.

Io, un po’ per tirare avanti un po’ per non riportare troppi danni, mi guadagnai sul campo il titolo di ‘muro di gomma’ e la quasi irraggiungibile onorificenza di ‘mister quite man’.
Di fatto avevo come l’impressione di essermi calato nei panni di Benjamin Malaussène, assunto – guarda la combinazione – quale capro espiatorio nei romanzi di Pennac.

Quando, poi, al terzo anno, l’ambiente dell’ufficio si rese irrespirabile, sfruttai il privilegio delle trasferte e, ‘costretto’ da forza maggiore’, dovevo congedarmi dalla peraltro inutile riunione del lunedì mattina per prendere il treno che mi avrebbe portato in Toscana, per far ritorno docile all’ovile il giovedì sera, con variante venerdì mattina.


Non si può dire che il contesto dei colleghi fosse particolarmente, come dire, ah, ecco ‘motivante’.

Insomma, c’era il collega che continuava (lo fece dal mio ingresso sino a quando me ne andai) a lamentarsi dell’azienda e dei titolari in particolare, ma sempre pronto a scattare sull’attenti ed a mettersi il cappello da chauffeur quando si trattava di andare a prendere il capo all’aeroporto (a qualsiasi ora, con qualsiasi ritardo); c’era l’altro collega che, se il piccì non avesse risposto prono ai suoi comandi, a scagliare il mouse attraverso la stanza accompagnandone il volo con vari improperi intonati a squarciagola (questa fu il benvenuto che mi tributò il secondo giorno: nessuno dei presenti in stanza sembrò particolarmente turbato ed io, timoroso ed appena impressionato, mi adeguai) o che dava fuori come un grillo se qualcuno aveva l’ardire di mettere in orizzontale le guide che lui aveva faticosamente messo in verticale.

Insomma, l’andazzo era questo.

Restava la consolazione della macchinetta del caffè e di una sigaretta di tanto in tanto, se non altro per smorzare le lunghe attese: in realtà - chi non fuma non ci crederà, mentre i tabagisti mi capiranno al volo con un “è vero!, è vero!” - sovente si fuma per ingannare l’attesa o per rifugiarsi nella zona fumatori solo al fine di sfuggire allo sguardo vigile (non era questo il mio caso, nel senso di ‘sguardo vigile’) del capo; la colpa non è nostra: è loro!



Per fortuna qualche collega col quale scambiare due, quattro, a volte persino sei parole c’era, e Droopy, con la sua flemma, la sua imperturbabilità, le sue occhiaie era uno di questi.
Anche lui godeva (‘godeva’?) di un mitico contratto a progetto, ma se non altro, invece di lamentarsene, cercava di sfruttare quegli spiragli che questa forma di contratto permetteva, soprattutto sugli orari di lavoro.
A volte pensai che la sua astuzia fosse degna di un perfetto impiegato della P.A.: arrivava in ufficio, posava la giacca in perfetto tweed sullo schienale della sua sedia, accendeva il piccì, faceva un giro di saluti nei vari uffici, prendeva un caffè alla macchinetta (del caffè, appunto) e PUFF spariva.

Ogni tanto mi capitava di incontrarlo sotto i portici del centro e, sinceratomi che non vi fosse qualche novità sconvolgente nel (mio ex) ufficio, ci si offriva un caffè.


Alla fine dell’anno scorso mi confidò di essere preoccupato perché, invero come tutti gli anni in prossimità delle feste natalizie, la titolarità della suddetta azienda (è inutile che insistiate, non vi dico qual’è) paventava nuovi tagli.

La tattica era consolidata da una decennale esperienza: piangere miseria sugli utili per non concedere rinnovi contrattuali e, tanto meno, aumenti di stipendio. Senza contare che, per onorare le feste i titolari erano soliti girare il mondo e, come, si sa, in tempi di crisi, bisogna pur rinunciare a qualcosa. Per loro si trattava di rinunciare a qualche collaboratore e, seppur controvoglia, a non concedere i tanto auspicati aumenti.
Si vedeva, era palese che a loro stringeva il cuore, d’altra parte, dal loro punto di vista, il ragionamento non faceva una grinza.

