mercoledì 4 novembre 2009

48. Non fiori ... ma opere di bene (una giornata normale)


"Era il 4 Novembre 1966: dopo 2 giorni di intensa e continua pioggia il fiume Arno rompe gli argini alle 5,30 ed inonda Firenze. Dapprima inonda le strada, poi il livello dell'acqua sale sempre di più fino ad arrivare ai primi piani delle case. L'acqua entra nel Battistero, a Palazzo Vecchio, nel Duomo provocando grandi danni alle numerosissime opere d'arte. Muoiono moltissime persone, il patrimonio artistico (sopra il Ponte Vecchio) è minacciato dalle acque. L'Arno lascerà le strade di Firenze 2 giorni dopo, il 6 Novembre, lasciando la città in una situazione catastrofica. Mancava il pane, l'energia elettrica, la gente non aveva più una casa: l'acqua aveva raggiunto i 4 metri e 92 centimetri . Firenze entra così nel suo periodo più brutto del dopoguerra".

Lo so, lo so …. Mi sembra di sentire alcuni di Voi che si domandano perché questo esordio.

Ed io sono qui per risponderVi.

Vedete, da più di un quarantennio ho preso il vezzo di festeggiare questa data.

Ma perché proprio il 4 novembre del 1966? Avrei potuto festeggiare la medesima ricorrenza facendo riferimento alla battaglia di Johnsonville della guerra di secessione americana (1864), la scoperta da parte di Howard Carter dell'ingresso della tomba di Tutankhamen (1922), la disfatta di Rommel nella seconda e decisiva battaglia di El Alamein (1942), l'elezione di repubblicano DiDì Eisenhower (1952) o di RoRò Reagan (1980) o di Babà Obama (2008).

Ma sì, via, avrei potuto mantenere l’anonimato, ma proprio il 4 novembre, proprio del 1966 nacque il Vostro ed oggi ricorre – con tanto di fanfare, di alzabandiere, di parate militari e cerimonie pubbliche – il Suo anniversario (cioè il ‘mio’; devo dire che mi aggrada ed inizio ad abituarmi e financo compiacermi nel parlare di me in terza persona).

Insomma, quello che si dice un’entrata in scena in grande stile, tanto roboante quanto sotto auspici neppure tanto fausti, con tanto di tuoni, fulmini, lampi, gran tremor di terra, squassi e sconquassi ovunque. Se è vero che ‘il buon giorno si vede dal mattino’, beh, si spiegherebbero tante cose.

Per i primi anni, quando non ero che un tenero frugoletto (ebbene, sì, lo ammetto, anche il Vostro è stato un adorabile bimbo), la ricorrenza mi garbava.

Non che non avessero cercato di spiegarmi che non era festa nazionale in mio onore, ma, si sa, i vecchi dicono un sacco di bugie. Era, tutto sommato, veramente piacevole pensare che tutto un Paese si fermasse in mio onore: se penso che alcuni sono nati il 14 gennaio (nel 1919 nasce Giulio Andreotti), il 1° febbraio (nel 1969 Iva Zanicchi e Bobby Solo vincono il festival di San Remo con 'Zingara'), il 9 marzo (nel 1959 viene venduta la prima Barbie), il 23 marzo (nel 1919 viene fondato il Partito Nazionale Fascista), il 6 luglio (nel 1959 muore George Grosznon) non è che ci sia per loro tanto di che andare fieri.

Ma io ero magnanimo e non amavo menar vanto dei miei privilegi.

Poi, d’un tratto, senza che alcuno mi chiedesse neppure un parere (cosa che sarebbe stata per lo meno doverosa), mi hanno gabbato: mi hanno tolto la festa a favore di una ricorrenza modello 6 gennaio!

[Am]La festa appena incominciata e già fini[Dm]ta
il c[E7]ielo non e più con [Am]noi


Non solo, ma per quello che ricordo, per tutti gli anni delle medie e superiore sembrava che i professori si fossero messi d’accordo per far coincidere proprio col giorno del mio compleanno o con quello successivo vuoi interrogazioni, vuoi compiti in classe.

Decisi, allora, di non festeggiare più il mio compleanno ed iniziai a maturare un sordo rancore, in particolare verso coloro che festeggiavano il proprio anniversario il 6 gennaio e che, da allora, si facevano bellamente e spavaldamente beffe di me: “Ma che c’avranno da festeggiare”, mi domandavo.

Per anni, quindi, ho preferito far passare in sordina la data e, se qualcuno (sempre più rari e praticamente nessuno negli ultimi anni) me lo ricordava, giocavo a fare il superiore: “Ah, sì, è vero, proprio non me lo ricordavo. Comunque, … grazie!”.

Ma la verità è che anche a noi che fingiamo indifferenza et superiorità garba ci si ricordi di noi!