E sicuramente i loro viaggi in Africa, Australia, Yemen erano un modo, per loro certamente doloroso, per non farsi vedere sofferenti e dolenti per le dure decisioni che pure un capo – per essere tale – deve prendere.

Per questo un capo è un capo!

Comunque questa volta hanno fatto sul serio.

Verso marzo venni a sapere che il buon Droopy era stato privato, nell’ordine: del cellulare aziendale, della scrivania aziendale, del piccì aziendale, della carta di credito aziendale. Eppure – qui capirete cosa vuol dire la bontà d’animo – continuava pur sempre a far parte della grande famiglia.

Ma Droopy non si perse d’animo e, coltivando i rapporti che aveva maturato nell’arco di una vita, vide di farsi venire in mente una qualche idea geniale.

E così fu!

Lo incontrai una volta per un caffè in quel di aprile e mi disse che aveva in animo di organizzare convegni, chiedendomi se fossi disponibile ad aiutarlo.

“Beh, Droopy, certo: in fondo è quello che ho praticamente sempre fatto”.

Dopo questa avance, tuttavia, non ne seppi più nulla.

Fino a quando, a fine maggio, ricomparve con la scusa di prendere un caffè per dirmi che aveva dato seguito al progetto dei convegni dei quali mia aveva accennato, ma che aveva bisogno di una mano per la bozza del convegno e per le banche dati.

Devo essere sincero (non lo sono sempre con voi?) in un primo tempo rimasi un attimo male: avevo come la sensazione che avesse dato inizio l’avventura da solo e che solo ora, avendo dei problemi, chiedesse il mio aiuto.

Poco male, mi dissi: 1) anzitutto si tratta di dare una mano ad un amico che ha bisogno, e gli amici vanno sempre aiutati: gli amici si vedono nel momento del bisogno!; 2) mi permette di impegnare utilmente parte del mio tempo; 3) cerco di rimettere in moto le piccole cellule grigie; 4) faccio qualcosa che mi piace; 5) non è detto che me ne arrivi qualcosa in termini economici (per poco che sia…); 6) se le cose dovessero andare bene questa volta potrebbe essere l’inizio per una collaborazione.

I pro erano superiori ai contro delle mie perplessità e mi dichiarai disponibile ad aiutarlo.

Il tutto aveva un che di carbonaro, di massonico perché non voleva che la cosa si sapesse troppo in giro.
Certo, mi sfuggiva il nesso, considerando che già il contratto co.co.pro. che lo legava alla società era ancor meno vincolante di un tempo; ma, in fondo, mi dissi, erano questioni sue, quindi stetti al giuoco: tra massoni e carbonari ci si intende, l'omertà è d'obbligo!

Ancora una settimana di silenzio, quando vengo raggiunto da un trillo al mio cellulare:

26 maggio ore 14.57.55 con sms Droopy scrive:
ci vediamo per un caffè alle 15.45 bar Abrate vicino negozio vodafone via Po?

Ma Droopy non è mai stato famoso per la sua puntualità, tant`è che mette le mani avanti e

26 maggio ore 15.17.44 con sms Droopy scrive:
più facile 10 minuti dopo che prima

Al bar Droopy ci scappa un caffè, mi illustra il progetto e, da subito (lo vedete che quando voglio ci arrivo?), capisco che, effettivamente, qualche problema c’è: il convengo è previsto per il 22 giungo e, praticamente, ha ancora fatto nulla. Insomma, il tempo passa ..
Gli do alcune indicazioni su come gestire in così poco tempo il marketing (tipo stampare brochures, mettere le mani su banche dati di avvocati, fare un mailing tramite interdette, …) e, già che ci sono, cerco di dare un senso alla bozza di programma che mi presenta.
Se non altro, e non è cosa da poco, ha i relatori.

Grato dell’aiuto Droopy mi rassicura che, sicuramente, qualcosa ci sarà anche per me.
Ovvio che, gentleman come sono, non gli chiedo di quantificare: ma, cari amici lettori, sono o non sono un signore?

Per esagerare, un sabato mattina gli creo un data-base di consulenti del lavoro della provincia di Torino che potrebbe essergli utile.

Di nuovo silenzio. Mi sembra strano questo silenzio, ma, come si dice “Niente buone, buone nuove”.

Nuovo incontro il 10 giungo, altro caffè, questa volta in piazza Vittorio, dove orgoglioso, Droopy mi fa vedere le locandine.
“Buono, bene, braaaavo! – gli dico – adesso si tratta di andarle a mettere, che ne so, al Palagiustizia, all’ordine degli avvocati, magari nei bar vicino al tribunale, …”.
L’idea gli sembra geniale e me ne compiaccio, congratulandomi con me stesso medesimo.

Sull’euforia del momento gli dico che, se avesse bisogno di un aiuto, beh … ci sono io!
Visti i tempi stretti mi permetto sommessamente di suggerirgli di darmi il materiale l’indomani mattina.

L’indomani mattina nessuna traccia di Droopy, ma, mi dico, “sarà un buon segno, se dorme ancora vuol dire che è tranquillo di come stanno andando le cose".
Magari si sarà fatto aiutare da qualcuno per il volantinaggio.

Ma, l’indomani pomeriggio vengo raggiunto da un essemmesse:

11 giugno ore 16.11.30 con sms Droopy scrive:
sei impegnato?

11 giugno ore 16.31 19 con sms Droopy scrive:
se ti è comodo se no la roba te la do` domani mattina

Non so se mi lascia l’alternativa per gentilezza nei miei confronti (in fondo, non avendo sue nuove sino al tardo pomeriggio, potrei aver avuto altro da fare) o perché è lui che ha degli impicci.

Rifuggo questo secondo tutt’altro che nobile pensiero del quale subito mi vergogno, mi dolgo e, già che ci sono, mi biasimo e gli offro la disponibilità per l’ancor più tardo pomeriggio, in via Po, dimodochè (si può anche scrivere tutto attaccato) sia per lui più comodo.

Ci vediamo, mi offre un nuovo caffè, mi consegna locandine e brochure e mi chiede la disponibilità per lunedì 22 p.v. (che, poi, sarebbe giungo).
Mi sembrava strano che non mi avesse ancora chiesto di partecipare al culmine di tanto impegno, al climax, ma mi permetto di fargli notare che, non avendo avuto sue indicazioni prima, avevo la possibilità di fare nientepopodimeno (oggi scrivo attaccato tutto quello che mi pare) il segretario per le elezioni di ballottaggio con tanto di referendum.

“E’ un dovere civico – gli dico, cercando di far leva sul suo amor patrio -, ma, soprattutto, sono palanche sicure: poche, ma sicure”.
Droopy non vuol essere da meno, ve l’avevo detto o no che è un signore. D’altra parte quante altre persone conoscete che in pieno torrido giugno se ne vanno in giro con giacca di tweed?
Ed, infatti, gioca a fare il prodigo, il grandioso, il munifico (in Romagna si direbbe ‘lo sborrone’) e rilancia: “ah, ma certo che anch’io ti do qualcosa…”.
Mi sembra di basso profilo chiedergli “Quanto?”, mi sembrerebbe di vendermi al miglior offerente, e, quindi, ripiego su un più signorile: “Sai, al seggio dovrei prendere circa 120-140 euro …”.
Droopy resta un attimo interdetto e si lascia scappare solo un “Ah, …però, ….”.

E, da perfetto lord, evita sì ogni commento su tutti quei soldi rubati allo Stato, ma è anche vero che non precisa nessun importo.

E quest`oggi non ci scappa neppure un caffè.

Inizio a pormi un dubbio: non sara` che tutti questi caffè mi stiano facendo venire la gastrite?