Maturai, anzi, una convinzione di carattere etico-filosofico: in fondo, non si tratta che di una data, passa anche quella. Senza considerare che per indicare un quarantatreenne i latini avrebbero detto "quartum agens annum et quadriginta”, laddove l’ ‘agens’, deriva dal verbo ‘ago’ = ‘condurre’, ma anche 'cacciare', 'inseguire', 'rubare', 'rapire', 'portare via' e, quindi, ben più liberamente si potrebbe tradurre 'mi viene sottratto un 43.mo anno di vita': assai poco di cui stare allegrotti.

Dal 2007, se non vado errato (se lo fossi, abbiate rispetto per un anziano signore e fate finta di nulla) ho sorvolato sugli ultimi due compleanni, anche perché mi sembrava che, a parte le altre vicissitudini del 2007, da disoccupato ben poco ci fosse da festeggiare: un altro anno di disoccupazione, forse? No, meglio di no!

Ma quest’anno è diverso e mi sento generoso con me stesso.

Sei mesi fa pensavo di dover vendere l’alloggio e, invece, tengo duro. Non che non abbia maturato qualche idea su quello che potrei fare una volta venduta casa, ma – di fatto – sono ancora qui, nonostante tutto.

E, quindi, sono arrivato alla conclusione che quest’anno me lo merito e mi festeggio.

Ho rispolverato un vecchio rito preparandomi col dovuto anticipo e così, un paio di settimane fa, mi sono comprato sulle bancarelle un paio di libri, praticamente nuovi (è bastato tagliare via la prima pagina di uno dei due che riportava un’improbabile dedica), me li sono incartati con carta da regalo trovata imboscata in casa e ieri sera me li sono messi sul tavolo della cucina in modo da trovarli stamattina per colazione: ho avuto buon gusto, proprio quelli che avrei voluto mi regalassero.

Vabbé, inutile dirVi che questa mattina non mi sono caricato la sveglia.

Mi sono fatto la barba per sentire il fresco novembrino (sissì, si dice proprio così) sulle guance lissie, lissssie, lissie come il culetto di un bimbo: Vi prego di non essere irriverenti, di non fare battute tanto facili quanto scontate e di cogliere, invece, la poesia e la lirica dell’ardita metafora.

Ma la cosa più bella che mi sono voluto regalare è che per oggi, solo per oggi, almeno per oggi non voglio neppure pensare a cercare lavoro né al fatto che non ho un lavoro.

Credo che se non molti, per certo alcuni di Voi mi invidino pensando che in questi anni me la sono spassata allegramente, che fossi un fancazzista felice di esserlo, mentre Voi (alcuni di Voi, intendo) facevano un lavoro di merda, con dei colleghi di merda, con un principale di merda, per uno stipendio di merda, sempre di corsa, …

Ebbene, forse, probabilmente quel qualcuno tra Voi non ha ancora capito che il Vostro non saprebbe cosa dare per quella merda!

Considerino, quei signori, che non c’è stato un solo giorno in questi più che due anni in cui il Vostro non si è dannato l’anima per trovare un lavoro foss’anche stato di merda.

Quando quei signori tormentavano amici, mogli, mariti, figli, amanti vicini di spiaggia con i ‘drammi’ del loro lavoro, beh, io neppure ho avuto vacanze: anche a luglio ed agosto, anche durante i ponti di Pasqua e di Natale io cercavo – evidentemente senza trovare – un lavoro.

Mentre c’era chi malediva quei giorni che precedono il Natale perché, come se non bastasse con tutto quello che hanno da fare, dovevano anche rimbalzare tra un negozio e l’altro alla ricerca degli ultimi regali, beh, a me sarebbe piaciuto avere il problema di fare dei regali senza pensare al mio conto un banca.

Ma, come forse se non molti, almeno alcuni di Voi sapranno, non è mia abitudine lamentarmi: non l’ho fatto negli ultimi 764 giorni, non vedo proprio perché dovrei farlo oggi.

Ed allora quei Signori di cui sopra non me ne vogliano se anche solo, almeno solo per un giorno, me ne andrò in giro pensando che lor Signori lavorano: me la godo di più! E, poi, ... suvvia ... è solo per un giorno ...



Cosa c’è di diverso è che quest’anno ho voglia di festeggiare e di passare almeno un giorno ‘normale’.


Prima di buttarmi verso il centro per un’amena passeggiata, ho fatto tappa in una piccola pasticceria artigianale vicino a casa e mi sono comprato un piccolo vassoietto di funghetti al cioccolato che ho riportato a casa e messo con la dovuta cura in frigo per poter consacrare il rito come si merita alle 16.05: proprio com’era una volta!

Adesso sono qui a terminare di agghindare la nius con le solite immagini e con tanto di filmato (come vedete neppure oggi IO mi dimentico di VOI), ma ho già abbastanza ben chiaro cosa farò dopo.