L’indomani, mancano giusto una manciata di giorni lavorativi al grande evento, il mio cellulare ritritrilla con fare preoccupato:

12 giugno ore 08.27.43 con sms Droopy scrive:
ciao. Ieri ho mandato mail a società segnalata. Quando recall per sapere se hanno ricevuto e letto? Oggi o lunedì?

Ma, passa giusto un’ora che mi arriva un altro messaggio:

12 giugno ore 09.53.32 con sms Droopy scrive:
se vai al palag vai tu cons ordine con brochures e locandina? Ieri era già chiuso (12.30). se non hai brochures chiama. Volevo metterne un po’ nelle caselle del c.a.t. ma non si potrebbe. Quindi se entri subito sin dopo la reception non chiedere ma infilale nelle buche se non ritieni sia controproducente

E’ proprio vero che chi mi conosce mi apprezza e non può fare a meno di me!

A questo punto, volendo essere d’aiuto sino in fondo – considerate che avevo appena vagamente intuito che, forse ma forse, non avrei visto neppure l’ombra di una palanca – mi offro di andare, comunque, al Palagiustizia.

(Per sapere quello che mi è successo, vi rinvio a 21. Segni particolari: vegetariano in attesa di giudizio).

Lo comunico con imeil al Droopy, precisandogli che, nonostante tutto, avevo provveduto a volantinare e tappezzare in ogni dove di locandine e lui si rifà vivo il giorno dopo con una imeil (certe comunicazioni vanno meditate e sono più appropriate di un banale essemmesse o di una volgare telefonata)


----- Messaggio inoltrato -----
Da: "xxx@xxxxxxxxxx.it"
A: romolo griffero
Inviato: Sabato 13 giugno 2009, 15:43:31
Oggetto: re: indagato a piede libbbbero

Cavolo mi spiace, almeno un lato positivo c'è...i
controlli funzionano! A parte il tuo probabile vaffa...fami
sapere sviluppi.
Al Consiglio dell'ordine hai lasciato? Ti avevo mandato sms
per chiedertelo ma forse tu eri già faccia al muro...
Ci sentiamo per lunes...



Ah, è proprio vero che signori si nasce, noblesse oblige!

Confesso che non riuscii a capire se fosse preoccupato per la mia sorte (si sa quanto può essere brutale la polizia quando vuole, ed anche quando non vuole) o per il timore che, nell`ordine 1. avessero sequestrato il materiale 2. che mi avessero arrestato prima che avessi tappezzato tutto il Palagì di locandine




Resterò con questo dubbio anche perché, se è vero che il – cito – “lunes” successivo sarebbe stato il 15, ma il Droopy riemerge dalle nebbie (anche a giugno può capitare la nebbia, raramente, ma può capitare) solo il 19 quando mi ritritritrilla il cellulare (ahò, ma mai che osi una telefonata il D.)

19 giugno ore 08.21.17 con sms Droopy scrive:
dove sei finito? Ti hanno arrestato? Chiama! Dobbiamo metterci d’accordo per lunedì!

Sabato 20, domenica 21 e lunedì 22 ero al seggio e qualcosa ho guadagnato.





Mi spiace dovervi lasciare con una storia senza finale, ma il Droopy non si è più fatto vivo, ed io non so dirvi com’è andato a finire il convegno e, quindi, non riesco a dare una fine a questo racconto.


Confido nella vostra indulgenza, mi cospargo il capo di ceneri (non è forfora)!

NON e` una storia di pura invenzione.
Nel racconto SI FA riferimento a fatti e persone REALI




mercoledì 15 luglio 2009

32. Dieci idee semplicemente ... geniali!


Da mesi, ormai, cerco in ogni modo di trovare un lavoro, riesco persino, a fare dei colloqui, ma… niente!

Ho deciso che l’unica soluzione è farsi venire qualche idea per venirne fuori.

Ne ho trovate 10, che vi sottopongo.

ps: nel post in fondo alla nius potete inserire preziosi commenti e suggerimenti.




1. l`affittacamere (per la serie `finché ho una casa - mica per tanto-, tanto vale farla rendere)


Ho pensato che potrei affittarla ad una squillo.

L’idea non mi sembra malaccio, ma c’è sempre l’ipotesi che i vicini protestino e, si sa, le liti di condominio sono snervanti.
Certo, c’è la possibilità di… conciliare con alcuni condomini, ma, poi, la voce si sparge e se tengo i vicini a bada, è anche vero che sarebbe tutto tempo sottratto ai clienti.

Bisogna trovare un’altra soluzione: gli immigrati!
I vicini mi sembrano buone persone, alcune frequentano la chiesa. Potrei giocare un po’ sul senso di solidarietà, sulla globalizzazione, sull’opportunità di erigerci a baluardo contro il regime di intolleranza che sta dilagando nel Paese.


Allora, ragionate con me: in casa potrei piazzare una decina di letti, ma – e qui è l’idea geniale – se fossero letti a castello – potrebbe esserci posto per una ventina di… pensionanti.
Ancora, tenetevi forte: imponendo rigidi turni di 8 ore, ci sarebbero una sessantina di pensionanti.

Non solo, seguite, ve ne prego, il ragionamento: gli extra-comunitari sono qui per lavorare e, come si dice: “chi dorme non piglia pesci!”. 6 ore sono più che sufficienti.

10 persone a turno per 4 turni di 6 ore = 80 persone.

E, finora, abbiamo parlato genericamente di extracomunitari.

Ma se gli extra-comunitari fossero cinesi?
Considerate con me e mente priva di pregiudizi: i cinesi sono tutti uguali, per cui i vicini non si insospettirebbero. Li faccio vestire tutti allo stesso modo e dico ai vicini che è una sola persona!

Non solo: i cinesi sono più piccoli, quindi ce ne starebbero di più!!!

L’unico rischio sarebbe prendere in casa cinesi che sanno leggere: niente di peggio che trovare dei libretti rossi sotto i cuscini ed in bagno!!!

E, poi, si sa che i cinesi sono oltre un migliardo, pardon, miliardo: se decidono di fare un salto tutti insieme nello stesso momento, beh, sono acidi per tutti.

Considerate che il soffitto è abbastanza alto, potrei mettere letti a castello con 3 letti: ma io non voglio sembrare esoso!




2. l`incidente d’auto


L’altro giorno stavo per essere investito da una signora che usciva in auto da un portone.

Solo il mio innato e primordiale istinto di conservazione mi ha fatto fare un doppio salto mortale, carpiato con doppia rotazione all’indietro (ero un po’ stanco ed avevo mangiato pesante, per cui non ho potuto fare di meglio) e, tra gli applausi, sono ritornato a terra ed ho continuato a passeggiare.

“Ma – ed è qui che si vede il vero ‘bravo disoccupato’ mi sono detto -, che stupido che sono: perché non farmi investire a bella posta?”.

Certo, c’è il problema di essere sicuri che l’investitore sia coperto da adeguata assicurazione (non avete idea di quanta gente circoli senza copertura assicurativa), e, poi, sarebbe opportuno procurarsi dei testimoni (ma ve ne sono alcuni che garantiscono testimonianze attendibili a modico prezzo, mi sono informato) cui dare una percentuale.
Inoltre si deve essere certi che l’auto investitrice abbia dei freni in buone condizioni, perché non mi faccia troppi danni.

D’altra parte è pur vero che, oltre a chiedere il risarcimento del danno fisico, ci sarebbero i danni morali e biologici per la depressione nella quale cadrei perché da disoccupato, non potrei cercare lavoro.

Ne ho parlato con un paio di amici avvocati, i quali mi hanno detto che potrebbero esserci gli estremi per il reato di truffa alle assicurazioni.

Santo cielo, quanto fanno i difficili e i pessimisti: solo perche` non l`hanno avuta loro l’idea geniale!