Me ne andrò in bus verso il centro per scendere davanti a Porta Susa e, magari, dare un’occhiata al nuovissimo passante. Quindi, ammesso che non faccia troppo freddo, mi guarderò le vetrine, entrerò in qualche libreria e in qualche negozio di dischi.

Per pranzo ho già adocchiato una simil-pizzeria dove con solo 5,50 euro mi potrei sbafare una margherita con tanto di coca-cola: non credo abbiano l’adorato chinotto (credetemi, non è la stessa cosa!).

A quel punto me ne vagherò senza meta, così, come se fosse una giornata di vacanza, pensando a tutti quelli che fanno un lavoro di merda mentre – oggi – io faccio nulla: alla faccia loro! SORDI LAVORATORI

Verso le 15.30 dovrò ricordarmi di tornare a casa per mangiare almeno un paio di funghetti.

Per la serata, vi confesso che sono molto, ma molto tentato di andare a vedere un film, anche se non ho la minima idea di quali film ci siano.

Per evitare inutili distrazioni lascerò saggiamente e prudentemente il cellulare a casa: ho sempre detestato il cellulare. È vero, non lo nego, può essere utile, ma ricordo che quando facevo una vita ‘normale’, di quelli con un lavoro di merda, c’erano dei giorni in cui mi accorgevo di averlo lasciato a casa non appena ne uscivo e – ricordo – era un soddisfazione non tornare a prenderlo: per anni siamo vissuti senza ed oggi è la mia giornata ‘normale’!

Dopo tutto ho diritto anch’io ad una giornata per riprendere fiato e vedere cosa succederà domani [come disse non solo la Rossella “Domani è un altro giorno” ('Gone with the wind' di Margaret Mitchell, 1936); ma anche la Vanoni nella versione italiana di un brano inglese poco conosciuto ('The wonders you perform') tradotto da G. Calabrese-Chesnut, arrivata al 2° posto della topten nel novembre del 1971].

Vedete, se sino ad oggi sono riuscito a restare sereno – nonostante tutto – è perché penso alla vita come ad un viaggio in treno.

Lunedì 2 novembre u.c. sono partito da Alberga (è più facile che usi come riferimento Alberga piuttosto che Marmoreo, oscuro ma ridente paesino arroccato sugli Appennini e segnato solo su qualche dettagliata cartina redatta dal genio militare): partenza ore 15:25 arrivo ore 19:00.

All’altezza di Ceva crolla una frana ed i treni sono costretti a procedere a binario unico: ritardo previsto un’ora, effettivo 90 minuti.

Come se non bastasse arrivati che fummo alla stazione Lingotto ci hanno imbarcati su un altro treno (con ulteriore imprevisto ritardo) per giungere, finalmente, a Porta Nuova.

Il povero bigliettaio all’altezza di Savigliano è stato aggredito – sissì, letteralmente ‘aggredito’ con male parole che neppure oso riferirVi per non offendere la Vostra già sensibile sensibilità - da un’anziana coppia (con lei vestita modello pin up del perfetto motociclista) che incolpava il malcapitato di tutte le loro disavventure. E, quando dico ‘tutte’ intendo ‘tutte’, non solo del ritardo del treno.

Il Vostro, invece, è rimasto calmo al suo posto, consapevole del fatto che mettersi anch’Egli ad inveire a nulla sarebbe servito.

Insomma, la vita è come un treno che dovrebbe partire alla tal ora ed arrivare ad una tal altra ora e, per la maggior parte delle persone è proprio così, al più con piccoli spostamenti.

Ma può sempre succedere l’imprevisto ed, allora, a che serve prendersela?

E, poi, come diceva Allan Stewart Konigsberg: “C’è una vecchia storiella: due vecchiette sono ricoverate nel solito pensionato per anziani e una di loro dice all’altra ‘Ragazza mia, il mangiare qui dentro fa veramente pena’ e l’altra ‘Sì, fa veramente schifo e poi le porzioni sono piccole’. Beh, essenzialmente è così che io guardo alla vita: piena di solitudine, miseria, sofferenza, infelicità … disgraziatamente dura troppo poco”.




In conclusione – e Vi garantisco che siete prossimi alla fine di questa nius – il Vostro si sta avvicinando all’età di mezzo: senilità, problemi di prostata, irritabilità, mancanza di massa muscolare di fronte all’avanzare della massa adiposa, mancanza di energia (per quanto credo che potrei erogare luce a tutti i quartieri di Torino nord) … ehi, c’è nessuno che mi ferma? La smettete di darmi ragione?

Comunque, se qualcuno pensasse, data la ricorrenza, di regalarmi un mazzo di fiori, mi permetto di ricordarVi che quelli vanno bene per il 2 novembre, mentre il Vostro nacque il 4 novembre!