Insomma, ipotesi da approfondire nei dettagli, ma da non scartare a priori.





3. il “ghe pensi mi!”

Sempre più spesso sento amici che, dopo anni di vita coniugale, si lamentano e mi confidano “Non so cosa darei per una serata tranquilla, con una birra a vedere una bella partita di calcio, o a leggere il tredicesimo volume dell’enciclopedia britannica: da quando mi sono sposato non riesco ad andare avanti!”.

Ecco, cari amici, siete stanchi, volete passare una serata tranquilla dopo il faticoso lavoro quotidiano, ma vostra moglie ha ancora degli istinti famelici manco foste ancora fidanzatini? GHE PENSI MI!”.

Posso fornire certificato medico di sana e robusta costituzione, sono pulito ed educato, scusate se è poco!

ps: potrei prevedere sconti (da concordare) per amici e per abbonamenti




4. l`esperto di colloqui

Non lasciatevi trarre in inganno dalla semplicità della qualifica.

Da mesi, oramai lo sapete, mi sto districando in una rete di colloqui di ogni genere e vado accumulando una certa esperienza.

Certo, lo so, esistono dei corsi specifici per imparare a selezionare.
Ma io vado oltre.

Anzitutto, chi è in grado di valutare i selezionatori? Ce ne sono di bravi e di meno bravi, ce ne sono di volenterosi e votati alla selezione della razza ed altri che lo fanno di malavoglia.
Io ritengo di essere in grado di valutare gli esaminatori: questa potrebbe essere una opportunità tanto per le aziende quando per coloro che intendono rispondere ad un’offerta di lavoro.

Non solo e di più.

La delazione, questa pratica tanto ingiustamente vituperata.
Gli esaminatori forse non sanno quanti suggerimenti e giudizi si scambino chi partecipa ad una selezione in assenza dell’esaminatore. E, per certo, un’azienda non vorrà assumere chi parla di loro male, chi, persino, li denigra: certo che no!

Ecco, io, forse anche per la mia età e per i miei capelli appena appena brizzolati, induco coloro che incontro ai colloqui ad aprirsi, a dire quello che realmente pensano.

Insomma, per il sommo bene dell’industria capitalista, io sono pronto a mettermi al servizio dei grassatori della masse operaie.

Avrò sempre tempo di leggere Marx, Engel e le vignette di quel comunista di Vauro nelle pause pranzo: insomma, rimango rivoluzionario ... part time!




5. il `prenota parcheggi`


Quante volte, soprattutto andando in centro, non avete trovato un parcheggio? Girate in tondo a vuoto per ore ed ore ed intanto il film che, magari, volevate andare a vedere non solo è iniziato, ma è anche finito; gli amici che vi aspettano se ne sono andati, il vostro compagno/la vostra compagna in auto è diventata come un puma in gabbia, …


Ecco, io potrei, con una semplice chiamata, accettare prenotazioni anche con un paio di ore d’anticipo. Vado nelle vicinanza del cinema, ristorante, … dove dovete andare e, appena si libera un posto, ve lo tengo occupato.

L’idea è meno stupida di quello che vi può sembrare: di certo ve ne ricorderete la prossima volta che cercherete parcheggio e vi direte “Ah, se solo…”.





6. le tre carte

Erano anni che non ne vedevo, ma l’altro giorno, nei pressi di Porta Nuova, mi sono detto “ccoli lì, ma dov’erano finiti?”.
Si spostano sotto i portici, alternativamente, tra l’angolo tra via Sacchi e c.so V.Emanuele e tra quest’ultimo e p.za Carlo Felice

Li potete trovare lì per ore ed ore, pronti ad elargire manciate di felicità: altro che social card, PFUI!!!

Ieri c’era il solito signore che armeggiava con le tre carte, facendole mulinare da una parte a quell’altra, con un’esasperata lentezza che io ancora mi chiedo come facesse quell’anziano davanti a lui a non indovinare.

Non solo con tre carte ha il 33,3% possibilità di indovinare, ma basta prestare un minimo di attenzione che quello lì lo freghi facile facile. Giuro che a volte ho creduto che facesse il suo giuoco tanto lentamente solo per far vincere l’anziano signore. Insomma, non poteva non vincere, io ce lo dicevo.

Ad un certo punto, infatti, gli altri intorno mi hanno fatto i complimenti e mi hanno invitato a giuocare, ma io non avevo che 5 euro nel portafoglio.

Ma adesso devo ritirare i soldi che ho guadagnato per aver fatto lo scrutatore e state certi che li vado a giocare: spero solo di trovarli e che mi facciano giuocare!





7. sposare una 90enne (... straricca)



L’idea mi è venuta da una amico che sta mettendo a frutto l’ozio estivo conoscendo ragazze in chat; è un maestro: le contatta prima per chat poi per telefono, le incontra e, beh, vi lascio immaginare.

Ora, io mi domando e dico, perché conoscere delle semplici ragazze, carine finché si vuole, disponibili finché si vuole, ma per un… mordi e fuggi?

Ecco, la mia idea è conoscere tramite chat una 90enne (tanto il mio amico mi spiega come fare), conoscerla, sedurla eeeeeeeeeeeeeeeeeBBAAAAMMMM ereditare.

Tanto a 90 anni non credo proprio abbia pensieri lascivi, si tratterebbe di un amore platonico, puro.


Come, ci sono tra voi persone che dubitano di quest’idea: non mi ritenete capace di sedurre una femmina? Sarete bravi voi, ma laciatemi stare le 90enni.





8. redigere una guida ragionata dei caffé (e dei relativi bagni)

Da mesi peregrino per la città, un modo come un altro per non stare in casa, per tenermi impegnato, cercare lavoro (internet point, annunci nelle vetrine, biblioteche).

Col tempo ho acquisito una certa familiarità coi caffè: sia per prendere qualcosa di caldo d'inverno, sia per... andarmi a pettinare.

Insomma, ritengo a ragione di essere divenuto uno dei massimi esperti in città non solo per quanto riguarda la bontà dei caffè, ma anche per definire il miglior rapporto qualità/prezzo e per indicare quali sono le toilettes più consigliabili (le più e le meno pultite, quelle con trono o alla turca, quelle con musica).

Invero, forse non tutti sanno che tutti i bar devono per legge consentire l'uso dei servizi anche per chi non consuma, ma si sa, la buona educazione piemontese impedisce di chiedere dove sia il bagno se non si è clienti.
E allora: dov'è che il caffè costa solo 75 cents, dove persino 70 (ma solo al banco), dove 1 euro, ma con bicchierino di selz (e dove senza)?

Ed ancora, dove i bagni vengono puliti ad orari regolari, dove solo quando è sporco, dove quando è troppo sporco, dove quando se ne ricordano (e possono passare giorni)?

Io ve lo so dire. E l'informazione è utile non solo per i residenti, gli autoctoni, gli indigeni, ma anche, se non soprattutto, per i turisti. Un servizio, quindi, che potrebbe tornare utile anche per le pro-loco e per gli alberghi

E, da ultimo, in quali serrvizi potete andare senza preoccuparvi di non avere da leggere se avete dimenticato le parole crociate?

PS: vedi (*) in fondo alla lettura troverete il murales più curioso che abbia avuto occasione di leggere.




9. vendere un occhio (o, in alternativa, un rene)

Vendere un occhio o un rene non è un’idea bislacca come potrebbe sembrare.

Lo sarebbe vendere un naso: ne abbiamo solo uno, e poi?

Un occhio o un rene, invece, non si nota, ne abbiamo due, con uno si sopravvive tranquillamente.

E, non solo: i miei reni (un po` meno gli occhi) sono in perfetto ordine, godono di ottima salute.

Sarebbe un affare!




10. la vocazione

Allora, lasciatemi dire, poi e solo poi, criticate.

Dunque, intanto, io ho studiato per la bellezza di otto anni in una scuola cattolica, dei cc.dd. preti laici.