E, poi, Vi prego, se proprio volete farmi cosa gradita, considerate che la situazione del Vostro inizia a farsi, da domani, veramente, dannatamente, fottutamente preoccupante, quindi … non fiori, ma opere di bene!

Se a qualcuno interessasse, privatamente posso indicargli il mio codice IBAN … ma si accettano anche offerte di lavoro!


ps1/3: oggi a Firenze sono previsti tra 4° min - 14° max, non piove e non sono state avvistate nuvole all’orizzonte

ps2/3: Comando Supremo, 4 novembre 1918, ore 12

La guerra contro l'Austria-Ungheria che, sotto l'alta guida di S.M. il Re, duce supremo, l'Esercito Italiano, inferiore per numero e per mezzi, iniziò il 24 maggio 1915 e con fede incrollabile e tenace valore condusse ininterrotta ed asprissima per 41 mesi, è vinta.

La gigantesca battaglia ingaggiata il 24 dello scorso ottobre ed alla quale prendevano parte cinquantuno divisioni italiane, tre britanniche, due francesi, una czecoslovacca ed un reggimento americano, contro settantatre divisioni austroungariche, è finita.

La fulminea e arditissima avanzata del XXIX Corpo d'Armata su Trento, sbarrando le vie della ritirata alle armate nemiche del Trentino, travolte ad occidente dalle truppe della VII armata e ad oriente da quelle della I, VI e IV, ha determinato ieri lo sfacelo totale della fronte avversaria. Dal Brenta al Torre l'irresistibile slancio della XII, della VIII, della X armata e delle divisioni di cavalleria, ricaccia sempre più indietro il nemico fuggente.

Nella pianura, S.A.R. il Duca d'Aosta avanza rapidamente alla testa della sua invitta III armata, anelante di ritornare sulle posizioni da essa già vittoriosamente conquistate, che mai aveva perdute.

L'Esercito Austro-Ungarico è annientato: esso ha subito perdite gravissime nell'accanita resistenza dei primi giorni e nell'inseguimento ha perduto quantità ingentissime di materiale di ogni sorta e pressoché per intero i suoi magazzini e i depositi. Ha lasciato finora nelle nostre mani circa trecentomila prigionieri con interi stati maggiori e non meno di cinquemila cannoni.

I resti di quello che fu uno dei più potenti eserciti del mondo risalgono in disordine e senza speranza le valli che avevano disceso con orgogliosa sicurezza.

Il capo di stato maggiore dell'esercito, il generale Diaz


ps3/3: I documenti ufficiali fanno risalire al 1932 la nascita del chinotto intesa come la bevanda arrivata sino a oggi. Merito della S. Pellegrino che decise di ricavare da un frutto sostanzialmente poco amato e con tanta fatica, un estratto per una bibita molto originale. Autarchica, italianissima, quindi ideale per il Fascismo che naturalmente non vedeva di buon occhio la Coca-Cola. La materia prima arrivava dalle regioni del Meridione (Calabria e Sicilia) ma soprattutto dal Savonese, la zona dove era giunto nel XVI secolo dalla Cina. Si tratta di un agrume che nasce su un alberello alto un metro e mezzo circa, il Cytrus Myrtifolia. Sui pochi rami sviluppa una quantità incredibile di frutti: sono di piccole dimensioni - non pesano non più di 50-60 grammi – hanno un colore verde brillante che vira all'arancio ma soprattutto sono immangiabili per il gusto amaro-acido.

Ma i vicini di casa francesi verso la fine dell'800 si resero conto che potevano essere buonissimi e persino digestivi a patto di candirli ed ecco il boom a cavallo tra il vecchio e il nuovo secolo, sostanzialmente esaurito con la nascita della bevanda.
In effetti, la lavorazione è complicata e costosa: i frutti vanno immersi per tre settimane in una salamoia, poi spellati a mano della buccia amarissima, rimessi in salamoia e infine bolliti in sciroppi di zucchero a concentrazione crescente. La destinazione finale è un liquore – preferibilmente Maraschino – oppure la canditura.

Attualmente, il prodotto viene coltivato solo da Varazze a Finale Ligure dove operano i tredici coltivatori e i due bravissimi artigiani del dolce – Balzola di Alassio e Besio di Savona – che continuano a realizzare canditure di altissima qualità.
La Lurisia ha appena lanciato il suo Vero Chinotto di Savona IGP, consigliando – giustamente – di berlo freddissimo fuori pasto visto che non ha senso gustarlo accompagnandolo con il cibo.

Il vero godimento del chinotto? Il profumo così esclusivo al momento dell'effervescenza, da assaporare inclinando il bicchiere subito dopo averlo versato dentro.
(da L'Espresso food&wine)



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