Non intransigenti, duri e puri come i gesuiti.

Ricordo che, avrò avuto 14-15 anni, parlai con uno di loro dei voti, del loro valore, della difficoltà di seguirli.

"Beh, vedi – mi disse – il più difficile è senza dubbio l’obbedienza: per anni stiamo in un posto, poi, da un giorno all’altro, arriva l’ordine di trasferirci dall’altra parte del mondo e noi non possiamo che chinare il capo ed obbedire”. Ma, pensai, non mi sembra malaccio: avevano chiese in Francia ed anche in Brasile ed io già mi immaginavo come dovesse essere predicare a Copa Cabana.
“Quanto alla povertà, beh, non è gran preoccupazione: qualcosa ci viene dall’ordine, qualcosa dai famigliari, comunque non ci mancano i vestiti e la tavola è buona”. Io avevo avuto occasione di mangiare nel loro refettorio e posso garantire che non mentiva.
“La castità, beh, la castità: si fa quello che si può!”.

Qualcuno ha qualcosa da obiettare?




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(*) ecco il murales che vi avevo promesso (n.b. manca l'antecedente; esso si trova in bella mostra nel bagno - per i maschietti - della Biblioteca Nazionale, porta centrale).

Senza i tuoi tazebao stavamo male, che fine avevi fatto? Esaurimento? Surmenage da lavoro? "brunettite" acuta? welcome back my friend to the show that never ends (Vi invito e prego di notare come lo studente sia sin dall'inizio volutamente provocatorio e la metta sulla critica politico-sociologica)

Io sono stato sempre qui a farmi il culo per te, brunettiano di merda, a farmi 1.000 ore di straordinario non pagate, bastardo berlusconiano! Studentello!

(il bibliotacario rispende accettando la sfida: introduce una pesante critica al governo - 'brunettiano di merda', 'bastardo berlusconiano' -, il tema della rivendicazione sociale-sindacale - le '1.000 ore non pagate - e di classe - 'studentello')

I bibliotecari non dipingono i muri ma fanno 1.000 ore di straordinario non pagate per servire voi studentelli di merda! Voi studentelli segaioli e imbrattamuri: siete i veri fancazzisti.

(Il bibliotecario rincara la dose: gli studentelli questa volta sono 'di merda, segaioli ed imbrattamuri' e conclude con un irrisorio e canzanatorio 'fancazzisti', mentre lui ha 1.000 ore di straordinario, per giunta non pagate. Da notare che rimprovera loro di essere 'imbrattamuri quando è lui stesso ad imbrattare gli stessi muri!)
Ecco l'eroe di merda.

(Lo studente riprende a motteggiare il bibliotecario in modo concisio, provocatorio e pungente)

Tu ti sei fatto lavare il cervello dalla propaganda brunettiana, io mi faccio il culo gratis.

(il bibliotecario non intende far passare liscia la provocazione e rilancia)

Per la cronaca: io il cervello me lo sono fatto lavare da Milton Friedman, premio nobel per l'economia degli anni '70, grande ispiratore di Reagan, Tatcher e Pinochet che ci hanno tolto dai coglioni proletari come te.
(lo studente prima sottolinea che lui ha studiato e che la sua critica ha basi riconociute a livello internazionale - il premio nobel - e fa pesare il fatto che lui appartiene ad una classe privilegiata)

Finalmente hai gettato la maschera fascistello spocchioso e stronzo! Tu senza i proletari come me che fanno 1.000 ore di straordinari gratis per gente come te, merda umana, non potresti frequentare questa biblioteca, idiota!

(il bibliotecario ha smascherato, alla fine, il giuoco dello studentello; da personale l'insulto diventa generale - 'merda umana' -; rivendica la lotta di classe - voi siete privilegiati perché sfruttate noi -; ma, decisamente, gli rodono le 1.000 ore di straordinario non pagate. E termina la sua filippica con un liberatorio: 'idiota' sottolineato e rimarcato dal '!')